Interviste
Intervista ad Anzj, l’artista milanese tra poliedricità e innovazione
Anzj è lo pseudonimo di Andrea Anzivino, giovane promessa della musica italiana di origini milanesi. È difficile riassumere la musica di Anzj in poche righe: i suoi pezzi spaziano dal lo-fi alla trap, dall’indie-pop al rap. È un talento poliedrico difficile da etichettare, e forse è meglio così.
Il nuovo singolo Bevo Troppo (clancy) in uscita il 25 settembre è considerato da Anzj l’undicesimo e ultimo brano “side-b” di Spazjo, il suo EP rilasciato lo scorso luglio. Un EP eterogeneo ma non scontato, che ci regala pezzi innovativi e unici. Anzj non si riduce ad esplorare un solo stile, ma li approfondisce e li combina tutti. Non solo è stato capace di mischiare più generi nel suo primo EP, ma troviamo in esso anche un’impronta introspettiva, e ci racconta:
“Nessuna canzone però la definisco realmente “mia”. Mi appartengono quei 20/30 minuti in cui le scrivo, poi divento già un’altra persona”.
Con questo nuovo pezzo Anzj riesce a raccontarci la dualità della realtà (onirica e quotidiana) in cui l’artista stesso si colloca e destreggia, la stessa realtà che spesso lo mette di fronte alla necessità di ricercare vie di fuga (come il bere).
Anzj è sicuramente una proposta emergente molto originale e con sfumature diverse dalla scena italiana che conosciamo oggi: per questo motivo noi di Futura 1993 ci abbiamo fatto quattro chiacchiere per sapere qualcosa in più su di lui e conoscerlo meglio.
È in uscita il 25 settembre il tuo nuovo singolo, “bevo troppo (clancy)”: svelaci come è nato.
Allora, questo singolo è stato in realtà pensato come undicesima traccia di Spazjo, traccia che però nella tracklistdefinitiva non è stata inserita perchè troppo lontana dal nucleo narrativo. Il brano è nato da un loop di chitarra che io e Edoardo Massaglia (un chitarrista con cui lavoro, della mia etichetta) abbiamo composto. Da lì ho dato struttura alla strumentale per poi scrivere il testo. La scrittura del ritornello ammetto che è stata un po’ travagliata, anche se tutto sommato sono soddisfatto del risultato.
Raccontaci un po’ del tuo percorso artistico: nei tuoi brani possiamo trovare numerose contaminazioni, hai pezzi che spaziano dal lo-fi alla trap, dall’indie-pop al rap. Quali sono state le principali ispirazioni che ti hanno formato?
È difficile narrare del mio percorso artistico perché ho sempre cercato di non definirmi tramite l’ascolto di un solo genere o un solo tipo di musica. Per questo, sin dall’inizio, il tipo di strumentali che producevo sono sempre state piuttosto eterogenee e difficile da inquadrare musicalmente. Gli ascolti che maggiormente mi hanno influenzato sono sicuramente stati quelli che facevo nel 2012/2013 su SoundCloud, che mi hanno fatto capire la reale potenzialità della produzione digitale/elettronica, che pian piano sto cercando di esplorare al massimo. Sono ancora solo all’inizio del percorso.
Quando ho ascoltato il tuo EP per la prima volta mi ha colpito immediatamente il fatto che riesci, in tutti i brani, a creare un sound coerente nonostante le diverse mescolanze di generi: in particolare, qual è stato il processo creativo e di produzione di questo disco? Raccontaci qualche aneddoto!
Spazjo è in realtà stato concepito come una raccolta di singoli già usciti, arricchita da un paio di brani inediti, all’inizio non era nemmeno quello il nome. Mentre stavo compilando la tracklist e rendendo i master più coerenti fra loro mi sono accorto che le tracce erano collegate una all’altra da una narrazione molto più organica di quella che avevo previsto. A quel punto ho aspettato di avere altri 2 brani inediti pronti da inserire all’interno dell’EP, per dare maggiore collante al tutto (mARTe e ballaaata larga) e il resto è quello che già sapete.
C’è una canzone che senti più tua rispetto alle altre? Perchè?
Nessuna canzone è realmente “mia”, mi appartengono quei 20/30 minuti in cui le scrivo, poi divento già un’altra persona e sento, anche solo a distanza di giorni, che non mi appartengono più. E solo in quel momento scelgo se pubblicarle o no.
Noto anche una grande attenzione alle grafiche che accompagnano i tuoi singoli e nell’artwork stesso dell’EP. Ce ne parli un po’?
In realtà la cura delle grafiche è un concetto abbastanza nuovo per me. Sono sempre stato dell’idea che in primis debba sempre esserci l’estetica musicale, e solo dopo, quando questa mi soddisfa, posso pensare come arricchire l’esperienza complessiva andando a sfruttare anche le arti grafiche.
Parliamo ora un po’ di Anzj. Come è nato il tuo rapporto con la musica e come è evoluto, e sta evolvendo, negli anni?
Anzj é nato da un bisogno di Andrea. Sentivo di dover almeno provare a dare voce a ciò che non riuscivo a dire a chi mi stava attorno. Ho iniziato nel 2017 cantando su qualche mia strumentale e i risultati non furono dei più incoraggianti. La prima traccia che ho pubblicato con la mia voce sopra e sotto il nome “Anzj” è stata nel 2018, quindi abbastanza recentemente. I testi erano semplici e il mio approccio alla scrittura ancora molto immaturo e fin troppo istintivo, sicuramente i primi brani non sono delle opere di liricismo peró conservano ancora quell’appeal di spontaneità che forse ora ho un po’ perso. Dalle prime canzoni pubblicate ho riscosso una discreta risposta dal pubblico e pian piano questa necessità di cui ho parlato all’inizio è andata scemando e ha lasciato molto più spazio all’arte in sé e alla volontà di sperimentazione e creazione di immaginari nuovi.
Per chi ancora non ti conosce, come descriveresti la tua musica in 3 parole?
Ho paura che per parlare di musica le parole non siano mai abbastanza adatte. Preferirei non definirla.
Ci salutiamo con l’ultima domanda: cosa dobbiamo aspettarci da Anzj nei prossimi mesi?
Considerando che la traccia più recente che ho messo in Spazjo ha già più di un anno direi un bel po’ di cose nuove e particolari. A presto!
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