Editoriali

Music Business: l’accelerazione del default consapevole di un settore intero

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Diversi anni fa, anche più di dieci oramai, si veniva presi in giro sia dai colleghi, sia dagli addetti ai lavori, perché si osava mettere in dubbio il fatto che determinati “nuovi” artisti usciti dai talent show non avrebbero dovuto avere poi tutta questa rilevanza mediatica. Voglio dire, sei stato in televisione fino a ieri, devi pure fare 45 conferenze, 22 concertini in localini trendy, 78 video interviste uguali e via dicendo?
Ma no figurati, questo è il futuro della musica, è importante che siano ovunque, ci dicevano.

OK ME LO ASCOLTO

Disclaimer: i Linea 77 avevano capito da parecchio tempo quanto sarebbe successo. Infatti li abbiamo messi nella foto in evidenza.

Diversi anni fa, poco meno di dieci oramai, si veniva presi in giro sia dai colleghi, sia dagli addetti ai lavori, perché ci si permetteva di dire che determinata musica non sarebbe poi sopravvissuta più di tanto alla prova del tempo. Il pubblico a cui si faceva riferimento era, bene o male, lo stesso che da sempre ascoltava (senza nessuna accezione negativa voluta nel sottolinearlo, sia chiaro) Baglioni e seguiva Sanremo ogni anno, quindi qualsiasi tentativo di costruire canzoni con tematiche differenti dalle sofferenze amorose o altre tristezze collegate sarebbe miseramente fallito nel medio/lungo periodo.
Ma no figurati, c’è una platea di ascoltatori completamente nuova e le cose cambieranno rapidamente.

Diversi anni fa, poco meno di dieci oramai, si veniva presi in giro sia dai colleghi, sia dagli addetti ai lavori, perché si diceva “A parte la fanbase che si è creata grazie alla televisione, come faranno certi artisti a continuare a riempire i palazzetti? E’ solo un fenomeno passeggero, verranno dimenticati a breve e a esagerare faranno i club…”.
Ma no figurati, i giovani si affezionano e rimangono fedeli anche se questi sono usciti dalla televisione.

Diversi anni fa, un po’ più di cinque ma non troppo in realtà, si veniva presi in giro sia dai colleghi, sia dagli addetti ai lavori, perché si sosteneva che tutto questo sbilanciamento dell’informazione musicale (e relativo intrattenimento) verso i social network avrebbe sì dato visibilità agli artisti ma avrebbe annullato completamente il ruolo dei professionisti e delle testate di settore. Insomma che senso aveva privilegiare l’informazione su Facebook e Instagram se poi le tue pagine su queste piattaforme non sono di tua proprietà e vanno a togliere centralità al “tuo” sito web, che rimarrà in ogni caso il luogo in cui costruire archivio, credibilità e importanza di un giornale?
Ma no figurati, i siti sono finiti e oramai si farà tutto sui social.

Diversi anni fa, non più di cinque, forse anche meno, si veniva presi in giro sia dai colleghi, sia dagli addetti ai lavori, perché si ragionava sul fatto che questa ostentata corsa ai numeri a tutti i costi, agli streaming, alle certificazioni, cozzasse con una povertà di fondo in termini qualitativi (della musica stessa), e avesse la pericolosa controindicazione di realizzare una produzione in serie, finalizzata soltanto a immettere sul mercato una marea di brani (bene o male identici tra loro), e di impostare determinati generi quali unici ascoltati e riferimento assoluto per le nuove generazioni.
Ma no figurati, la trap è il nuovo rock e i giovani determineranno il futuro come successo col punk 40 anni fa.

Diversi anni fa, meno di cinque in realtà, si veniva presi in giro sia dai colleghi, sia dagli addetti ai lavori, perché si dubitava della scelta fatta dalla RIAA (seguita poi a catena da tutti gli altri organi che producevano classifiche) di inserire lo streaming quale elemento fondamentale per stilare chart e determinare successi (e revenue) per chi incideva singoli e album. Il dominio di Spotify avrebbe inevitabilmente nel medio periodo creato un mercato in cui una ristrettissima minoranza di artisti guadagnava, mentre la stragrande maggioranza degli altri (in una percentuale vicina al 95%) avrebbe visto non solo ridursi ulteriormente i guadagni derivanti dalle vendite fisiche, ma anche costretto chi creava arte (perché, ogni tanto giova ricordarlo, la Musica è la forma più popolare di Arte, ndr) ad accelerare i ritmi di incisione, accorciare le dinamiche che portavano alla registrazione di un pezzo, modificare le strategie promozionali obbligando gli artisti a essere presenti su social network che, buona parte del loro pubblico, frequentava probabilmente per altri motivi e, certamente, ignorandone le dinamiche.
Ma no figurati, è il mercato che cambia, siamo di fronte a una nuova era che distribuirà benessere a tutto il business.

Diversi anni fa, molto meno di cinque, si veniva presi in giro sia dai colleghi, sia dagli addetti ai lavori, perché si faceva notare come a moltissimi concerti andasse in realtà pochissima gente. Che alla fine i raduni rock di artisti ritenuti sorpassati e bolliti facevano ancora numeri da capogiro. Che il nuovo e giovane pubblico, avido consumatore di pezzi esclusivamente da classifica, in realtà poi non è che seguisse così tanto in tour i campioni di numeriche su social e piattaforme streaming. Che alla fine di tutto la produzione in serie di singoli uguali che venivano certificati oro e platino in 48 ore funzionava nel breve termine, ma non aveva alcuna prospettiva nel medio/lungo periodo per moltissimi protagonisti di questa dinamica elevata a modus operandi unico.
Ma no figurati, sei fuori dal giro se ragioni così, non hai capito niente ancora.

Oggi, dopo un (solo, sic) anno di pandemia, queste situazioni stanno esplodendo a ogni livello: si parte da chi ha visto gli (esigui) ascolti su Spotify cancellati da un giorno con l’altro. Per poi spostarsi agli articoli inorriditi dei media (che fino a ieri hanno alimentato la corsa ai like, alla musica di plastica e al click bait) su come gli algoritmi dei social network stiano massacrandoli e diffondendo i loro post a sempre meno utenti; o su come il basare ogni ragionamento musicale sulle numeriche non sia tutto sommato la strada da percorrere; su come forse determinati trend – sponsorizzati per anni come il nuovo che avanza – siano già finiti e via discorrendo.
Fino al boicottaggio dei Grammys da parte di artisti campioni di streaming e alla querelle (è solo questione di giorni credetemi) su un Festival di Sanremo che deve essere fatto a ogni costo nonostante l’Italia sia ancora in mezzo a zone rosse e arancioni.
Inoltre molti (ma molti) artisti hanno iniziato ad accorgersi che, senza concerti, i 4.000 dollari lordi di revenue per 1 milione di stream totalizzati su Spotify, non potranno mai permettere loro di sopravvivere né ora né mai.
Le tematiche (e le questioni collegate) sul tavolo sono ben più numerose e parecchio più intricate rispetto ai miei riassunti di cui sopra. Ma non è il caso di dilungarsi oltre.

Tutto questo per dire cosa?
Ma no figurati, niente di che: è un bel problema per tutti. La pandemia mondiale ha cambiato ogni cosa.
Certo. Però sarebbe piacevole non dover aspettare un deragliamento simile del mondo in cui hai lavorato per praticamente 20 anni (dovendo sempre dimostrare di essere competente e preparato, quando di fronte avevi spesso babbei epocali che pontificavano basandosi sul nulla cosmico), per poter dire: “Ma no figurati, è che forse avevamo ragione noi e non ci avete capito niente fin dal principio. Adesso godetevi quanto avete contribuito a creare”.

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