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Interviste

Aenea, si mette a nudo e prova a dare un senso alla sua fragilità regalandoci il suo primo singolo, Trailer del Paradiso

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AENEA è un essere umano che ha trovato nella musica la possibilità di esprimersi con purezza, microfonando il cuore. Ha chiesto alla musica il permesso di essere completamente se stesso, con tutte le sue contraddizioni, con tutti gli ossimori che vivono in lui e con tutta la sua incoerenza, senza filtro alcuno. Manifestare la sua ipersensibilità – che gli logora la vita – tramite una melodia è la sua terapia: ha bisogno di esprimersi per trovare qualcuno che gli assomigli, per dare un senso al dolore. Con la pubblicazione della sua prima canzone, “Trailer del paradiso”, si spoglia, affrontando le sue paure e mostrando la sua parte più pura.

Parliamo un po’ di questo brano, Trailer del Paradiso, che è uscito da circa un mese fa e di chi sia Aenea.

E’ una spiegazione complicata: Aenea è un ragazzo, sono io. Un ragazzo di 24 anni. E’ un progetto iniziato due anni fa, partito tanto tempo prima dal punto di vista della stesura di testi, che prima non erano nemmeno canzoni, e poi cresciuto e maturato come vero e proprio progetto musicale. Questo brano, la prima canzone che è uscita, non è la mia prima canzone ma forse è la più necessaria di tutte. Avevo piacere a presentarmi nella maniera più spoglia e nuda possibile, con un brano puro che si trovi sulla riva opposta di quella che può essere considerata musica più artificiosa, che può e magari farà parte delle prossime uscite. Al momento non credo perché nel primo album non c’è niente di tutto ciò. E’ musica necessaria, pura espressione della mia vita, ed è quello l’intento del brano: parla di una storia d’amore mai nata e mai finita, parla di una donna, e racconta in modo spietato quella che era l’emotività che provavo quando l’ho scritta.

 

E’ di molti anni fa?

No, non essendo mai finita è attuale, ma non essendo mai iniziata è eterea. La canzone l’ho scritta a febbraio, se non sbaglio. Quindi Aenea è la parte più pura e fragile di Alessandro, la parte che di solito amava stare nel pozzo e adesso ha scelto di stare su un piedistallo.

 

Questa è la cosa che un po’ mi ha incuriosito quando ho visto il progetto: basandomi sulla canzone, le foto, il tuo profilo, mi è sembrato credibile quello che dicevi, mi è sembrato reale. C’è chi costruisce il personaggio puntando al dramma per attirare l’attenzione, ma nel tuo caso mi sembra tutto molto reale.

Purtroppo è proprio questa tendenza che distrugge la verità.

 

Infatti è proprio questo il motivo per cui ho chiesto un’intervista che ci desse modo di parlare come si deve.

Mi fa estremamente piacere, anche questa considerazione che hai fatto.

 

Tu , come molti artisti, confessi di essere una persona che nella propria vita privata fa molto fatica ad aprirsi e a mettersi a nudo. Mi affascina il processo per cui poi gli artisti lo riescano a fare, in teoria, di fronte a migliaia di estranei tramite le loro canzoni.

Ok, non credo sia propriamente così. Io faccio estremamente fatica tuttora, faccio fatica anche ad ascoltare il brano. E’ come quando la mamma, per insegnare a nuotare al bambino di tre anni, lo butta in piscina. Il bambino in quel momento ha paura di affogare non sa di imparare a nuotare. Non ha ne coscienza ne autocoscienza quindi non sa che attraverso quel trauma potrà imparare, lo sa solo la mamma. Nel mio caso, non essendo un bambino, dati svariati percorsi penso che questa sia la strada migliore per portare Alessandro ad accettare una parte di lui, che chiamiamo Aenea, che non ha mai accettato. A volte è più facile dirlo a tante persone che non a una sola: dirlo al migliore amico per certi versi può essere più complicato, perché c’è una conoscenza pregressa. Quello che mi affascina di dirlo a tante persone è che c’è un salto nel vuoto molto più ampio, richiede un’empatia incredibile, e visto che tutto il mio progetto ruota intorno alla passione e alla verità, e non ho messo empatia solo per non citare la lettera finale di Kurt Cobain, è un sogno in realtà ottenere un legame empatico così forte con chi non ti conosce e si immedesima nelle tue canzoni.

Questo brano parla dell’attrazione fatale per una donna, il coraggio sta semplicemente nel riscrivere in modo così puro e sognante la disperazione per quell’amore, essere così spietati anche nel comunicarlo quando vivo in una società che tratta i rapporti sociali come i rapporti politici. Dire la verità su quello che si pensa di una persona è rarissimo: il mio sogno più grande è che domani possa essere questa la normalità. Vedere che da quando è uscita la canzone ci sono state tante persone che mi hanno scritto, perché si sono sentite vicine a una persona che ha e vuole avere il coraggio di esprimere una parte di se con naturalezza e senza provare vergogna alcuna, è incredibile. Per me è la cosa più bella che poteva succedere, che qualcuno si ritrovare in quello che ho scritto o comprendesse questo punto di vista. Bisognerebbe sempre giustificarsi quando si dicono cazzate o quando si fa artigianato, è la cosa contraria all’arte, e sono fortunato a non esserci arrivato per contrarietà. Quando si fa artigianato c’è bisogno di spiegare: quando si fa il contrario l’unica cosa che si richiede è verità e la possibilità di sentirci e creare un legame empatico. Credo sia questo che ci salverà tutti quanti.

 

Quello che ti spinge è più una catarsi personale o il diffondere un messaggio che possa essere in qualche modo utile agli altri?

 Non mi viene da fare questa differenziazione. Ti vorrei dire per entrambi, è un lavoro che funziona per entrambi, dando per scontato che la cosa importante è confrontarsi ed esprimersi. Se tiro fuori qualcosa di difficile, di duro, di particolarmente sensibile o che mi possa far male tirar fuori lo faccio perché voglio migliorare, voglio risolvere qualcosa.

In qualche modo è sicuramente vero, ma non mi piace il fatto che possa passare che Enea faccia questo per risolvere un problema, perché in passato quando volevo risolvere un problema legato alla mia ipersensibilità sono andato dalla psichiatra on ho scritto canzoni. La musica non serve a risolvere un problema, ma può dare un contenitore a tutto quel flusso che non riesco a contenere, nella speranza che qualcuno possa abbracciarlo. In quel momento io starò meglio, e spero anche lui. Non credo la musica possa risolvere direttamente questo problema. C’è chi dice che la musica lo ha salvato, ma in realtà quello che salva è il legame empatico che nasce con chi ti ascolta.

 

Esatto: tu parli con la psichiatra io magari con alcuni miei amici ma penso che in generale, quando si ha una difficoltà emotiva, a volte dirla ad alta voce aiuti ad affrontarla meglio.

Quello sicuramente, esteriorizzare fa sempre bene. Quando ho scritto questo pezzo ho iniziato a piangere e non ho smesso per un discreto tempo, quindi non so dirti se mi ha fatto granchè bene! E’ indiscutibilmente vero: tirare fuori qualsiasi atto che sia portato verso l’esterno in modo sincero sicuramente aiuta, è sicuramente terapeutico. Ieri una ragazza che non conoscevo mi ha mandato il testo di Trailer del paradiso appeso in camera, e io mi sono salvato una settimana di vita.

 

Sono contento che tu me lo dica, perché la parte che mancava del concetto è che quando magari si esprime qualcosa di così personale, e poi come in questo periodo mancano i concerti, manca la parte più terapeutica dell’aprirsi. Tu mandi il tuo pensiero nella canzone, ma purtroppo non hai il confronto diretto con chi l’ascolta. E’ un liberarsi a metà.

Esattamente, mi manca da morire, ma è anche stimolante: vedere che c’è una persona che alle 3 di notte mi scrive e si apre, dicendomi perché quando ha ascoltato la canzone è stata meglio, è il motivo per cui faccio quello che faccio. Mi ha chiesto scusa 10 volte per avermi attaccato un cosiddetto treno, ma mi ha reso la persona più felice del mondo e mi ha salvato la vita, perché c’è una persona che ha scoperto che c’è qualcuno come lei. C’è una frase del mio maestro che dice “Ci fa disperare non vedere qualcosa che ci assomiglia” e io in quel momento ho trovato lei, e per questo sono l’uomo più felice del mondo.

 

Quello di cui mi sono reso conto ultimamente, e tu me ne hai dato prova almeno tre o quattro volte, è che siamo arrivati a un punto tale in cui le persone sensibili devono giustificarsi e chiedere scusa per esserlo.

Esatto, ti rendi conto di quanto sia grave?

 

Siamo al punto in cui le persone insensibili ci hanno portato a far credere che siamo noi quelli sbagliati.

Le due derive di questo problema sono una quella che hai citato tu all’inizio dell’intervista, il fatto che si tenda a fare del dramma un’arma, e quella è una deriva puramente economica di questo mondo: prendo la persona in difficoltà, lo porto nello studio televisivo a raccontare quanto piangeva nella cameretta. E’ usurpare il concetto stesso di sensibilità. L’altra deriva è nascondere l’ipersensibilità, un carattere o una fragilità psicologica: ti dico quasi “resti fra me e te”, anche se non ha senso, e questo è quel sogno che nemmeno lo voglio dire, non lo voglio nemmeno dire che penso che sia la missione della mia vita. A livello ontologico è vergognoso che una ragazza si debba scusare con un artista perché sente quello che sente, e che invece se vuole dire “Che cazzo di figata, che bomba, sto in loop porcoddue” lo dica felice di dirlo perché sa che dall’altra parte ci sarà un feedback positivo. E’ un ribaltamento dei valori che va combattuto, portando rispetto anche per chi ha un’estrema difficoltà a mostrare il suo lato sensibile per altri motivi, non voglio nemmeno esaltare chi ha solo certe caratteristiche!

 

Però ultimamente mi sono reso conto che siamo arrivati a un livello di cinismo tale che se tu ci rimani male perché sei sensibile sembra quasi che un po’ te la sia cercata. E’ come quando dicono “vabbè, però ti hanno stuprata perché avevi la minigonna”. E’ la stessa cosa: se dai valore a sentimenti e rapporti, se le parole hanno un peso, la parola amicizia e amore diventano un patto sigillato col sangue, e ci rimani male perché dall’altra parte non è così un po’ te la sei cercata. Se sei debole è colpa tua.

Anche questa cosa in realtà è una deriva economica del mondo: l’approccio cinico che tantissime persone sono costrette avere spesso è una reazione passivo-aggressiva ad un trauma precedente, che porta al cinismo anche la persona più sensibile del mondo. Il dire che c’è rimasto male perché è debole è perché viviamo in una società che chiede a tutti di essere performante: se una donna mi rifiuta e le dio che ci sono rimasto male sto sbagliando, perché in realtà non devo far vedere niente, Questi meccanismi sono entrati talmente dentro la società che se una donna mi dice che non mi vuole più, e io le scrivo Trailer del paradiso, io devo vergognarmi.

 

Però ci sono stati momenti storici in cui essere cinici era visto come una cosa sbagliata.

Momenti storici meravigliosi.

 

Però adesso è un valore.

Ripetto, è una deriva puramente economica: deriva tutto dal fatto che la sovrastruttura che ci governa è economica, il campo semantico che ci governa è economico, capitalistico, quindi quando una persona deve diventare performante come una macchina abbiamo distrutto qualsiasi cosa. Se un uomo non può più piangere abbiamo distrutto tutto. E’ successo un po’ tutto dalle rivoluzioni industriali in poi.

 

Lo sai vero che ti sei messo in una delle industrie più ciniche che ci sono in questo momento?

Si, ma hai visto quanto sono stato attento a spiegarti la storia dell’artigianato? Perchè lo so che è così, ci ho lavorato, non sono una persona che viene da una capanna, ma tutto questo è estremamente stimolante, rende più bella la sfida. Tutta l’industria dell’arte è stata stuprata da concetti economici, che l’hanno privata della sua bellezza, ma non sarò mai uno di quelli che ti dicono che quindi non c’è niente da fare, è tutto buio e non c’è niente da salvare. La fiamma ardente che ho dentro non me la butta giù nessuno.

 

Questo 2020, nel mondo della musica, ha scoperchiato il Vaso di Pandora. Un sistema che ha preso una deriva sbagliatissima di fast food musicale in cui partecipi a un talent, diventi famoso per qualche video su YouTube, ti acchiappa un ufficio stampa, produci, fai concerti, fai due o tre tour in due anni e sparisci. Se venti anni fa invece fosse successo quello che è successo adesso forse l’industria musicale ne avrebbe risentito meno, perché gli introiti arrivavano di più dalla vendita dei dischi, i concerti erano molti meno e la gavetta era più lunga.

Sicuramente ne avrebbe risentito molto meno per motivi economici: c’erano margini di guadagno più alti per l’artista e la musica. Il mondo dello streaming va colto nella maniera sana, che fa in modo che tutti possano esprimersi, e io sono per l’espressione massima di qualsiasi individuo, anche di quello che non ha la capacità di farlo perché credo ci sia arte anche in quello, più che nell’eccesso di tecnicismo. Il mondo della musica si è fatto trovare sprovvisto, e quando questo succede si ricorre sempre ai tecnici: se si vede chi sono i leader dell’industria musicale italiana e apri i loro curriculum ti rendi conto di chi parliamo, ma è sempre stato così.

I cosiddetti hit maker: persone che sanno cosa, come, quando scrivere.

Esattamente! Se tu metti il concetto di libera concorrenza e competitività nell’arte la uccidi, perché si trovano nei poli opposti. Io non vedo l’ora di morire per andare in paradiso e raccontare a Van Gogh cosa ha combinato in vita. Spero di riuscire a convincerlo perché secondo me starà così male che non ci riuscirò. Lo riconoscerò subito però, lo andrò a cercare a posta. Io in questo senso sono stato fortunatissimo, perché nel mio percorso ho trovato persone che sono riuscite a sentirmi e hanno capito chi sono, qual è la missione di Aenea, come il mio manager. Per determinate cose, per la bellezza, lo spazio ci sarà sempre. Purtroppo però è sempre più difficile.

 

Hai detto che ti sei dato al cantautorato già da un paio d’anni, ma eri riuscito ad avere un approccio live prima del Covid o era previsto per quest’anno?

Assolutissimamente no. Ufficialmente non sono mai salito su un palco. Non ci sono mai stato col microfono in mano, pronto a cantare, o meglio l’ho fatto ma solo con amici.

 

Quindi ancora non sai come sarà guardare in faccia, nel buio della sala, le persone innamorate della tua musica.

No, e spero di uscirne vivo. Penso che probabilmente sarà scioccante. Io vivo tutto in maniera esagerata, pure quando sto in studio e ci sono musicisti accanto a me, quando finisco di cantare resto in trance almeno una mezz’ora. Non ho mai voluto sottovalutare questo atto incredibile di amore ed espressione, l’ho sempre valorizzato e aspetterò il momento giusto per farlo.

 

Finisco come finisco sempre le mie interviste: se dovessi pensare adesso a quello che ti sta succedendo e dovessi scegliere tre parole per definire cos’è la musica nella tua vita, quali sarebbero?

Mi è semplice, perché sono tre parole che uso nella vita come leit motiv, e sono cuore, passione e verità, e non potrei dirne altre.

 

E invece per arrivare qua, se dovessi scegliere tre album che ti hanno portato ed essere quello che sei?

Difficilissimo. Tre album? Allora (ride) Non posso non dire Canzoni dell’appartamento di Morgan, Dalla di Lucio Dalla, appunto, e…sto pensando…non so perché ho un fortissimo istinto a dirti un album di Massimo Ranieri, ma non lo farò, e ti dico A night at the opera dei Queen.

 

Perchè non mi dirai Massimo Ranieri?

Perchè è un discorso troppo ampio: t’avrei tranquillamente potuto dire Tiziano Ferro, Massimo Ranieri e Gigi D’Alessio, però è un discorso molto ampio e ne avremmo parlato tantissimo altro tempo.

 

 

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