Interviste
Jacopo Et presenta il suo nuovo progetto, Bologna, balotte e rock n’roll
Oltre ad essere l’autore di numerose delle hit che abbiamo cantato a squarciagola o che, a seconda dei casi, ci hanno perseguitato in radio, al centro commerciale, nei lidi, il bolognese Jacopo Ettorre sta tornando con un nuovo progetto solista.
Amante della moto, del calcio e dell’estate in riviera, Jacopo Et (questo il suo moniker), ha appena pubblicato un nuovo singolo per l’etichetta discografica Garrincha Dischi dal titolo Bellissima, una ballad dalle sonorità anni ’90 tutta da cantare a squarciagola.
Il singolo è parte di un progetto più ampio ancora in divenire, ed è stato preceduto dai brani Gli racconteremo ft. Lo Stato Sociale e da La vecchia guardia ft. Jake La Furia.
Ho avuto l’occasione di fare un paio di domande a Jacopo: abbiamo parlato del suo rapporto con Bologna, con il passato, con gli artisti (e amici) con cui ha intrapreso questo percorso.
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Ciao Jacopo, ben trovato! Stai tornando con un progetto solista che arriva dopo due anni dall’esordio con l’EP Night Club. Stiamo parlando del 2019 ma, non so se anche a te, a me sembra sia passato un secolo. La musica è cambiata? E l’attitudine degli ascoltatori?
Ciao Futura 1993, rieccomi qua. Mah, secondo me è passato davvero un secolo: gli ultimi due anni non credo abbiano avuto i soliti 365 giorni a testa (e sicuramente la pandemia non ha aiutato la nostra percezione del tempo). Comunque sì, due anni fa usciva il mio primo EP, prendevo coraggio dopo un sacco di tempo che non cantavo, cercavo un mio modo di scrivere e di cantare.
Adesso non è cambiato tanto dal mio punto di vista, mi sento molto più consapevole e penso di aver capito cosa cerco con le mie canzoni. È la musica ad essere cambiata del tutto, con l’avvento dello streaming sono usciti 45609876543212345795867346 progetti nuovi e i vari sound di tendenza si sono evoluti talmente in fretta da perdersi completamente – ad oggi non penso esista un sound veramente dominante, ormai tutti fanno tutto e questo è anche un bene a dir la verità.
L’attitudine degli ascoltatori invece è difficile da decifrare (sarebbe una bella scienza quella), ma presumo che l’attenzione sia più bassa e il desiderio di abbandonare un progetto per abbracciarne uno nuovo sia sempre più frequente.
Ma alla fine dei conti chi se ne frega, se non è difficilissimo il gioco non mi piace mai.
Night Club, il tuo primo EP, era interamente autoprodotto. Oggi sei di casa da Garrincha Dischi. Quanto è importante per un’artista avere una label valida dietro le spalle?
È molto importante, si cresce tanto confrontandosi con persone competenti e con tanta esperienza in questo settore. Io ho sempre percepito la musica come un lavoro, un lavoro serio. Un lavoro fatto di piccoli pezzettini con cui arricchirsi ogni giorno.
In questo Paese sembra quasi una bestemmia paragonare la musica a un lavoro; per tante persone che conosco l’artista dev’essere per forza un mega fricchettone completamente disinteressato a trasformare la propria passione in lavoro, l’aspetto economico dev’essere legato esclusivamente alla fortuna. Altrimenti è un venduto.
Ecco io la penso esattamente al contrario quindi sì, stare in un team, prendersi dei sì e dei no, dividere i ruoli all’interno di un progetto e sentirsi parte di una squadra per me è fondamentale.
Ti va di raccontarci qualche retroscena di questa nuova avventura artistica? Da quanto ci lavori?
Certo che mi va, son qui apposta. Ho iniziato a lavorare a queste canzoni nuove subito dopo l’uscita di Night Club: io do alle canzoni un ruolo particolare, mi servono per traghettarmi da un periodo all’altro, per chiudere un capitolo e iniziarne uno nuovo.
Inizio a scrivere le mie canzoni solo quando mi parte un nuovo viaggio e per partire ho bisogno di chiudere col viaggio precedente, non mi piace troppo sparpagliare roba.
I momenti in cui scrivo di più sono quelli in cui sento di aver esaurito il percorso precedente, in quel caso l’EP appunto. Quindi sì, sono due annetti che lavoro a questo nuovo progetto, tra una cosa e l’altra. Anche perché ammetto di essere poi particolarmente pignolo su tutto quello che è il lato “extra-autorale” delle canzoni, ovvero le produzioni, i mix, i master e le grafiche.
Ed essere pignoli porta via tempo, non c’è niente da fare.
Lo stile degli artwork dei nuovi singoli, a partire da La vecchia guardia ft. Jake La Furia, passando per Gli racconteremo ft. Lo Stato Sociale, per arrivare a Bellissima, sembra seguire un pattern ben preciso. Ci sono motivazioni particolari o è una pura scelta estetica?
Sì sì, c’è una motivazione in particolare. Con il mio grafico, Tristan Vancini, e Garrincha abbiamo lavorato per rendere la simbologia appartenente a mondi a me cari come il mondo ultras e il mondo dei biker, più per tutti e meno per soli maschi.
Abbiamo sostanzialmente spogliato quelle simbologie di tutto il loro maschilismo e abbiamo cercato di renderle più universali. Il teschio della Vecchia Guardia, in un normale contesto da stadio, sarebbe stato bianco e nero su sfondo nero probabilmente. Invece il mio è bianco e fucsia su sfondo cielo.
L’aquila di Gli Racconteremo stava bene su una bandiera americana o su uno sfondo militare, invece noi l’abbiamo messa in un alberghino due stelle, simile a quelli in cui andavo io le prime volte che andavo a Milano a scrivere.
La pantera di Bellissima stava bene sul muro di una palestra di boxe e invece è su un palazzo di Via Saffi, in un giorno di primavera. Poi sì, c’è sicuramente una parte estetica non irrilevante, ma non è solo estetica come nella moda del concettuale che ci ha travolti ultimamente.
I primi due singoli vantano la compagnia di artisti molto amati ma appartenenti a mondi musicali molto diversi. Sono nati prima i brani o prima la scelta dei featuring?
Sì, diciamo che ho avuto la fortuna di ricominciare il mio percorso nel miglior modo che potessi immaginare. Sia Jake che i regaz dello Stato sono artisti che stimo particolarmente e che, in modo sicuramente diverso, parlano con la mia musica.
Sono nate prima le canzoni, ma la scelta dei featuring è stata talmente naturale che ad oggi non mi ricordo nemmeno com’erano quelle canzoni senza loro sopra. E poi sì, penso che Jake e Lo Stato siano proprio i confini perfetti del mio progetto, io voglio parlare di Bologna, di balotte, di rock ’n roll, ma dal punto di vista dello stadio, dei biker e della periferia (sono cresciuto a San Ruffillo, il centro di Bologna l’ho conosciuto a 18 anni praticamente).
Tutte le canzoni uscite finora suonano un po’ nostalgiche, sia a livello di testi che di sonorità. Qual è il tuo rapporto con il passato?
Ho un bel rapporto col passato, ma non sono un nostalgico. Cioè non è che sono uno che vive troppo di ricordi, piuttosto mi piace creare ricordi nuovi, cerco sempre di buttarmi in situazioni fuori dalla mia zona di comfort.
Poi sì, per molti la mia musica è “nostalgica”, ma per me è semplicemente la mia musica, parla come mangio. Io sono cresciuto a San Ruffillo, nella periferia di Bologna, passando le serate in piazza a giocare alla tedesca. Quando esco la sera mi piace bermi una birra tra amici, mi piace andare al mare in riviera e d’inverno a sciare a Sestola. Mi piace mangiare in trattoria e andare in moto la domenica.
Quella è la roba che ho da dire, se suona nostalgica pazienza.
Bellissima ha l’intro che sembra uscito da un album degli 883. Tra gli archi, i cori nel ritornello, gli accordi di chitarra acustica da spiaggia, sono tornata alla mia infanzia. Quando scrivi hai ben chiaro il target a cui punti o lasci che le emozioni del momento parlino per te?
Beh, a dir la verità io avevo anche in mente gli Oasis, i Lunapop e per certi versi anche Gianluca Grignani. È vero che cito gli 883 nel pezzo, ma a me non richiama solo loro.
Parlando di target, penso che puntarne uno preciso sia decisamente inutile, oltre che la morte di un artista. Scrivendo anche per altri artisti ho imparato che bisogna cercare di scrivere sempre la canzone più potente possibile, perché se punti solo a un target molte volte quel target è proprio quello che non ti ascolta.
Penso che gli ascoltatori abbiano voglia di essere stupiti ogni volta, se punti a loro vuol dire che pensi di conoscerli e quindi li stai già dando per scontati. E poi forse quando scrivi pensando a un certo tipo di persona non fai altro che emulare musica che piace già a quella persona, quindi forse hai anche poco da dire.
Sempre rimanendo su Bellissima, tratti di una storia d’amore un po’ tossica da cui sei in fin dei conti felice di liberarti. Ti sei ispirato ad elementi autobiografici o hai romanzato tutto?
C’è tanto di autobiografico e un po’ di romanzato. Va bene essere onesti, ma quando si scrive ci si deve anche divertire no?
Non fai mistero di amare Bologna, anche se sei nato poco più distante. Io stessa ho vissuto lì 5 anni della mia vita e non passa giorno in cui non ci penso con un sospiro e un sorrisino. Qual è la cosa che ami di più del capoluogo emiliano-romagnolo? E c’è un posto, a Bologna, che custodisci gelosamente nel cuore?
In realtà io mi considero proprio di Bologna! Cioè sono nato a Forlì, ma a 3 anni vivevo a Bologna. Con tutto il rispetto per i forlivesi (ci mancherebbe), io di Forlì conosco solo l’uscita dell’autostrada, non ho nessun ricordo dei miei anni a Forlì (del resto sfido chiunque ad avere ricordi della propria vita dagli 0 ai 3 anni). Quindi amo la mia città, Bologna, perché li ho fatto materna, medie, superiori e università, lì ho conosciuto la musica e da lì parte la mia musica ogni volta che mi metto a scrivere.
Poi forse per quelli che votano Salvini non sei di un posto se non ci sei nato, ma a me non interessa: io sono di Bologna. Nel mio cuore c’è la Piazzetta di San Ruffillo, che adesso è un posto completamente diverso, ma fino a dieci anni fa era un posto pieno di cuore. Eravamo una balotta (un gruppo di persone) gigante, a volte si arrivava anche a 20/30 persone la sera. Tra partite a calcetto con le panchine usate come porte, canne, qualche denuncia, motorini, ragazze, tra le prime canzoni e anche solo le pizze mangiate fuori al freddo seduti su uno scalino, tutti i miei ricordi più belli passano da lì.
Ultima domanda bonus: qual è il disco o l’artista che più ti ha fatto compagnia durante il/i lockdown?
L’unico disco che ho riascoltato due volte dall’inizio alla fine nell’ultimo anno è Hai Paura del Buio degli Afterhours, quindi direi che la risposta è questa.
Di Marta Verì
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