Interviste

Ron Gallo, PEACEMEAL è un album senza confini

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PEACEMEAL, uscito in tutto il mondo il 5 marzo 2021, vede Gallo uscire dai confini oscuri del garage e fare musica senza un limite o un piano. Il risultato è un miscuglio di hip-hop ’90, r&b, weird pop, jazz e punk – la sua versione di “musica pop”. Nonostante le sonorità siano cambiate da disco a disco, e ancora di più con questo, il senso di umanità, di humor e una visione del mondo eccentrica è il punto in comune di tutta la musica di GalloQuesta volta vediamo un Gallo libero da aspettative, esplorando la musica nuovamente con un fascino quasi infantile e suonando personalmente quasi tutti gli strumenti, con l’assistenza del produttore Allen (Gnarls Barkley, Animal Collective). Scritto in una situazione simile a quella in cui si sarebbe ritrovato il mondo un anno dopo: l’introversa, isolata prospettiva che è diventata stranamente universale.

La dichiarazione d’intenti di Gallo è passata da una parte all’altra dello spettro – dove dall’essere un giovane ragazzo frustrato che provava a cambiare il mondo mescolando persone con noncuranza è arrivato a un qualcosa con molta più luce ma ugualmente potente – di essere sé stesso sempre e comunque e incoraggiare gli altri a fare lo stesso, una delle cose più radicali da fare in un mondo che prova a impacchettare ogni cosa, e dimostrare che a farlo ci si può divertire.

Provare a etichettare Ron Gallo è come provare ad afferrare l’acqua con la mano. Se si dovesse fare, è come il monaco con il mandala: crea qualcosa per poi distruggerla. Non intenzionalmente, sia chiaro, ma più per necessità, per rimanere autentico, per sempre. La sua unica costante è… che non c’è nessuna costante.

Sei sicuramente uno degli artisti più particolari che abbia mai intervistato. I tuoi brani sono sempre imprevedibili e difficilmente catalogabili. Questo esce sicuramente fuori dall’abitudine “moderna” di catalogare tutto in playlist di brani facilmente skippabili. Come definiresti la tua comfort zone e come ne esci ogni volta?

Credo che definirei la mia comfort zone dicendo che non ho una comfort zone! Magari faccio qualcosa per un po’, poi smetto e inizio a fare qualcosa di completamente diverso, cerco sempre di creare da cosa succede e da cosa mi sembra genuino, il che cambia sempre. Forse la mia comfort zone è non essere mai comodo, mi spinge a crescere, a tenermi interessato.

 

Dovrebbe essere così con ogni tipo di arte: quando non sei famoso cerchi di essere diverso dagli altri, e quando finalmente hai successo smetti di voler cambiare, per paura di perdere tutto.

(ride) Esatto! E’ ciò che spinge la gente a chiedersi “E se perdo tutto? Che succede se perdo tutto?” E’ ciò che li spinge a mettersi “comodi”, e io lo odio. Il comfort è un killer di creatività per me.

 

Solitamente cerco di non chiedere di spiegare una canzone o un disco ad un artista: tutti ti conoscono, sanno cosa fanno e cosa acquistano. Voglio chiederti: ho ascoltato le tue canzoni e scegli sempre un diverso microfono, strani rumori, differenti distorsioni per la tua voce. Come scegli dove e come mettere questo tipo di elementi non propriamente melodici?

Mi piace mettere rumori strani e un’atmosfera strana, adoro quando succede nei dischi, e di solito succede una volta. Dal punto di vista di produzione adoro creare un certo tipo di improvvisazioni che fanno succedere le cose una sola volta e rendono tutto così particolare. Crea questi momenti speciali che fanno interessare le persone. E’ come fare qualcosa di imprevisto per qualcuno che soffre di deficit di attenzione: “ok, sta diventando monotono, ho bisogno di qualcosa che cambi tutti”.

 

Hai scritto una canzone d’amore e l’hai chiamata Please don’t die. Chiedi a qualcuno di non morire e non di “amarmi di più”. Tu dici “Puoi anche non amarmi più, ma ti prego, non morire”. Inoltre in una dichiarazione hai definito il tuo percorso da solista come qualcosa che nessuno può interrompere, finisce solo se muori.

Ho letto più volte questa cosa e so che nessuno sceglie la morte come modo per definire sé stesso. Qual è la tua relazione con questo argomento? Non è comune.

Grazie davvero per questa domanda. Si, non so cosa succede, ma per me, quando scrivo una canzone del genere perché trovo qualcuno o qualcosa che amo davvero, scatta subito il meccanismo che mi porta a pensare che prima o poi morirà. Trovi qualcosa di davvero splendido, e quando arriva sai che prima o poi finirà. Non so perché il mio cervello funzioni così, ci sto lavorando, ma gioia e amore mi ci fanno pensare di più. E’ uno strano reality check, ma c’è anche qualcosa di bello nel ricordare a te stesso che la fine è inevitabile perché ti spinge ad apprezzare tutto molto di più. Se non ci pensi vivi come se non dovesse mai succedere e, per quanto oscuro e triste possa essere, rende anche tutto molto più prezioso.

 

È strano come a volte si percepisca la morte di qualcuno caro come la fine di tutto il nostro mondo, ma si abbia la stessa percezione quando si pensa alla propria morte.

Esatto, credo che alla fine sia proprio questo: è molto più doloroso perdere ciò che ami che perdere te stesso, quando muori non provi più niente, credo. E quello che provi dopo è una riappropriazione.

 

Personalmente lo scorso anno ho provato su me stesso la paura di morire di covid. Essere solo in quella stanza per 74 giorni, senza sapere se avrei rivisto tutti mi ha spinto nella direzione di un cambiamento radicale nel modo di vedere le cose nel tentativo di apprezzarle di più. Abbiamo tanto, abbiamo così tanto: e usiamo solo le cose e non il tempo.

Giusto. Oddio, questa intervista dovrebbe essere fatta a te! (ride)

 

Oh, no, no no no! (ride)

Ma per la musica è ottimo: è una bellissima storia con un bellissimo finale, e credo che prima o poi dovrei essere io a intervistare te!

Oh! E’ così rinfrescante non sentirsi chiedere sempre le stesse cose.

 

Anche perché i fan hanno bisogno di sentire questo dagli artisti: tu dai qualcosa con la tua musica, e le persone devono sentirlo quando sono all’ospedale, mentre fanno sesso o pranzano. E magari sentono qualcosa che non ci volevi mettere, è la loro interpretazione, e credo sia meglio, più interessante per i fan, sapere che Ron Gallo non è solo quella creatura arancione in fotografia.

(ride) Esatto, ti ringrazio!

 

Ma è qualcuno che è nella sua stazza, a volte si sente strano, ama la sua ragazza, forse ha un sacco di momenti di insicurezza e fragilità…ti rende più umano.

Giusto, esatto!

 

Ok, ora per essere più leggeri: come mai un artista sente il bisogno di includere uno shop online al suo progetto artistico? E’ una cosa molto cool!

Oh, grazie! Alla fine del 2019 sono stato in Italia per qualche mese e ero li con Chiara. Sto ancora imparando la lingua e mi sentivo un po’ un alieno; avevo parecchio tempo per me e mi sono messo a creare questo sito con lo shop e tutto. Avevo bisogno di lavorare su qualcosa e creare il mio piccolo mondo, per condividere ciò che mi piaceva. Quando la pandemia è iniziata sono stato a casa e alla fine non puoi produrre solo musica all’infinito, no? Così mi sono messo a disegnare vestiti. Ed è stato divertente aprire il negozio, creare una maglietta o dei pantaloni e metterli subito online. Poi è iniziata la pandemia, e mi ha dato qualcosa su cui impegnarmi, trovare altri modi per comunicare.

 

Te l’ho chiesto, perché in un’intervista di due anni fa circa qualcuno ti ha chiesto qualcosa a proposito delle immagini sulla cover degli album e hai detto che fai tutto da solo, e che non sei un buon artista.

(ride) Quando non impari qualcosa in modo forma è dura arrivare al punto in cui pensi di essere bravo. Io ho imparato a fare le cose mentre le faccio e non mi ritengo assolutamente un buon grafico o disegnatore di magliette, solo qualcuno in grado di fare ciò che fa, ma che non potrebbe fare altre cose. Non so davvero cosa sto facendo, ma lo faccio funzionare.

 

Ti dirò un segreto: non sono un giornalista, sono un fisioterapista! Non sono qualificato per fare ciò che sto facendo!

(ride) Si, ma sei uno fra i migliori con cui ho parlato, uno dei più interessanti!

 

Oh grazie! Ora, se vuoi dire qualcosa su Peacemeal adesso puoi farlo. Ti faccio almeno una domanda normale!

(ride) Uhm…ok. Sono molto eccitato, è come esplorare un territorio nuovo senza fare niente di già fatto. E’ pop colorato, divertente e strano che non avevo mai esplorato prima, ed è molto diverso da tutto ciò che ho composto fino a ora, e lo dico anche per chi mi ascolta. Spero trovino il modo di amare entrambi! Vedremo, immagino.

 

Probabilmente questa è la ragione per cui hai iniziato il disco al contrario.

(ride) Esattamente! Oh, non ci avevo mai pensato!

 

Non voglio rubarti tempo, e mi piace sempre chiudere le interviste con queste due domande. Quando pensi al momento che stai vivendo, in che modo definiresti la musica con la m maiuscola con solo tre parole?

Uhm…silenzio, follia e amore. E’ ciò che mi ha mandato avanti per tutto l’anno passato.

 

E pensando al tuo passato e al percorso che hai fatto fino ad adesso: tre album da portare sull’isola deserta?

Girl from Ipanema di Carlos Jobim, poi Danger Doom, The mouse and the mask e Grace di Jeff Buckley.

 

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