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Interviste

Manfredi, intervista all’autore di Cuffiette e Noi meno tu, brani da milioni di ascolti su Spotify, che torna a far parlare di sé con Hollywood

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Manfredi, l’artista autore di Cuffiette e Noi meno tu, brani da milioni di ascolti su Spotify, torna a far parlare di sé con Hollywood, un pezzo dedicato a un amore che finisce, ma senza retorica né sdolcinatezza: piuttosto una presa di coscienza e accettazione. Una cosa del genere è rara, nel panorama musicale, e Manfredi ci riesce con una naturalezza invidiabile e un testo scritto magistralmente.

Manfredi, artista salernitano classe 1998 all’anagrafe Antonio Guadagno, ha fatto uscire il suo nuovo singolo il 25 Settembre come anticipo del disco d’esordio, previsto per il 2021. Si è avvicinato alla musica giovanissimo, e giovanissimo è stato notato dai ragazzi di Foolica: a 17 anni infatti inizia a scrivere e registrare i suoi pezzi usando l’armadio di un amico per la registrazione delle voci ed entra a far parte dell’etichetta, mentre a 18 registra il suo primo pezzo, il giorno prima dell’esame di maturità.

Dici di aver preso ispirazione dai film romantici, in cui “l’amore è perfetto e senza complicazioni”. Io non amo molto i film romantici, ma quei pochi che ho visto erano una complicazione dietro l’altra: non è che magari siamo meno complicati di quello che crediamo, alla fine?

Concordo pienamente con te, nei film romantici non ci sono mai amori perfetti e senza complicazioni. É proprio questa la ragione per cui io credo che tutti sogniamo un amore come quello dei film, perché nessuno vuole davvero una storia che sia tutta rose e fiori, un paradiso di tranquillità. I rapporti che ci entusiasmano sono quelli complicati, fatti di alti e bassi, quegli amori difficili che vediamo appunto nei film. Quando dico che tutti sogniamo un amore come quello che ci raccontano le telecamere di Hollywood non intendo che desideriamo un amore perfetto, intendo che vogliamo un rapporto fatto di sensazioni forti, che smuova la nostra routine facendoci sentire vivi.

 

In Hollywood fai una cosa che non fanno in molti: accetti che non fosse cosa, che non puoi essere tu a dare la felicità giusta alla persona giusta però, invece che scriverci un lamento accompagnato dalla chitarra, la trasformi in una presa di coscienza. È frutto di un esame interiore approfondito o è quello di cui avevi bisogno, ed è uscito di getto?

Hollywood è una canzone che arriva alla fine di una relazione che per me è stata molto importante. Mi ci è voluto molto tempo per capire che ad una certa devi lasciare che le persone escano, oltre che dalla tua vita, dalla tua testa. Non puoi sempre stare lì a pensare a quello che è stato, a come stavi bene con lei e tutto il resto. Ci vuole tempo, ma poi capisci che gli amori, così come le rotture, vanno affrontati con più leggerezza. Devi goderti il momento, esserci al 100%, se ti fa star bene devi essere bravo a far funzionare il rapporto, ma se dovesse finire non puoi buttarti a terra e appendere il cuore al chiodo. Hollywood è una canzone con cui ringrazio di tutto e vado avanti, finalmente.

 

Domanda dettata dalla pura curiosità professionale: ho letto che registravi nell’armadio di un amico. Che razza di armadio aveva il tuo amico?

In realtà era un armadio piuttosto normale, uno di quelli ad angolo, abbastanza grande. Ci registravamo le voci perché i giubbotti assorbono i rumori indesiderati e si ottiene un risultato migliore (per quanto buono possa essere). Chiaramente non registravamo anche gli strumenti nell’armadio, quanto meno per una questione di spazio. Una persona e un microfono ci entrano senza problemi, magari evitando di chiudere le porte.

 

Hollywood è il tuo nuovo singolo: come procederai per la tua nuova musica? Ci sono altri singoli in arrivo o stai lavorando a un disco?

Hollywood è il primo singolo del mio primo disco. Usciranno altri singoli che faranno sempre parte del disco e poi l’album completo. Ultimamente si usa sempre meno, ma prima era piuttosto normale pubblicare dei singoli di preparazione al disco. Era un bel modo di valorizzare alcuni brani, un bel modo di lanciare il disco, motivo per cui ho deciso di fare anche io così. Prima singoli, poi disco.

Ti chiami Antonio, e hai scelto di chiamarti Manfredi. Come mai?

Mi piacciono i nomi d’arte perché ti permettono di amare la persona e odiare l’artista o viceversa, di odiare la persona e amare l’artista. In qualche modo un nome d’arte aiuta a separare i due mondi. Se insultano Manfredi, pazienza, Antonio dorme benissimo. Però i problemi di Antonio entrano nella musica di Manfredi, quindi insomma, un legame c’è. Manfredi è un nome che ho sempre trovato molto elegante. Quando ho dovuto scegliere un nome d’arte ne volevo uno che fosse bello e che allo stesso tempo avesse anche un significato. Cercando su internet ho scoperto che uno dei significati che si associa al nome “Manfredi” è “Amico dell’uomo”. Mi piace molto l’idea che un artista e la sua musica possano essere visti come un qualcuno con cui confidarsi, un qualcuno che ti fa sentire capito, un amico per l’appunto. Mi piace che la mia musica possa stare vicino a chi mi ascolta sia nei momenti belli che in quelli brutti.

 

Domanda che odiano tutti: mi dici i tuoi tre dischi preferiti?

“(What’s The Story) Morning Glory?” degli Oasis, l’intera discografia di Vasco, “Una somma di piccole cose” di Niccolò Fabi. Se mi fai la stessa domanda tra una settimana, però, stai sicura che rispondo in modo diverso. Tranne che per la discografia di Vasco, ovvio.

 

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