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Bush, il nuovo album The Kingdom segna il ritorno in grande stile dei figli indesiderati del grunge

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The Kingdom è il ritorno dei Bush nello strano scenario musicale di questo 2020. I compiti del nuovo lavoro di studio della band di Gavin Rossdale non erano impossibili, non c’erano montagne da scalare e aspettative da mantenere. Non più. L’impegno era semplice: far sembrare un incidente il precedente Black And White Rainbows. Ci riescono, per fortuna, puntando sulla formula di successo che determina tutto il nuovo corso della loro carriera.

L’ultima parte di storia della band comincia con l’avvento dello straordinario chitarrista Chris Traynor e con la pubblicazione del buonissimo The Sea Of Memories nel 2011 seguito dall’altrettanto valido Man on the Run. Una formula fatta di mestiere, idee basilari e chiare senza strafare, una produzione esemplare e moderna, il tutto ad orpello del timbro di Gavin che è ormai un brand ai livelli dei suoi più famigerati colleghi dell’era grunge. Quel periodo d’oro che ha sempre visto i Bush con sospetto, dall’alto in basso, prima insignendogli il compito di eredi inglesi dei Nirvana e poi accusandoli di cavalcare l’onda commerciale. I primi due album sono quelli dell’ombrello stilistico ed espressivo figlio di questa pesante eredità, fatta di canzoni che sono subito classici dell’alternative rock.  Sixteen Stone e Razorblade Suitcase sono ancora gli album per cui i Bush vengono ricordati, ma è con il periodo appena fuori dalla decade degli anni ’90 che la band mostra il suo vero carattere. Con The Science Of Things e con Golden State vengono fuori quelle caratteristiche peculiari che rendono la band unica e indipendente da mode e parallelismi annichilenti.

The Kingdom è il suggello della storia recente della band che vira sulla credibilità live, su temi che puntano sull’attivismo piuttosto che sull’immobilismo esistenziale figlio dell’era grunge. Amore, crescita, morte, sono i puntelli di un appeal più aggressivo rispetto al precedente album, che usciva inficiato dalle vicende personali del frontman trasformandolo più in un lamento personale che non un lavoro corale. Che i Bush avessero risvegliato sentimenti combattivi si è visto già all’uscita del terzo capitolo della fortunata serie action John Wick al quale è accompagnato il brano Bullet Holes, sapientemente inserito nella tracklist dell’album, dopo l’apripista e secondo singolo Flowers In a Grave e alla granitica title track.

The Kingdom non è solo Gavin Rossdale quindi, ma anche tanti riff decisamente buoni, tante canzoni piene di energia. Si rallenta solo in occasione di Undone, ballatona che va a rimpinguare la numerosa schiera di inni all’amore a cui ognuno di noi ha ricorso almeno una volta nella vita per qualche dedica sentimentale, inserita in qualche cassettina (consigli? Andate a ripescarvi Glycerine, Alien, All Night Doctor, Letting The Cable Sleep). La tensione rimane alta e l’album è ascoltabile senza stanchezza fino alla fine, passando da pezzi veramente validi come Send In The Clowns e Our Time Will Come, aggiungendo a ritmiche e chitarre potenti le melodie bieche, continentali e meno scontate di molti dei loro colleghi statunitensi.

Dopo una presenzialità accentuata di Gavin sui social in questo periodo di lockdown i Bush dimostrano di avere ancora voglia di essere una band, di avere qualcosa da dire, di contribuire a ritardare ancora questa lenta agonia del rock che ci fa tanto penare e godere insieme.

Stream The Kingdom – Bush: https://bushband.lnk.to/TheKingdomAlbum18

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