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The Heavy Countdown #142: Genghis Tron, Softspoken, Gojira

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Genghis Tron – Dream Weapon
Devo ammettere che ci ho messo un po’ ad arrivare a “Dream Weapon”, nonostante sia stato strombazzato praticamente ovunque (o forse proprio per questo). I Genghis Tron non sono di certo dei novellini, ma il fatto che stupisce di più è che questo LP arrivi senza nessun preavviso a ben undici anni da “Board Up The House”, e che non c’entri quasi nulla con l’hardcore (pure mathcore, se vogliamo) per il quale si erano fatti conoscere in precedenza, anche se a dirla tutta, qualche accenno a livello embrionale del post-rock elettronico di oggi fosse in qualche modo percepibile. Complici gli anni che passano, ma anche l’introduzione di un nuovo batterista e di un nuovo vocalist, i GT danno vita a un sound che pare opera di un’intelligenza artificiale (o aliena), un rituale guidato dai synth, ipnotici e cadenzati, impossibile da togliersi dalla testa nel breve (prendete la title track o “Pyrocene”).

Softspoken – Where the Heart Belongs
Attenzione perché i Softspoken potrebbero essere la next big thing del post-hardcore/metalcore (se prendiamo in prestito la definizione che si è appiccicata in autonomia la formazione del Kentucky), nonostante abbiano all’attivo già due full-length. L’EP “Where the Heart Belongs” però, arriva come un fulmine a ciel sereno, rischiarando non solo le scene sopracitate, ma anche quella del progressive metal contemporaneo, a cui i Nostri devono davvero tanto. Questi ragazzi hanno davvero tutto ciò che serve: tecnica, songwriting, equilibrio tra aggressione e melodia, un vocalist validissimo e i pezzi (uno su tutti, la title track). Se questo è il biglietto di sola andata per il successo, non possiamo che aspettarci grandi cose per il futuro.

Gojira – Fortitude
Dall’uscita di “Magma” (2016), ogni anno, in certi ambiti, non si faceva altro che ripetere “oh dai vedrai che finalmente è la volta buona che esce il nuovo disco dei Gojira”. Ed effettivamente, alla buonora, è successo. Dire che “Fortitude” fosse molto atteso è un eufemismo, e dato il consenso che ha riscosso in ogni angolo del globo, non possiamo di certo lamentarci, considerando che ormai i francesi sono tra le maggiori garanzie del metallo moderno. Ma se “Magma” ha segnato una svolta (stilistica, e non solo) nella carriera dei fratelli Duplantier, in questa ultima opera le strutture del lavoro precedente a volte sembrano riaffiorare e ripetersi pigramente (“Into the Storm”). Un maggiore focus sulla parte ritmica (verrebbe da dire talvolta tribale, come in “Amazonia”) fa prendere una nuova (per i Gojira) strada interessante a “Fortitude” (“Hold On” e “The Chant” ne sono la dimostrazione), ma proprio perché i Nostri rappresentano una delle realtà più intoccabili del proprio ambito, e dopo cinque lunghi anni di attesa, dobbiamo confessare che ci aspettassimo qualcosina in più.

Tetrarch – Unstable
Dicono che non sia mai il caso di giudicare un libro dalla copertina, ma “Unstable” è nu metal fin dalla cover, e fin nel midollo. Sebbene il revival di quelle sonorità che hanno fatto impazzire più o meno tutti tra le fine degli anni ’90 e i primi 2000 non accenni ad affievolirsi, e anzi, torni a riproporsi ciclicamente come una pietanza indigesta, nel caso dei Tetrarch, per fortuna, il senso di déjà-vu è per una volta piacevole. Il secondo disco del combo statunitense, grazie a una veste e una produzione contemporanea, riesce a svecchiare e fare propri riferimenti “antichi” (Korn, Slipknot, ma anche Linkin Park) sfoderando ganci melodici affilatissimi (“Take a Look Inside”, “Sick of You”, “You Never Listen”).

Tilian – Factory Reset
Il prolificissimo Tilian Pearson torna a tre anni di distanza da “The Skeptic” con uno nuovo album solista, “Factory Reset”. L’anima “leggera” dei Dance Gavin Dance sforna uno zuccherino pop rock più raffinato e adulto rispetto al disco precedente (vedi il singolo “Anthem”), magari meno spontaneo e non scevro di riempitivi (“Is Anarchy a Good Hobby?”). Ma c’è da dire che il cantante ha una voce e una presenza tali da fare di base un po’ quello che gli pare, anche se il fantasma della band madre incombe sempre con la sua ingombrante presenza (“Dose”).

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