Interviste
Banadisa: cumbia, elettronica, psichedelia e Suerte
Lo scorso 8 ottobre il cantautore Diego Franchini, mente dietro al progetto Banadisa, ha pubblicato il suo disco di debutto Suerte: un’opera sperimentale che poggia un sognante cantato italiano su un’esotica e calda cumbia elettronica, risultando in un’esperienza psichedelica fuori dalla realtà.
L’album è uscito dopo un periodo di gestazione di quattro anni ed è nato dalla fruttuosa collaborazione tra Franchini ed il suo produttore Fed Nance. La location è un mondo nuovo creato da elementi del Polesine, terra natìa dell’artista, e richiami della lontana america latina: dualismo fondamentale in Suerte accentuato dal nome stesso del progetto, Banadisa (espressione dialettale polesina dal suono vagamente ispanofono), e dal contenuto dei videoclip dei due singoli 2121 e Riva del Rio.
Banadisa è un progetto decisamente originale, Diego è riuscito a creare un universo completamente suo, a mostrarlo al pubblico e a trascinarci dentro gli ascoltatori più attenti. Suerte è l’inizio di un bellissimo viaggio al quale invito tutti a prendere parte, perché non farlo vorrebbe dire privarsi di un’esperienza multisensoriale molto rara di questi tempi. Ascolto, quindi, consigliatissimo.
L’8 ottobre è uscito il tuo album di debutto, Suerte. Intanto, Suerte significa Fortuna: come mai questo titolo?
In maniera un po’ scaramantica, un po’ scherzosa (ma nemmeno troppo) è stato un modo per augurarmi buona fortuna all’alba di un viaggio musicale che sapevo fin dall’inizio che sarebbe stato lunghissimo. Avevo infatti deciso fin dai primi provini che l’album si sarebbe chiamato “Suerte” (se mai si fosse davvero concretizzato). Alla fine ce l’abbiamo fatta davvero a chiudere l’album: dopo 4 lunghi anni in cui io e il produttore Fed Nance abbiamo condiviso ogni gioia e dolore ce l’abbiamo fatta.
Oltre al nome del disco mi incuriosisce anche quello del progetto, Banadisa. Cosa significa? Come mai hai scelto questo nome?
Bellissima domanda! “Banadisa” è un’espressione dialettale polesana che viene urlata per scongiurare il male: è traducibile tipo con “che ti benedica”. Se un bambino cade in bicicletta di fronte agli occhi di una nonna è probabile che quest’ultima urli “banadisa!”, come succedeva a me del resto. È un suono molto familiare, a cui sono molto legato.
Allo stesso tempo ha un suono anche molto ispanofono, vagamente sudamericano… non so se anche per voi è così… a me da questa sensazione se provo ad isolare la parola dal significato.
Il ponte tra la mia terra, il Polesine, e in generale col mondo musicale latino, è di fatto un tratto distintivo del mio progetto. Ho pensato fosse un nome perfetto. E mi piace tantissimo.
L’idea dell’album è molto interessante, emergono chiaramente due matrici diverse: una cantautorale italiana ed una più legata alla cumbia sudamericana. Come nasce l’idea per quest’accoppiata?
L’unire queste due matrici è stata l’intuizione ultima con la quale ho concettualmente messo a fuoco il progetto Banadisa; dopodiché si è aperta la pista di lavoro di produzione e sperimentazione che ha condotto fino a “Suerte”.
L’idea nasce dalla necessità di voler trovare un nuovo appoggio musicale (rispetto al sound indie rock con cui mi dilettavo nelle esperienze musicali precedenti) ai testi, che erano sempre molto intrisi di elementi ambientali, paesaggistici e dunque, per forza di cose, anche del “mio” Polesine. Cercavo una base ritmica ruvida, legnosa, piuttosto cruda e ascolto dopo ascolto l’ho trovata in un certo tipo di cumbia (potrei citarti come esempio il duo elettronico Dengue Dengue Dengue). Ho capito che la strada in quel senso non solo era percorribile, ma era anche una cosa molto “mia”, personale. E’ un percorso ancora in divenire: “Suerte” mette solo un punto e virgola ad un cammino che si prospetta ancora lungo e divertente.
La produzione è pazzesca, mischia elementi pop a momenti elettronici nell’atmosfera sudamericana raccontata però da una voce italiana. Un bel mistone. Ci hai lavorato da solo o c’è un team che ti accompagna?
Ti ringrazio moltissimo! Non ci ho lavorato da solo: tutta la produzione dell’album l’ho condivisa con Fed Nance, che è un produttore pazzesco, con un gusto ed un amore incredibile per il suono, nel senso più vero ed intimo del termine. All’inizio è stato difficile trasmettere un mood musicale, al quale io ero arrivato con calma e pazienza, ad una persona che non conosceva quasi nulla di questo mondo. Superato questo inevitabile ostacolo è stato un fiume in piena, ci capivamo al volo, ci compensavamo molto bene nelle intuizioni e nelle scelte da prendere. Nel lavoro in studio mi hanno accompagnato anche Clara Andrés, con la quale abbiamo studiato le parti cantate in spagnolo, e Marcello Martucci che ha suonato molte delle percussioni che sentite nel disco.
Tutti e tre me li porto dal vivo, sul palco. Sono tre persone incredibili e tra di noi abbiamo sviluppato una bella alchimia sia umana che artistica.
I videoclip dei due singoli Riva del Rio e 2121 sono diversi tra loro, però sembrano avere una sorta di fil rouge che li collega. È così o semplicemente raccontano due storie diverse?
Partiamo col citare il collettivo “Crema – alta pasticceria video” che ha realizzato in maniera spettacolare questi primi due video.
Il filo che collega tutto c’è eccome e secondo me è il paesaggio, in “Riva del Rio” più selvaggio, in “2121” più urbano. Banadisa in mezzo alle inquadrature costituisce l’elemento surreale, fantasioso. Almeno a me arriva un po’ così. E poi c’è anche un altro aspetto che mi intriga in entrambi i video: mi sembra che sia sempre tutto come un po’ sospeso dal tempo, come se ci fosse una sorta di contorno onirico rispetto alle scene.
Porterai Suerte in live entro la fine dell’anno?
Direi che è la priorità assoluta in questo momento. Grazie alla mia agenzia Locusta Booking ci stiamo lavorando e qualche concerto sta già uscendo. Il live è un connubio di elettronica e tante percussioni acustiche che saranno fisicamente presenti sul palco. Non vedo l’ora di portarlo questo spettacolo in giro il più possibile.
Vuoi dire qualcosa ai tuoi ascoltatori?
Nulla in particolare, se non un “grazie” per aver letto queste righe. Unica cosa, dato che mi è concessa questa libertà: se per caso vi ha incuriosito questa intervista al punto da spingervi ad ascoltare qualche mio brano, vi consiglio di prendervi un po’ di tempo, un bel paio di cuffie e di ascoltarvi TUTTO l’album (meglio all’aperto, in un ambiente più naturale).