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Interviste

Hu, un talento musicale con i piedi per terra e la testa nella spazio profondo

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Hu, al secolo Federica Ferracuti (classe 1994), è una cantante, producer e polistrumentista Italiana. Questo è quello che si legge all’inizio della sua biografia come artista sul sito di OTR e ma in realtà Federica, alias Hu, è un alieno venuto dallo spazio e che allo spazio tende a tornare. Hu è una creatura che ha deciso di donarci il suo sorriso e la sua musica e dobbiamo approfittarne prima che ritorni tra le stelle.

Conosciuta per caso come turnista di Emma Marrone nel suo ultimo tour, Hu è stata una delle scoperte più interessanti dell’estate 2021 e di sicuro non potevo lasciarmela scappare. Ho passato quasi una giornata con lei durante una delle sue date e da quelle ore ne è uscita fuori un’intervista, alcune foto che sempre porterò nel mio cuore, tante chiacchiere intime e che mai leggerete su una pagina online e, chissà, forse una bella amicizia.

Non spero che vi piaccia. Ne sono sicuro.

Raramente faccio questa domanda, ma il nome Hu da dove viene?

Il nome viene dalla cultura egizia, da una divinità che si chiama appunto Hu che non ha sesso e dà agli uomini facoltà di pensiero e di parola. Mi sono innamorata di questo immaginario e mentre studiavo la cultura egizia ho trovato questo Hu, cortissimo, con un’assonanza bellissima con il “who” inglese. Era il 2017, fine 2016 per la precisione.

Ci siamo conosciuti al concerto di Emma, tu facevi tastierista, corista e chitarrista. Ho scoperto poi questa bomba di musica elettronica che fai. Spiegami un po’ questo percorso.

Allora, parto dal principio: ho iniziato a fare musica quando avevo 11 anni, ho studiato jazz per dieci anni e chitarra, anche se volevo il pianoforte. A casa di mia nonna un pianoforte c’era, quindi replicavo ciò che facevo alla chitarra sul piano. Cantavo e scrivevo ben prima di iniziare a far musica, però nel mio piccolo. Volevo continuare a comporre e il mio maestro di chitarra lo capì, quindi quando studiavo jazz studiavo per lo più improvvisazione perché era tutto finalizzato alla composizione. A quindici anni ho comprato il primo computer con il primo programma per fare musica. Non ci capivo niente. Ho imparato tramite YouTube e negli studi della mia città, non potevo permettermi di andare fuori, però volevo imparare. Da lì ho iniziato a produrre le mie cose. Facevo da turnista per delle piccole band e parallelamente ho cominciato il mio progetto, mi chiamavo IWY. Vinsi un concorso regionale abbastanza grande che mi permise di registrare un EP, autoprodotto a 18 anni. E con questo EP ho girato l’Italia. Per quanto riguarda Emma ho iniziato a seguirla a caso su Instagram, e quest’anno mi ha scelto per il tour perché figuravo come proposta in una lista di nomi. È stato incredibile.

Ti ho vista sul palco con Emma appunto, stavi lì nel tuo mondo. Cioè, facevi le cose “da palco”, però eri nel tuo spazio con le tastiere.

In quei momenti è necessario mantenere il focus, suonare bene, suonare insieme e godersi il momento. Sembra che io sia nel mio mondo ma in realtà è perché non mi stacco mai dagli strumenti. Per me la concentrazione è la prima cosa. Negli ultimi concerti mi sono scatenata, però suonavo la chitarra e l’ukulele, era la mia dimensione, quando suono il piano devo stare super-attenta. La band poi in tour era pazzesca. Quest’anno c’è stata una combo di energie spettacolare, una bella atmosfera, si è creato un bel legame. Mi ha insegnato molto come artista.

Quando lavori come turnista e quando porti il tuo progetto sei la stessa persona?

Sono sempre io, l’attitudine è sempre la stessa. Molti dicono “il turnista suona per altri” e invece no, perché ci sono tanti modi di essere turnista. Ho avuto il privilegio di arrangiare, di rielaborare dei suoni perché le tastiere sono uno strumento molto particolare, sei un po’ l’outsider tra synth effettini e arpeggiatori. Da fuori te ne accorgi, devi incastrarti perfettamente con tutto e farlo funzionare. Non è così semplice, credo richieda molta sensibilità. Devi davvero sentire la musica.

Mentre Federica mi sta parlando per l’intervista, vorrei che chi legge sapesse, ha costantemente il sorriso sulle labbra.

In realtà sono una persona molto irrequieta. I lettori non lo vedranno, ho una ruga d’espressione da dieci anni e ne ho ventisette… ti parlo col sorriso perché mi sento fortunata a fare musica. Vengo dal niente, non ho avuto spinte, ho detto no a molte cose perché non mi sentivo artisticamente rispettata.

In questo ambiente quanto è facile perdersi secondo te?

Ti dico questo: io credo che alla base di ogni lavoro e di ogni rapporto ci sia una presa di posizione, se essere sincero con se stessi o no pur di arrivare da qualche parte. Io mi sono ripromessa di essere sempre sincera con me stessa. Il percorso artistico è complicato, c’è sempre una sensibilità di mezzo. Come dicevo, ho rifiutato alcuni progetti perché non mi rispecchiavano. Mi sono ripromessa di fare cose che mi fanno stare bene. Quando sei arrivato ero in pantaloncini e ciabatte, mi vesto così, sono io, non ho intenzione di vendere il mio personaggio.

Come in amore, se tieni a qualcosa devi essere disposto a fare dei sacrifici.

Certo. Guarda, io insegno produzione e chitarra. Non faccio lezioni standard accademiche, 80% insegnamento umano e 20% tecnica. Dico sempre di fare cose per stare bene, non per arrivare ad un punto x. Ci sono un sacco di momenti dove se avessi accettato la marchetta avrei avuto la strada più spianata. Il problema è che c’è sempre fame in musica, un bisogno di evoluzione, di uscire dai canoni. Io sono molto severa con me stessa, cerco di non assomigliare a nessuno. Il ruolo di un artista è salire su un palco e trasmettere un messaggio in qualche modo, come faccio a comunicare qualcosa in cui non credo? Devo raccontare ciò che sono. Alla base di tutto devi chiederti qual è la tua zona, chi sei, almeno come base.

Però cercando di non essere canonica crei uno stile più marcato.

Non ci ho mai pensato a queste cose. Abitavo ancora nelle Marche, cinque anni fa, e mi sono rasata a zero. Normalmente sono molto timida e introversa, iper imbranata, soffrivo di attacchi di panico e depressione, non potevo andare dallo psicologo perché non avevo i soldi. Ho scavato a fondo e mi sono resa conto che stavo male perché mi preoccupavo troppo di quello che pensavano gli altri; quindi, ho deciso di fare un percorso opposto e iniziare a fare tutto ciò che mi esponeva di più. E mi sono rasata a zero. Il gesto del taglio è sempre stata una dichiarazione, come dire “sto bene così”, non è estetica. Da lì non li ho più fatti crescere. Il mio team mi ha aiutato molto in questo tipo di percorso. Ho sentito molte storie di colleghi, che sfruttano i trend per dare voce alla musica. Non ho mai esposto il mio coming out, per me parla la musica, non uso un messaggio per promuovere la musica, piuttosto il contrario. Questo è un grande problema perché ti innamori di un’idea.

Da questo punto di vista, per quanto riguarda le domande sul coming out, sono convinto che per raggiungere un concetto di “normalità” (aggiungerei un milione di virgolette su questa parola) sarebbe forse meglio smettere di dare spiegazioni sul perché uno fa o non fa qualcosa nella sua vita privata.

Viviamo in un momento delicato, guarda il delirio che è scaturito dal DDL Zan, tu quando sei lì devi metterti in prima linea e dare una mano alle persone per comprendere determinate cose. Perché è giusto. Ma non devi strumentalizzare il messaggio. Inutile creare dei teatrini, creare cose che non toccano l’anima, forzare le cose solo per stare sull’onda delle tematiche attuali. Sfrutti cose delicate per arrivare da qualche parte. Queste cose mi fanno molto incazzare.

Dopo questo tour, qual è l’obbiettivo più irrealizzabile nella tua testa? Una cosa che ti fa paura anche solo pensare.

È una paura e anche un sogno. Voglio andare nello spazio.

Tu o la tua musica?

Più facile che ci vada solo io. Però è il mio sogno e anche la mia paura. Andare oltre le cose. Sono una fifona, ma non ho paura. Qualche anno fa ci ho quasi lasciato la pelle, la vita è una sola.

Ultima domanda. La nostra rivista si chiama Musicattitude. Quanto è importante per te l’attitude? Qual è la tua attitude?

Sono due. Curiosità e sincerità. Tutto qui. Questa è la mia attitude.

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