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Cat Power, esce oggi su Domino il nuovo album covers

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A più di tre anni dal suo ultimo album di inediti, “Wanderer”, Cat Power torna con “Covers”, un disco che, come si evince facilmente dal titolo, la vede alle prese con l’arte sottile della cover song, nella quale Chan Marshall ha già avuto modo di cimentarsi e distinguersi più volte in passato e che in questo disco trova definitiva consacrazione. Seconda pubblicazione realizzata sotto l’egida della Domino Records, dopo “The Covers Record” (2000) e “Jukebox” (2008), questo è il terzo album interamente di covers realizzato dalla cantautrice di Atlanta, il cui catalogo è a sua volta ricco di classici rivisitati da altri artisti, più o meno blasonati, ultimo in ordine di tempo il rifacimento di “Metal Heart” da parte di Dave Gahan & Soulsavers.

Registrato ai Mant Studios di Los Angeles con Rob Schnapf (Fu Manchu, Beck, Elliott Smith e molti altri), “Covers” si muove con assoluta libertà tra epoche e generi nella scelta dei brani da rivisitare, confermando un eclettismo di gusti, che corrisponde all’innata capacità di Cat Power, cresciuta nel solco del blues, maturata artisticamente all’ombra dei Sonic Youth e poi capace di sperimentazioni tra soul e jazz, di attraversare e portare nel suo universo le canzoni che reinterpreta, smontandole, destrutturandole e ricomponendole secondo una logica massimamente istintiva ed esperienziale. In questo senso le 12 canzoni di “Covers” costituiscono un diario di bordo esistenziale, come testimonia la foto di copertina, con quella camicia, che nel taschino non contiene nulla più che una matita e un passaporto, memoria del viaggio compiuto finora, passepartout per quello ancora da compiere.

Così, in “Covers” Chan ha pescato dal mare magnum della musica contemporanea 12 tra le canzoni che più l’hanno influenzata dall’infanzia, fino al presente, attraverso una vita sconvolta da uno stuolo di demoni e ombre, ora da sfuggire, ora da guardare dritto negli occhi, sempre anche attraverso la musica. Il ricordo dell’amore di sua nonna per Billie Holiday risuona in “I’ll Be Seeing You”, mentre dietro la cover di “It Wasn’t God Who Made Honky Tonk Angels” c’è la memoria di una Cat adolescente, che tra le cassette stipate in una vecchia scatola trova il brano di Kitty Wells e se ne innamora. Una folgorazione, come con “Endless Sea” di Iggy Pop, un brivido per Chan sentirla per la prima volta nel film dell’86 di Michael Hutchence “Dogs in Space”, un brivido ritrovarla qui, spogliata e smussata dai suoi angoli più taglienti, tra gli episodi più esaltanti di quest’album, insieme a “Here Comes a Regular” dei The Relplacements, un tuffo nei vent’anni della cantautrice, che, al verde, tra le strade di New York, spendeva il suo ultimo dollaro per ascoltarla dal jukebox di Mona’s.

Per gli amici che non ci sono più, ad eterno approdo della memoria, Cat canta “A Pair of Brown Eyes” dei Pogues, una delle sue canzoni preferite di tutti i tempi, per quanto lontana dai suoi orizzonti stilistici, e “Against the Wind” di Bob Seger, splendidamente resa nella sua coriacea delicatezza e sicuramente tra le cover meglio riuscite del disco. Lo stesso si può dire per “Pa Pa Power” dei Dead Man’s Bones’ di cui Chan cattura tutta l’essenza provocatoria, trasformando il brano in un inno, al pari di “Bad Religion” di Frank Ocean, una chicca posta in apertura, a settare i toni dell’album, scostandosi di necessità dall’originale, a cui aggiunge portata ritmica, una chitarra elettrica e un pianoforte, su cui far viaggiare i versi del brano, più taglienti che mai avviluppati nel velluto di quella voce immensa.

E ancora, tra classici senza tempo e brani più vicini ai nostri giorni, troviamo l’omaggio a due personaggi fondanti del rock in “These Days” di Nico e “I Had a Dream Joe” di Nick Cave and The Bad Seeds, resa in tutto il suo livido pulsare, ma anche quello a un’amica come Lana Del Rey, già al fianco di Cat in “Woman”, secondo singolo di “Wanderer”, con la cover di “White Mustang”, un classico della musica pop contemporanea. C’è anche un’autocover: “Unhate”, rivisitazione di una “Hate” ricalibrata e corretta alla luce del profondo cambiamento personale, che ha coinvolto l’artista negli ultimi anni. Ce ne sono voluti sedici (l’originale è contenuto nell’album del 2006, “The Greatest”), l’inferno della depressione, della dipendenza dall’alcol e del ricovero in una casa di cura psichiatrica, poi il lungo percorso di analisi e la maternità, per disfare quel “I hate myself and I want to die” e, finalmente, guardare alla ruvida devastazione dell’originale attraverso lo specchietto retrovisore. Un gesto di liberatorio riscatto umano e quindi artistico, due sfere mai separate nella vicenda di Chan Marshall.

È un viaggio composito quello di “Covers”, ci si potrebbe perdere, non fosse per l’incredibile omogeneità di suono ottenuta da Cat affidandosi ad arrangiamenti organici ed essenziali, dove a dominare sono le chitarre e il pianoforte. Misurata, ma sempre piacevolmente incisiva, la presenza della batteria, protagonista di un intrigante gioco di chiaroscuri, presenze assenze rispetto agli originali. Un tessuto ideale, fuori da stringenti schemi di genere, su cui campeggia la voce di Chan, meravigliosa, la conosciamo bene, ma qui trattata in modo particolare dall’artista, che in tutto l’album utilizza un effetto dato da un pedale di chitarra, che rende il cantato estremamente aperto e spazioso, caldo e vicinissimo, benché sembri provenire da lontano, da un luogo privo di coordinate spazio-temporali e chiama l’ascoltatore a seguirlo, immergendosi in quel viaggio di sensi che, alla fine, è unico per ognuno di noi.

Ecco perché “Covers” è un disco importante, perché anche se non aggiunge nulla al catalogo autografo di una Cat Power sempre molto parca nel rilascio di inediti, sicuramente è un lavoro che la dice lunga sulla visione della musica e della vita dell’artista americana, che con questo album mette un punto fermo nel suo percorso, lasciandosi alle spalle una volta per tutte alcuni dei suoi più grandi demoni, e ci invita a considerare le canzoni come un patrimonio comune, esseri al di fuori dello spazio e del tempo, eternamente cangianti ed evocabili, un’eredità da tramandare a beneficio di chi vorrà raccoglierla.

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COVERS TRACKLIST

  1. Bad Religion – Frank Ocean
  2. Unhate – Cat Power – Chan Marshall
  3. Pa Pa Power – Dead Man’s Bones
  4. White Mustang – Lana Del Rey
  5. A Pair of Brown Eyes – The Pogues
  6. Against the Wind – Bob Seger
  7. Endless Sea – Iggy Pop
  8. These Days – Jackson Browne
  9. It Wasn’t God Who Made Honky Tonk Angels – Kitty Wells
  10. I Had a Dream Joe – Nick Cave
  11. Here Comes a Regular – The Replacements
  12. I’ll Be Seeing You – Billie Holiday

 
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