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Bullet For My Valentine – Bullet For My Valentine
Matthew Tuck paga sicuramente bene i suoi bassisti. Voglio dire, suonare il basso sui pezzi dei Bullet For My Valentine non è certamente un big deal e nemmeno un’impresa impossibile. Ma trovare un musicista in quel ruolo che sappia coprire dal vivo anche il 90% delle parti in cui si deve gridare o fare growl non è roba da poco.
Chissà il mazzo ulteriore che l’ottimo Jamie Mathias dovrà farsi sul palco per rendere credibili le canzoni del nuovo omonimo dei gallesi. Sì perché il settimo lavoro da studio dei BFMV è una discreta pagaiata in faccia, con ritmi spesso elevati, riffoni e batteria tiratissima: Jason Bowld si conferma solidissimo dietro le pelli mentre Padge si sfoga nel poter fare nuovamente assoli a piena velocità. Si tratta in sostanza dell’ennesimo tentativo dei Bullet di riprendere le fila del discorso intrapreso con il folgorante “The Poison” e tenuto abbastanza in piedi fino a “Fever” (2010).
Da lì in poi le idee in fase di scrittura e composizione sono diventate sempre più confuse, i tentativi di spostarsi verso l’alternative che tanto funzionava per altri, hanno prodotto risultati assai relativi (vedi alla voce “Temper Temper” e “Gravity”) sia dal punto di vista commerciale, sia da quello qualitativo; le improvvise retromarce per non far incazzare la fan base non sempre hanno funzionato (qui parliamo di “Venom“), e quindi rieccoci a una nuova inversione per suonare “metal” nel modo più indiscutibile possibile.
Questo disco non è male, è sicuramente più vicino ai primi tre album dei Nostri che ai trascurabili tre successivi: speriamo che da questo momento in poi Matthew non perda più la brocca, curandosi della propria ugola e capendo che la strada per la band è questa. E solo questa.
I fan certamente apprezzeranno le sfuriate di “Paralysed” e i ricordi dell’epoca metalcore che provoca “Can’t Escape The Waves”. I mid tempo massicci di “Shatter” e “Knives” potrebbero trovare gradimento presso ascoltatori meno avvezzi alla velocità, mentre la doppietta “My Reverie” e “No Happy Ever After” sorprenderà anche i più pessimisti. “Bastards” di contro è una roba pensata solo per i live che su disco ha poco senso e “Rainbow Veins” è più leggerina del resto. Apertura e chiusura di album condividono il primato di velocità esecutiva e il tentativo di inserire all’interno del bordello il miglior refrain melodico possibile.
Il nuovo dei BFMV è un lavoro piacevole, che farà gasare a bomba le poche nuove leve (che ancora ascoltano metallo al posto di roba composta con pc e autotune che fa miliardi di plays sulle viral di Spotify, ndBoomer), intrattiene senza pretese e ha quei 3 o 4 pezzi di rilievo. I Nostri, Covid permettendo, hanno davanti un paio d’anni di tour e un ritorno stabile nell’élite del metallo moderno grazie a un album che per i loro standard dovrebbe, da ora in poi, essere la norma e punto di partenza per il prossimo decennio.