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Interviste

Area Covid-19: Nicholas Ciuferri

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Area Covid-19, il nostro spazio creato apposta per condividere musica e parole in un momento storico in cui ne sentiamo tutti un bisogno particolare, prosegue oggi con Nicholas Ciuferri, autore e scrittore di libri, che ha calcato un gran numero di palchi, raccontando e cantando storie, credendo fortemente nella musica di narrazione con il suo sodale Paolo Benvegnù e con I Racconti delle Nebbie a cui si sono uniti Riccardo Tesio (Marlene Kuntz) alla chitarra e Nicola Cappelletti (all’elettronica/violino/basso elettrico). Con Paolo Benvegnù e Matteo Madafferi, ha fondato inoltre la casa editrice Alter Erebus.

Ciao Nicholas, ti avevamo lasciato a Germi con la presentazione di “Maledetti cantautori”. Vuoi parlarci di cosa tratta questo nuovo progetto?
Dovrò partire da un brano de I Racconti delle Nebbie però, è un brano che abbiamo messo in scaletta da un po’, si chiama “La Rosa Bianca”, è il racconto di un personaggio che gira per il suo giardino e ci parla delle sue rose, mentre lo fa però svela piano piano la sua vita. Il nome del personaggio a cui mi ispiro lo dico solo nella chiusura del pezzo. È un brano molto difficile che però viene recepito benissimo e raccoglie anche il mio amore per le biografie. Dal momento che ho amato scrivere “La Rosa Bianca”, ho pensato di scriverne altri con un fil rouge che fosse una parte di me, così come lo è la letteratura: la musica. Ho voluto cogliere dei momenti di vita di artisti talentuosi e rivoluzionari ma in cui ha fatto irruzione un evento tragico, di cui spesso gli artisti erano artefici. Nel racconto, l’identità del soggetto non è mai palese (nel live viene svelata dopo, sul libro stiamo valutando) e va ad alimentare una sorta di caccia agli indizi.
Ho letto così tante biografie per cui fare dei racconti meramente biografici non è stata un’ipotesi ponderata, ma andare a scrivere di aspetti sconosciuti… quello mi entusiasmava (certo che poi delle note biografiche, per forza di cose, ci sono). Il leitmotiv era già nel nome Maledetti Cantautori, ho iniziato a scrivere i racconti, poi recapito i primi a Becco Giallo per sapere se fossero interessati alla pubblicazione; avevo letto il bel libro di Clarice Trombella “Sacerdotesse, imperatrici e regine della musica” e ho pensato che la casa editrice potesse essere interessata; così è stato, si è fissata la data di pubblicazione e sono andato avanti con un progetto di scrittura che ho molto amato da subito.
Di solito quando scrivo, poi rileggo ad alta voce, è un ottimo metodo per dare ritmo ed enfasi, mi sono accorto così che avevano un’enorme potenza evocativa e che potevano funzionare sul palco; da lì l’idea di chiamare un po’ di amici e di vedere se erano interessati a portare la vita e la musica di questi artisti enormi, in giro. Il primo che ho chiamato è stato Davide Combusti, poi hanno aderito Riccardo Tesio, Nathalie, Pit Coccato, Cesare Malfatti. Sul palco siamo modulabili, possiamo essere in due così come nel collettivo più ampio; al momento ci siamo esibiti prevalentemente in duo, prima che scoppiasse la pandemia e che facesse saltare la scacchiera con tutto il tavolo, stavano arrivando moltissime richieste per il collettivo allargato e si stava formando un calendario estivo piuttosto fitto e interessante.

Qual è il limite dell’artista quando non può esibirsi su un palco e come si può supplire a questa assenza?
L’arte è presenza e assenza. Ci sono artisti che hanno bisogno di un periodo di isolamento, di non comunicazione. L’arte è di per sé un concetto troppo fluido per essere incasellato, allo stesso modo dovrebbe essere per gli artisti. Poi c’è il discorso del mercato dell’arte e soprattutto dello spettacolo, che vuol dire anche far sì che gli attori coinvolti nelle azioni e attività artistiche, continuino ad essere attivi in qualche modo per aiutare un ambiente in generica difficoltà (anche se non soprattutto, economica).
Questa situazione fa sì che nascano nuove forme di comunicazione, di presenza… i concerti online, le dirette streaming, non ho un’idea chiara in proposito, a volte mi sembrano buone iniziative, altre volte mi sembrano delle occasioni perse per una riflessione, per cogliere qualcosa dall’isolamento, per studiare, formarsi, analizzarsi, riflettere, perché qualcosa di positivo c’è anche in questo e lo dico nel rispetto di tutti quelli che soffrono, sia a livello di salute che professionale; mi rendo conto che è un’affermazione rischiosa e che si presta a fraintendimenti… diciamo che in questa terribile situazione ci siamo per forza di cose e che dobbiamo cercare di sfruttarla al meglio per una crescita.

Qual è il ruolo sociale dell’artista oggi?
Per dirlo bisognerebbe capire quale è il ruolo sociale dell’arte, ammesso e non concesso che ci sia. Penso che chiunque sia in una situazione di maggiore cassa di risonanza del proprio pensiero, azione, espressione, abbia la responsabilità di quello che dice e fa, la responsabilità di informarsi, di non essere approssimativo, oltre al fatto di dover prendere una posizione. Si può essere come Picasso o come Dalì, tutto quello che c’è nel mezzo non è niente; Picasso è stato oppositore al franchismo fino alla fine, Dalì, dopo un iniziale rifiuto e fuga all’estero, ha deciso di tornare e di diventare un artista di regime.

Stiamo vivendo giorni surreali, c’è un pezzo musicale, letterario, cinematografico, o un’opera che racchiude o riassume la tua idea di “domani”? C’è ancora da sperare?
Questi giorni sono occasioni per scoprire e conoscere, un po’ per formazione e un po’ per attitudine, leggo molto di storia e filosofia, porto avanti letture parallele e in questo momento sono molto preoccupato, mettendo insieme la “Microfisica del Potere” di Foucault, “Il Sogno della Merce” di Baudrillard e “M” di Scurati, sono molto preoccupato per un nuovo fascismo. Non ci saranno le camice nere, è ovvio, ma ci sarà la stessa ignoranza, meschinità, aggressività e violenza, già lo si vede dai social. Eco ci disse «I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel». Quello che mi fa paura è la frustrazione manipolata che si traduce in violenza, Scurati lo evidenzia molto bene del suo libro, quando parla del 1919, per molti tratti sembra che stia parlando del 2019, sembriamo un popolo senza memoria e la memoria è un meccanismo di difesa imprescindibile; spero che faremo una cura di fosforo di massa, o almeno un percorso di consapevolezza.

Se non sbaglio sei anche un insegnante. Come te la cavi con le lezioni online? Cosa vuoi dire ai tuoi ragazzi? 
Diciamo che il lavoro è aumentato notevolmente, si va incontro a molte più difficoltà, non tutti i ragazzi sono tecnologicamente preparati, non tutte le famiglie hanno i mezzi e non si deve lasciare indietro nessuno.
Devo dire che nella scuola dove lavoro quest’anno, il corpo docenti si è attivato immediatamente, sono stati dati aiuti alle famiglie in difficoltà e c’è stato un forte senso di comunità, segno che se gli individui si stringono e lavorano insieme si è più forti e i problemi si affrontano meglio (e mi rendo conto che in un momento in cui i sovranisti, grazie al meccanismo sopracitato di Eco, si permettono di parlare, questo diventa un messaggio politico imprescindibile).
Personalmente credo che si debba privilegiare lo sviluppo del senso critico e della costruzione del metodo di studio, noi docenti non possiamo essere degli strumenti per un travaso nozionistico, dobbiamo aiutare a sviluppare il pensiero, le informazioni si recuperano subito, il metodo e il pensiero ha bisogno di un tempo diverso e di un aiuto diverso, perché l’elaborazione funzioni.
Per quanto mi riguarda, la mia vita da artista ha avuto un anonimato molto breve, i ragazzi già dal secondo giorno di scuola mi facevano domande sui miei racconti o sulla vita sui palchi o sugli amici artisti. Però è anche bello portare le proprie esperienze e il proprio vissuto. Con una classe, come esempio di poesia giocosa ho fatto studiare “La Canzone Moschina” di Eugenio Rodondi, poi come compito avrebbero dovuto scrivere una loro poesia ironica; ma la maggior parte sono andati oltre, hanno scritto una vera e propria canzone, con melodie e musiche oltre ad un testo in rima, a tempo e metricamente lodevole. In una lezione sui pronomi soggetto e complemento ho assegnato anche l’ascolto di “A Me Mi” di Lucio Leoni (con riflessione sul resto del testo, ovviamente). Spesso faccio studiare i testi di cantautori come Paolo Benvegnù o Simone Lenzi per far vedere di come si possa evolvere la poesia, della potenza narrativa di un testo e della sua applicazione in musica. Devo dire che ho degli ottimi studenti, mi seguono e ci divertiamo in un percorso in cui, tenendo ben presente la differenza dei ruoli, camminiamo insieme.

Cover Story: Antonio Viscido

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