Interviste
Counting Crows – Butter Miracle Suite One segna il ritorno dopo sette anni
Autori del sette volte platino August and Everything After nel 1993, militanti nella scena alternative internazionale da praticamente trent’anni, tornano dopo una pausa di sette anni i Counting Crows con la suite in quattro brani Butter Miracle Suite One. La formazione statunitense, capitanata da Adam Duritz, porta diciannove minuti da ascoltare rigorosamente in sequenza di puro amore per la musica tradotto in quattro canzoni legate tra loro.
Butter Miracle racconta diverse storie il cui filo conduttore è, appunto, lo sconfinato amore per il mondo musicale provato dai membri della band, passato attraverso un prisma e visto da diversi punti di vista ed in diverse situazioni. La suite, pur cominciando sulle timide note di Tall Grass, è in pienissimo stile Counting Crows: come se avessero messo un cartello fuori dalla porta con scritto “torno fra cinque minuti”. Già solo la stessa Tall Grass parte lenta e quasi monotona, come a controllare chi è rimasto ad ascoltare, per poi allargarsi a dismisura nel corso della canzone e colpire dritti nello stomaco i fan con un “And I don’t know why” che richiama l’alt rock di inizio millennio.
Butter Miracle è di fatto la prima parte di un’opera completa, la seconda è attualmente in lavorazione e onestamente non vedo l’ora di ascoltarla. Questo disco mi ha fatto ricordare perché mi piaceva così tanto questo gruppo: sono innamorati di ciò che fanno ed è impossibile non rendersene conto. Spero che ascoltandolo riusciate a percepire questo messaggio e che viviate al meglio l’esperienza della suite (e che questo vi convinca ad andarli a vedere nel 2022 in una delle tre date italiane)
Buon ascolto!
La vostra ultima uscita, Butter Miracle Suite One, è appunto una suite di quattro canzoni. Ho ascoltato tutti i diciannove minuti di fila e la mia domanda è: come è nata l’idea della suite e perché hai deciso di dividere il lavoro completo in due parti?
Beh, non ho proprio deciso di dividerlo, c’era solo una suite. Non ho scritto per un sacco di tempo e poi ho cominciato a scrivere Tall Grass, la prima canzone, ed il giorno dopo ero lì a giocarci un po’, a capire come finirla e a sperimentare con gli accordi, e mi stava piacendo molto, tanto da pensare di estenderla. Sui nuovi accordi mi sono trovato a cantare questa nuova frase, “Bobby was a kid from round the town”, mi è proprio saltata in testa e mi è piaciuta un sacco. Allora ho pensato “ok, è una canzone più lunga, devo lavorarci”, ma dopo un po’ mi sono reso conto che non era una canzone lunga ma una canzone completamente diversa, che poi è diventata Elevator Boots. Appena ho capito questa cosa ho pensato a quanto fosse interessante che sembrasse ancora parte della prima canzone. Quindi mi sono chiesto, e se scrivessi una serie di canzoni che fluiscono una dentro l’altra? E mi è sembrata un’ottima idea. Non c’era una seconda parte perché stavo solo scrivendo una suite di quattro canzoni, non sapevo nemmeno se avesse funzionato o no. Potrebbe essere stato uno dei momenti più soddisfacenti della mia carriera, ho capito quanto mi piace lavorare in questo modo e provare nuove sfide compositive. La seconda parte non era proprio concepita, ci sto lavorando ora.
Quindi una seconda parte non era pianificata e ci stai lavorando ora, giusto?
Ci stavo lavorando la scorsa notte. Avevo tre canzoni scritte e mandate alla band, a giugno o a luglio. In quel momento sono tornato in Inghilterra nella fattoria del mio amico, quella dove ho scritto tutta la prima suite, e ho iniziato a lavorare alla seconda suite ma la quarta canzone (in ordine compositivo) non funzionava sul piano. Era più un pezzo da chitarra, quindi non sono riuscito a suonarne una versione per capire se potesse andare o meno. Così l’ho mandata ad Immer, il mio chitarrista, ci abbiamo lavorato la scorsa notte ed è stato pazzesco, la adoro, è stato molto soddisfacente perché ha implicato il tenermi qualcosa in testa senza poterlo concretizzare, nonostante fossi sicuro che avrebbe funzionato.
Hai detto che ti trovavi in una fattoria in Inghilterra quando hai avuto l’idea per il disco. Quanto ha influito questa location sul “world building” di Butter Miracle?
Penso abbia avuto un effetto enorme perché non ho scritto nulla per cinque anni o più e di colpo sto buttando fuori suite intere, capisci? Penso che liricamente Tall Grass parli abbastanza del periodo in cui mi trovavo lì. Le altre no, ma comunque ho visto un effetto enorme, anche se non capisco bene il perché. Onestamente sono sempre stato un ragazzo di città, le mie canzoni sono influenzate da posti in cui sono stato e sulla vita da metropoli, San Francisco, New York, Hollywood… anche Milano è in alcune canzoni. Negli ultimi cinque o sei anni ho passato davvero molto tempo in questa fattoria, spesso con nessuno intorno. A volte c’era la mia ragazza, a volte il mio amico e la sua famiglia, ma per la maggior parte del tempo ero da solo. Non pensavo che la solitudine mi influenzasse così tanto, ma evidentemente era così.
Butter Miracle sembra raccontare due storie parallele: la prima è quella raccontata in Tall Grass, poi c’è il percorso di Bobby raccontato nel resto della suite. Quindi, di cosa parla Tall Grass?
Tall Grass è un “micro-to-macro” in realtà, parla di vita e morte in generale. È la canzone che mi ha fatto ricominciare a scrivere; quindi, ha questi toni quasi mitici e apre le porte a tutte le altre sfaccettature della mia vita. Non ci ho veramente pensato da questo punto di vista prima che me lo chiedessi tu, però sì, comincia con me che guardo una cosa specifica, poi si apre come l’universo e alla fine si richiude nello specifico. Potrebbe essere perché non scrivo da tempo, infatti la canzone inizia, musicalmente, in modo molto semplice, quasi monotono, per diventare più elaborata verso la fine. Sotto diversi punti di vista, Tall Grass è la porta che mi ha portato di nuovo alla scrittura. È un passaggio verso tutto quanto.
Parliamo invece di Bobby. È un po’ autobiografico come personaggio? Qual è la connessione, se c’è, tra te e Bobby?
Guarda, per me la musica è una delle cose più importanti in assoluto. Da quando ero piccolo sono stato sempre ossessionato, divoravo la musica, la ascoltavo ininterrottamente. Poi ad un certo punto sono diventato qualcuno che può crearla oltre che ascoltarla. Questi sono i due aspetti che la musica ha assunto nella mia vita. Bobby and the Rat Kings ed Elevator Boots seguono queste due prospettive, la prima come fan che ama la musica, le band e per cui queste ultime significano tanto; la seconda come musicista per cui tutto è temporaneo tranne la musica, che è sempre lì per lui. Quindi sì, è autobiografico sotto diversi punti di vista. Mi sento affine a Bobby in molti modi.
Come hai vissuto la pandemia? Come ti ha influenzato dal punto di vista artistico?
È stato strano perché ho perso un sacco di modi per esprimermi artisticamente, non solo a livello pratico, con produzione in studio e live, perché comunque anche senza uscite abbiamo continuato a suonare dal vivo, ma avevo anche un podcast con un mio amico dove parlavamo di musica, ci incontravamo spesso, c’erano ospiti, si chiamava Underwater Sunshine. Tutto questo è andato perso. Ricordo che ho detto alla mia ragazza: “ho paura che durerà un paio d’anni e che mi sveglierò tra un anno e mezzo senza aver fatto nulla. Imparerò a cucinare tutto.”
Ho sempre amato la cucina ma non mi ci sono mai veramente concentrato, ho passato due anni ad imparare tutte queste cose su cibo e cucina in generale. È stato il mio sfogo creativo per quel periodo ed è stato molto appagante. Sono diventato bravo in diverse cose e ne vado molto fiero.
Hai detto che hai già cominciato a lavorare sulla seconda parte della suite. La storia riprenderà da dove è finita la prima parte? Bobby sarà ancora il protagonista?
Beh, no, credo che nella prima parte lui fosse un personaggio solo parzialmente. Appare in due canzoni su quattro. Non so, non credo. Non è liricamente in queste altre canzoni, perché in realtà non è veramente la sua storia. È la mia storia, è tutto un riflesso. In Bobby and the Rat Kings la band non è la vera protagonista, ma il ragazzino che li adora sì. Si parla del mio amore per la musica e per le band durante la mia vita. Mettiamola così, l’unica storia che continua nella parte due è quella sui vari modi in cui mi sento rispetto alla vita.
Per quanto riguarda i live invece? Siete già stati in tour per la parte uno? Ci saranno live prima della parte due?
Siamo appena tornati da un tour, la settimana scorsa. Abbiamo girato l’America per trenta, quaranta date in tutto, da luglio/agosto a ottobre. È stato strano. Non passavo due anni interi senza suonare da quando ero ragazzo. E siamo ancora nel mezzo di una pandemia, quindi è stato molto stressante, eravamo in questa bolla per tutto il tour, non potevamo vedere nessuno nemmeno in backstage, non abbiamo visto nemmeno i nostri amici. Però comunque è stato soddisfacente perché alla fine ce l’abbiamo fatta, tutti sono stati bene, abbiamo suonato probabilmente i migliori show della nostra carriera. Ero con uno dei miei migliori amici ieri, ha visto una marea di nostri show, e a questi è andato fuori di testa. Ha detto che quello di New York è stato il migliore spettacolo che ci ha mai visto fare ed è rimasto sbalordito dalla suite suonata per intero. È stato fighissimo quindi non vedo l’ora di tornare in Europa nel 2022, amo viaggiare in giro per il mondo. Ciononostante, penso si debba ancora stare molto attenti.
Sono passati sette anni dal vostro ultimo disco Somewhere Under Wonderland. Quanto ti senti cambiato e quanto senti i Counting Crows cambiati dopo tutto questo tempo?
Sono sicuro di essere cambiato molto, la mia vita è decisamente diversa ora. Sono in una relazione da quattro anni, tutto sembra più felice e stabile. Per quanto riguarda la band da una parte siamo sempre cambiati, ogni album è un set diverso di cose interessanti, ma per me siamo ancora gli stessi tizi ossessionati dalla musica e dal farla come vogliono loro. Ecco, abbiamo la perfetta ricetta come band, fare le cose esattamente come vogliamo senza dare retta agli altri. Facciamo arte che possa affascinarci. Non siamo la migliore band del mondo, ma ormai sono trent’anni che siamo nel gioco. Le persone continuano a venire ai nostri concerti e questo è buono, ci fa stare molto bene.
C’è qualcosa che vuoi dire ai vostri ascoltatori?
Eh… non lo so. Dovrebbero venire a vedere loro stessi. Resterebbero sorpresi. Non siamo mai stati così bravi, è una cosa pazzesca. Forse è perché la nostra musica è più interessante ora, ma non abbiamo mai suonato così bene, potrebbero davvero rimanere sorpresi. Questi ultimi spettacoli erano veramente fuori dal mondo.
Siamo ancora qui.
COUNTING CROWS
The Butter Miracle Tour 2022
Martedì 5 Aprile 2022
Milano, Teatro Lirico Giorgio Gaber – via Larga, 16
Inizio concerti h. 20:45
Biglietti disponibili su Ticketone.
Poltronissima: € 55,00 + prev.
Poltrona: € 45,00 + prev.
Galleria: € 40,00 + prev.
Mercoledì 6 Aprile 2022
Firenze, Tuscany Hall – Lungarno Aldo Moro, 3
Inizio concerti h. 21:00
Biglietti disponibili su Ticketone.
1° Settore: € 50,00 + prev.
2° Settore: € 42,00 + prev.
3° Settore: € 35,00 + prev.
Venerdì 8 Aprile 2022
Padova, Gran Teatro Geox – via Giuseppe Tassinari, 1
Inizio concerti h. 21:30
Biglietti disponibili su Ticketone, Ticketmaster e Fasticket.
1° Platea: € 52,00 + prev.
2° Platea: € 43,00 + prev.
Poltrona 1° Livello: € 35,00 + prev.
Poltrona 2° Livello: € 30,00 + prev.