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Penny Rimbaud ha pubblicato Arthur Rimbaud in Verdun, un disco contro la guerra, contro tutte le guerre

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Penny Rimbaud ha pubblicato Arthur Rimbaud in Verdun, un disco contro la guerra, contro tutte le guerre, che lega la storia alla musica, il jazz al punk, “le orecchie di Coltrane agli occhi di Pollock”. Penny Rimbaud attraversa la Battaglia di Verdun accompagnato da Arthur Rimbaud: una guida, un amico e un amante che lo ha aiutato a vedere ciò che altrimenti resterebbe invisibile.

Penny Rimbaud è una leggenda della musica: poeta, scrittore, pittore, musicista e cofondatore dei Crass insieme a Steve Ignorant, Eve Libertine, Joy De Vivre e tutti gli altri appartenenti al collettivo.

Hai messo Rimbaud a Verdun per scoprire come uno dei più grandi poeti del mondo si sarebbe relazionato con la guerra. Mi ricordo che l’impero Austro-Ungarico, nella Prima Guerra Mondiale, mandò  suoi migliori pittori sulla linea del fronte per immortalare “l’orgoglio e le vittorie dei soldati imperiali nelle trincee”. Ovviamente non funzionò, voglio gire: Otto Dix era uno di loro, e tornò indietro con una serie di dipinti profondamente disturbanti. Il tuo Rimbaud come ha reagito, e quanto impatto credi possa avere l’arte in queste occasioni?

Qui sotto ho aggiunto un saggio che ho scritto a proposito di essere in trincea con Arthur Rimbaud dove le sue reazioni sono vividamente descritte. Sarebbe difficile da inserire qui, quindi utilizzalo come credi giusto.

L’ “impatto” dell’arte è l’essenza stessa di ciò che definiamo “cultura” e i suoi effetti sono impossibili da stimare. Siamo testimoni di una battaglia costante fra le forze distruttive della guerra, che non crea niente se non un vuoto, e gli impulsi creativi positivi della cultura che, credo, determinano realmente il mondo in cui viviamo e in modo in cui viene percepito.

Essenzialmente l’Esistenzialismo ha avuto un effetto sulla nostra visione del mondo molto più potente del Nazismo. Un dipinto di Monet vale cento bombe. Un dipinto di Pollock consuma quelle bombe, le rende impotenti. John Coltrane urla vita e amore, e gli echi spenti della guerra vi si infrangono e perdono tutti i significati. Un “si” creativo annichilisce un centinaio di espressioni nichiliste del “no”.

A proposito di questo, mi ritengo un “terrorista culturale” armato di sanpietrini di amore. Per tutto l’orrore della follia umana l’amore resta supremo: silenzioso ma completo nel suo governo. La sorgente.

 

Parli di Rimbaud come Dante parlerebbe di Virgilio: una guida. A volte magari una guida stanca ed esasperata, ma una guida amorevole e coraggiosa comunque. Che ne pensi, e senti ancora la voce di Rimbaud ora che il lavoro è fatto? Cosa ti dice?

Non ci “penso” perché mi ci trovo dentro. Io sono te, così come tu sei me. Quando accettiamo questa simbiosi, accettiamo la vita. Arthur Rimbaud pretendeva di “più”, sempre di più, finché non c’è stato più niente da ottenere.

Questa è la vera natura dell’arte, la vera profondità della cultura, ,il di più che non è mai abbastanza e poi la pace, sublime pace nelle braccia dell’amore. Il terrore è finito. Siamo liberi fra e come noi stessi, liberi da noi stessi, liberi di essere ciò che siamo davvero, l’amore totale.

 

Questo disco è caotico come solo la guerra può essere: sembra organizzata, ma in realtà è solo esplosiva. E’ una mia impressione o hai tenuto l’attitudine dei Crass e l’hai portata a un nuovo livello (e tipo) di musica?

L’ “attitudine Crass” di cui parli è un chiaro esempio del modo di pensare al “di più, sempre di più” che menzionavo prima, e che ho seguito per tutta la vita.

Da bambino ho realizzato che non mi piaceva quel “mondo reale”  di cui parlavano i miei genitori. Volevo più di quell’inuguaglianza, povertà, avidità, egoismo e guerra che sembrava essere il loro mondo reale.

Volevo più di ciò che la famiglia, le scuole, la chiesa, il governo o lo stato avevano da offrire, ma non sapevo come ottenerlo. Passo dopo passo ho trovato una via tramite la creatività, senza mai smettere di fare domande, conoscendo ciò che esistenza prima che nascessero i miei genitori (che ho incontrato più tardi, come precetto all’interno del pensiero Zen).

Quindi non ho tenuto “l’attitudine Crass”, ma ho tenuto l’attitudine della mia prima infanzia, un’attitudine che dice “Questo non mi piace, quindi come posso cambiarlo?”. I Crass erano solo una parte della mia vita, né più né meno importante delle altre. Si, come la guerra, la mia vita potrebbe sembrare “organizzato, ma in realtà solo esplosiva”.

Urlare e urlare la vita e sapere che è tutto ciò che c’è. Tutto il resto è solo attesa. Toccare è trattenere, così vicini che non esistiamo più. Noi siamo il fuoco. Noi siamo il grido. Noi siamo l’ora. Noi siamo il sogno.

 

Parliano ancora della guerra: negli anni ‘80 in Italia avevamo una band punk hardcore, i Wretched, che cantavano “Spero venga la guerra col dolore e le sue stragi, solo allora capirà che potevi far qualcosa”. Pensi avessero ragione? Troppe persone vedono (e fanno) cose terribili e non fanno niente per fermarle. Rimbaud in Verdun potrebbe aiutare a far smettere queste cose?
Siamo noi che facciamo girare il mondo, quel silenzio è il nostro. Solo noi possiamo determinare il futuro dissolvendolo, il passato e, ovviamente, il presente. L’ “adesso” è già passato. Non c’è niente a cui appigliarsi, e dove non c’è niente c’è anche tutto. Io sono te così come tu sei me, di nuovo. Esistiamo come idea. Creiamo forme dal vuoto. La forma è temporale. Il vuoto è eterno. La scelta è nostra, ma in realtà non c’è scelta alcuna.

“Arthur Rimbaud in Verdun” è un urlo di vita. Urla “stop”. Richiede, per un momento nella tua vita, di guardare verso il tuo io più profondo, l’essere che eri prima che nascessero i tuoi genitori. Strappare la maschera del conformismo e restare nudi e orgogliosi.

Da quel momento in poi sei libero. Condividi quella libertà, dalla agli altri, e se la rifiutano donagliela di nuovo. Questo è amore, il grande comandamento: dovrai amare finché l’amore sarà totale e tutta la sofferenza sarà finita.

 

Ora torno indietro nel tempo solo una volta, ma devo farlo. Un sacco di band negli anni ‘70 e ‘80 cantavano di politica e anarchia ma voi, coi Crass, la vivevate e la spiegavate. Punk e hardcore non erano solo moda. E di questo vi sarò sempre grata.

Sii grata a te stessa per averlo visto. Sei tu, non noi, che hai scelto il sentiero da seguire. Mantenilo, ma ricordati che se cammini in linea retta per troppo tempo finirai per incontrare un muro.

 

Qui sotto trovate la traduzione del saggio scritto da Penny Rimbaud.

 

Una buona ragione come un’altra per morire

Arthur Rimbaud è morto di cancro nel 1891, mentre la Battaglia di Verdun è stata combattuta nel 1916. Quindi, mentre Rimbaud in un momento o in un altro potrebbe ave visitato la città di Verdun, sicuramente non era presente alla sua difesa. Quelli che lo fecero soffrirono 162.440 morti, centinaio più o meno. E’ stata la battaglia più sanguinosa della Prima Guerra Mondiale e la più lunga nella storia della guerra.
Quindi come, potreste chiedere, ha fatto Arthur a ritrovarsi nel fango e nel sangue delle trincee? La verità è che l’ho fatto arrivare li perché ero affascinato dall’idea di sapere come il più grande poeta francese poteva rapportarsi con l’enormità della guerra. Mi chiedevo che lezioni potesse apprendere e poi trasmettere a un pianeta ancora così ossessionato dal conflitto, dal cordoglio e dalla sofferenza.
Non sapendo da dove iniziare ho preso in prestito le orecchie di John Coltrane e gli occhi di Jackson Pollock e mi sono avventurato in un inferno vivente con Arthur al mio fianco. Ovviamente è servita una certa convinzione per far si che mi seguisse in questo viaggio. Era nato per quello: disposto a morire se significava farlo meglio di vivere.

Lo posso vedere ora, la sua forma magra che si muove fra le ombre, spostando a calci i ratti, sempre allerta e evitando il sonno, perché il sonno era il nostro nemico più grande. Costantemente incuriosito, mi chiedevo cosa volesse da tutto questo. Quando ho chiesto, la sua risposta fu semplicemente “di più”.
In quel periodo ho condiviso il suo umorismo e il suo dolore, la sua passione e la sua poetica, anche se a volte mi stancavo delle sue ossessioni. Quante volte deve aver urlato “Guarda” quando io non vedevo niente, “Qui, guarda, guarda qui” dove per me c’era solo buio e morte. Quando ero molto stanco mi chiamava spesso Paul, ma di solito ero troppo affaticato per rispondere. Ma amavamo, nutriti dalle fiammate, distrutti dalle bombe, bruciati dalle esplosioni, a braccetto finché le braccia non sono scomparse.

E poi cacciando nella landa desolata di filo spinato cui erano appesi cadaveri. Le schegge vi lasciavano numerosi orifizi, e Arthur era prono a notarli. Durante la nostra missione ero consapevole della sua contrarietà. Solo lui poteva vedere il lato oscuro della Luna, vedere da dietro la sua testa, tirare la testa fuori dal culo.

Il suo temperamento era profondamente surreale, sempre pronto a ribaltare la situazione, fare una battuta sull’orrore, una maschera di deturpazione, un amante da un cadavere.

In un’occasione riuscì a convincere la dolce Ofelia a unirsi a noi in un’incursione nella terra di nessuno. Recitò Amleto, monologando mentre la sovrastava in un buco di bomba puzzolente: più, credo, come una tragica accettazione della perdita che un intercorso erotico. Quel giorno il gas era particolarmente nocivo: fosfene.

Molti ne morirono.
Anche se molti di coloro che incontrammo in quei tunnel turgidi di morte potrebbero, in un momento o in un altro, essere caduti nell’auto commiserazione Arthur non glielo permetteva.

Tutto poteva essere tradotto e usato per sfidare i concetti borghesi o riformato per negare il dogma materialista. Guardando fuori nella desolazione delle rovine bruciate e marcescenti mi informò che questo era il tanfo di Versailles; l’aria fetida dell’aristocrazia, peti di morte.

E così indossammo le parrucche e ci incipriammo il viso mentre ci arrendevamo, e arrossammo le nostre guance e labbra e capezzoli mentre ci lasciavamo scopare. E scopati fummo. Le baionette non erano niente in confronto alla verga, e la maggior parte dei ragazzi ne erano al corrente. Era una rivelazione.
Eravamo amanti. Eravamo amici, sublimi nella nostra fratellanza, ma ho la strana sensazione che nessuno di noi due sia sopravvissuto al terrore di Verdun*. Insieme abbiamo sguazzato nel macinato di sporco, ossa e carne strappata, senza sapere chi di noi era cosa e senza che ci importasse chi fosse quell’unità che si era formata così crudelmente in quel liquame.

Si, eravamo detriti, e in ciò abbiamo trovato noi stessi e il nostro essere. Il vuoto era completo, e un’altra alba sorse sopra il carnaio.

*Rimbaud smise di scrivere all’età di vent’anni. Iniziò a viaggiare, eventualmente diventando un rivenditore di armi e caffè. Morì a ventisette anni.

 

 

PENNY RIMBAUD
‘Arthur Rimbaud in Verdun’
20 novembre
One Litte Independent Records/Audioglobe
 
tracklist:
Intro – Part One – Intermezzo One – Part Two – Intermezzo Two – Part Three – Intermezzo Three – Part Four – Intermezzo Four – Part Five – Intermezzo Five – Part Six – Intermezzo Six – Part Seven – Intermezzo Seven – Part Eight – Intermezzo Eight – Part Nine – Intermezzo Nine – Part Ten – Intermezzo Ten – Part Eleven
 
Performer Credits
Penny Rimbaud – Text & Voice
Evan Parker – Tenor Sax
Louise Elliott – Tenor Sax
Ingrid Laubrock – Tenor Sax
Production Credits
Paul ‘PDub’ Walton – Recording Engineer
Alex Gordon – Mastering Engineer
Penny Rimbaud – Production
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