Interviste

Dodicianni, Discoteche è una Madeleine di Proust che racconta la nostalgia dei luoghi più che i luoghi stessi

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Dodicianni è tornato sulle scene il 30 ottobre con Discoteche, il nuovo singolo prodotto da Edoardo Pellizzari e masterizzato a Chicago da Collin Jordan. Discoteche, registrato in presa diretta all’Overdrive Recording Studio di Castello di Godego, è un pezzo che vanta la collaborazione di Theo Soyez per gli scatti che lo corredano, e di Alex Valentina per le grafiche.
Al contrario di quanto potrebbe suggerire il titolo, Discoteche non è un pezzo per ballare: è un pezzo per ricordare, con nostalgia, “quei posti desolati che finisci per amare se ci nasci – spiega Dodicianni – dove una volta l’anno, e una soltanto, le persone si incontrano indossando il vestito migliore”.

Dodicianni, all’anagrafe Andrea Cavallaro, non è solo musicista: è conosciuto nel mondo dell’arte contemporanea grazie a performance spesso provocatorie, che l’hanno portato a girare gallerie e festival italiani ed europei come la Galleria Grund di Berlino, Artefiera di Bologna e Museion di Bolzano. No Frame portrait, una delle sue performance più note, ha ispirato l’omonimo album di piano solo mentre la sua performance più recente si chiama Il peso delle parole, ed è dedicata alla sensibilizzazione sul tema dell’immigrazione.


Prima di tutto: tu non hai scritto una canzone, hai fatto una Madeleine di Proust. Hai raccontato più la nostalgia dei luoghi che i luoghi stessi, e alla fine della canzone ti mancano posti che non ti venivano in mente da una quindicina d’anni come minimo. Quindi, domanda: cosa significano per te quei luoghi, e quali sono?
Innanzitutto grazie per questo accostamento davvero imponente, provare ad evocare emozioni credo sia l’obiettivo di tutte le persone che si occupano di musica o per lo meno di arte. Per me quei posti significano semplicemente casa, momenti della mia infanzia che non torneranno ma che ho imparato ad apprezzare e che porto con me. Nello specifico sono nato in un paesino immerso nella campagna veneta, presente quelli letteralmente ricoperti di nebbia? Ecco, uno di quelli.

 

Restiamo sul tema: c’è una cosa che si chiama psicogeografia che spiega che ciò che è successo in un luogo ne influenza l’apparenza e l’utilizzo futuro, non solo in senso di cronaca stretta ma anche, da un certo punto di vista, psicologico e architettonico. Cosa ne pensi?

Penso che questa relazione esista e che anche un pezzo come Discoteche vada in questa direzione. Facevo questa riflessione qualche giorno fa: sono quasi cinque anni che non pubblico canzoni come Dodicianni e non appena ne ho avuto l’occasione son tornato a parlare delle mie origini, dei luoghi dove sono nato; queste cose ti restano dentro anche se non vuoi.

 

Hai lavorato in presa diretta, un modo di lavorare che implica un “o la va o la spacca” costante. Com’è stato lavorare così, e se prima avevi lavorato a tracce separate quali differenze hai trovato?
E’ stata una decisione a lungo ponderata con Edoardo “Dodi” Pellizzari che ha co-prodotto con me questo pezzo. Alla fine siamo arrivati a prendere questa decisione drastica perché volevamo che anche nell’intenzione, oltre che nella pasta di suono, ci fosse più onestà possibile, essenzialità e una sonorità coerente con l’immaginario che volevamo creare. Anche il videoclip che accompagna il pezzo è stato girato in piano sequenza e in un’unica take, e quella che si vede è proprio la take che si può anche ascoltare. Una sfida per tutti insomma. Sicuramente comunque poter registrare in multitraccia ti lascia aperte molte più strade e margine alla creatività, ma l’autoimpormi delle regole molto rigide e l’accettare quindi le imperfezioni che ne nascevano sono state altrettanto una bella sfida.

 

So che sei stato fermo per quattro anni prima di riprendere con la musica, come mai?

Per una questione molto semplice in realtà, e cioè che quando prendevo in mano una chitarra o mi sedevo al pianoforte non nasceva nessuna nuova idea. Inizialmente è stato piuttosto sconfortante, ma ho anche capito che era forse il momento di cercare altri canali per esprimermi.

 

Non sei solo un musicista: sei anche un artista visuale e un performer: come ti senti in un momento come questo, in cui il mondo dell’arte e della cultura è sempre più in difficoltà? E credi anche tu che questo problema abbia radici ben più antiche della pandemia?
Credo che questa pandemia arrivi in coda, e ad evidenziare, una serie di altri problemi congeniti del sistema dell’arte e della musica in Italia. Bisogna secondo me sfatare un po’ il mito del musicista che al primo album già si può permettere di vivere di musica, queste cose esistono solo nei video trap, che peraltro adoro.

 

Come hai deciso di promuovere la tua musica in un momento come questo?
Ovviamente promuovere la propria musica è ancora più difficile, ma non mi sconforta molto. Ho la consapevolezza che, numeri a parte, per me tornare a fare musica era un esigenza: comunque andrà il mio obiettivo l’ho già centrato.

 

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