Interviste
Kemama, il nuovo progetto di Ketty Passa tra atmosfere rock e denuncia sociale
I Kemama (Ketty Passa, Marco Sergi e Manuel Moscaritolo) hanno pubblicato venerdì 4 giugno, il loro lavoro di debutto: Testa o croce non è un disco morbido, da “playlist delle grandi pulizie della domenica”, come ha detto proprio la cantante Ketty Passa nell’intervista che potrete leggere qui sotto.
E’ un disco nato dal bisogno di essere scritto, dall’incertezza che chi vive di musica, e per la musica, si è trovato costretto a vivere e dalla profonda convinzione che ci siano temi che non possono essere dimenticati e lasciati indietro.
Nati durante la pandemia, i Kemama hanno imbarcato nella loro avventura anche Andy dei Bluvertigo, Cippa e Paletta dei Punkreas, Omar Pedrini e Andrea Ra, in quello che è diventato un “urlo collettivo” anticipato dai singoli Codice rosso e Come un body shaming.
Prima domanda, che sorge spontanea: durante la pandemia in parecchi si sono chiusi a riccio e hanno sbattuto di faccia contro un blocco creativo, voi invece siete nati proprio durante quel periodo. Quale gene adorabilmente folle avete ereditato dai vostri progenitori per riuscire nell’impresa?
Onestamente ce lo chiediamo anche noi. Quando si è fermato tutto ci siamo sentiti come quando Alice cade nel burrone per seguire il Bianconiglio.
Ci hanno investito troppe emozioni, abbiamo attraversato troppe delusioni e siamo rimasti sospesi in un punto di domanda per un anno, chiedendoci ogni giorno se avesse senso aspettare o mollare.
Ci siamo accorti che mentre cadevamo nel burrone il viaggio per toccare il fondo era ancora lungo, così abbiamo deciso di arrivarci pronti facendo l’unica cosa che potevamo fare: scrivere, creare, inventare.
Con la consapevolezza che avremmo potuto pestare il sedere da un momento all’altro, ma almeno lasciando qualcosa in aria a cui poterci aggrappare.
Scrivere musica quando la musica è stata messa da parte è stato un atto d’amore ed un gesto disperato di salvezza, una richiesta d’aiuto.
Senza musica non lo sappiamo dove saremmo finiti.
Detto fra noi, ogni vostro pezzo è un cazzotto in faccia ed è una cosa che mi piace da impazzire. Probabilmente lo dicono in tutte le epoche ma, forse, mai come adesso c’è bisogno di ribadire certi concetti che rischiano di venire sepolti dalla marea di immagini e informazioni più o meno importanti che ci arrivano costantemente addosso. Usate la musica come un ariete da sfondamento, in pratica. (non so dove sia finito il punto interrogativo, ma giuro che è una domanda).
Ti ringraziamo, per citare un grande maestro, quello che ci piace ricevere dalla musica è la stessa “carezza in un pugno” che ci piace dare. Col mio disco solista come Ketty non ho realizzato nemmeno un terzo di quello che avrei voluto, in termini di espressione nelle modalità di produzione ed anche per colpa di una mia superficialità derivante da un momento estremamente florido lavorativamente, che non mi portava a “fermarmi” come la musica che dice qualcosa pretende.
Kemama invece nasce da un bisogno reale. Ognuno di noi ha detto qualcosa, coi propri strumenti, non solo musicali, ma anche interiori. C’è tanta sincerità e poco lavoro a tavolino. Visto il momento “liquido” in cui storicamente viviamo, forse non siamo per tutti.
Io nei testi, anche se scritti in italiano, spesso riconosco che andrei “tradotta” per essere capita da tutti. Così come Marco e Manuel con l’uso della chitarra e della batteria.
Forse non siamo per tutti, anche se ci piacerebbe molto, perché vorremmo vedere più persone capaci di fermarsi ad ascoltare le parole ed assaporare il lavoro meticoloso che facciamo in fase di arrangiamenti e produzione, invece di vivere la musica come una playlist per le grandi pulizie della domenica.
Come un body shaming tocca un argomento che trovo tanto importante quanto sottovalutato: credete che adesso, dopo che per più di un anno tutte le persone chiuse in casa hanno fatto un uso spropositato si musica, film, libri e arte per non uscire di testa, le persone inizieranno a capire l’effettiva importanza dell’arte o saremo punto e a capo?
Ti rispondo sorridendo, con il realismo che non abbiamo paura di ostentare: abbiamo perso un’occasione, di nuovo.
Il “ci siamo solo fatti fuori con le nostre mani” è un modo per dirlo. C’è troppa attenzione al chi, invece che al cosa. Se il nostro brano “codice rosso” (che parla di violenza di genere e parte dalle statistiche di violenza domestica del 2020) lo avessero scritto per un progetto con milioni di streaming, probabilmente sarebbe salito su un palco importante o lo avremmo visto condiviso di più. L’importanza dei numeri è diventata spietatamente maggiore rispetto al messaggio, stare a casa ha solo amplificato la voglia di esserci, arrivando a fare qualsiasi cosa per 10 minuti di visibilità, compreso l’odio online. Sono tutte forme di frustrazione. Siamo tutti vittime di una visibilità che però, pensate un po’, non vale per tutti allo stesso modo.
C’è chi la pensa così, chi fa finta di niente e chi mente perché non conviene dirlo.
Omar Pedrini, Andy dei Bluvertigo, Cippa e Paletta dei Punkreas, Andrea Ra: avete tirato dentro un bel po’ di gente. Come vi siete trovati a poteri di nuovo lavorare con altri artisti, anche se magari in modi non convenzionali dovuti alla pandemia?
Sono tutti nomi di persone che conosco e conosciamo nella vita per connessioni passate e che abbiamo deciso di coinvolgere seguendo il flow del momento. Avevo sentito alcuni di loro per altre questioni ed ho pensato mi sarebbe piaciuto farli diventare parte di un messaggio così importante. Ognuno per la sua storia, personale ed artistica.
Una volta scritto il testo abbiamo pensato ad Omar e al suo grande cuore, ai Punkreas che da 30 anni uniscono la musica alle questioni sociali, ad Andy che da sempre rivendica la libertà di espressione ed abbiamo scelto Andrea Ra al basso perché pochi mesi prima che chiudessero tutto abbiamo suonato con lui, per un tributo meraviglioso a David Bowie, trovandoci benissimo. È stato motivante, ci ha aiutati ad avere più grinta nel cominciare questo cammino in cui non eravamo coinvolti solo noi, ci ha fatto partire con un senso di gratitudine enorme verso ognuno di loro e ci è servito per dare un peso ed una misura al mondo delle collaborazioni. A tal proposito, un piccolo consiglio a chiunque stia leggendo e volesse sperimentarlo, il mondo delle collaborazioni è bello soprattutto quando chi prende parte al vostro progetto lo vive con lo stesso entusiasmo, non come un favore. Scegliete bene le persone con cui fare squadra.
Giochino, ma non potevo perdermi l’occasione visto che ci chiamiamo Music Attitude e il vostro pezzo si chiama proprio Attitude: avere un’ attitude, in inglese, vuol dire avere un caratteraccio, un carattere bello forte. Il carattere dei Kemama, se doveste riassumerlo, com’è?
“It’s all About Attitude” è una frase la cui traduzione significa che con l’attitudine si può fare la differenza. Per fare la differenza non serve la perfezione, al contrario, c’è sempre un atteggiamento di rottura, spesso irriverente e poco accomodante. Quindi secondo noi avere un “caratteraccio”, se si parla di libertà di essere chi ci pare e non venite mai meno a noi stessi, ha un valore di unicità che può regalare enormi soddisfazioni. Questo non significa che si debba venir meno all’educazione o che si possa fare “come ci pare”, noi viviamo questo tipo di libertà solo finché non viene intaccata quella degli altri.
“Non obbedire” finché abbia un valore educativo e di progresso per la società e per l’arte, mantenendo il valore più importante di tutti: il rispetto. Detto questo, abbiamo 3 caratteri molto diversi, 3 esperienze di vita altrettanto diverse, siamo millennials e come tali appartenenti ad una generazione che “fa fatica”.
Sicuramente Marco fa da “bilanciere della luce” con me e Manuel, che abbiamo due mondi interiori più complessi, ma una cosa è certa: l’obiettivo è lo stesso e ci auguriamo che questa cosa non cambi mai, perché davanti allo stesso traguardo le differenze diventano solo un contorno con cui dover imparare a correggersi, a convivere e a crescere.
Kemama è energia, amore, tensione e vitalità.
Le premesse per un progetto che possa esplodere e lasciare qualcosa di buono ci sembrano ottime.
Speriamo.