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The Heavy Countdown #157: Zeal & Ardor, Author & Punisher, Cult Of Luna

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Zeal & Ardor – Zeal & Ardor
All’ultimo omonimo lavoro di Zeal & Ardor mancherà pure l’irripetibile effetto sorpresa di “Devil Is Fine” (2017), che ha fatto cascare la mascella a molti, ma già dopo “Stranger Fruit” (2018), e ancora di più con “Zeal & Ardor”, quel genio di Manuel Gagneux si scava definitivamente la sua nicchia nel panorama underground attuale. Rispetto al disco precedente, a questo giro l’ago della bilancia pende prepotentemente verso il lato oscuro (la title track e “Run”, giusto per cominciare), senza dimenticare le influenze soul e gospel fiore all’occhiello del Nostro (“Death to the Holy”, “Emersion”, “Church Burns” e la quasi western “Golden Liar”).

Author & Punisher – Krüller
Per la serie musica heavy non necessariamente metal, o non del tutto, non possiamo ignorare l’ultima uscita del mastermind Tristan Shone, aka Author & Punisher. Parlare di industrial metal, nel caso di “Krüller”, risulta infatti estremamente riduttivo. La bellicosità imperante e oppressiva (tranne qualche rara ed eterea eccezione, tipo “Maiden Star”), le percussioni meccaniche, i synth che in molti colleghi all’estero non temono di accostare a Vangelis, fanno dell’ultima creatura di Shone un’opera dal fascino oscuro e irresistibile. Ma non è tutto, perché alla magniloquenza di “Krüller” hanno contribuito anche metà dei Tool (Justin Chancellor e Danny Carey rispettivamente in “Centurion” e “Misery”), oltreché il manager e responsabile di tutti i riff alle sei corde Phil Sgrosso (As I Lay Dying).

Cult Of Luna – The Long Road North
Il post metal è ormai un calderone in cui si getta un po’ di tutto, specie ciò che non riesce a incasellarsi alla perfezione sotto un’etichetta preconfezionata, dando vita a un trionfo di molteplici sfumature. Una di queste, è rappresentata dagli svedesi Cult Of Luna. “The Long Road North” sviscera il lato più cinematico di questo elefantiaco macrogenere, come già si può intuire dalla opener “Cold Burn”. 70 minuti di atmosfere evocative e sognanti (“The Silver Arc”), ancestrali e tratti minacciose (“An Offering to the Wild”) in bilico tra incubo ed estasi onirica (esemplare il featuring della vocalist Mariam Wallentin in “Beyond I”).

The Rumjacks – Brass for Gold
Settati già da qualche tempo con il nuovo cantante e compositore Mike Rivkees, i Rumjacks tornano a distanza di quasi un anno da “Hestia” con un nuovo EP, un modo ideale per rinfrescare il proprio sound, un po’ come bersi una bella birra appena spillata. In“Brass for Gold”, senza dimenticare per un attimo che il celtic punk è la prima fonte a cui abbeverarsi per la formazione australiana, i Rumjacks rispolverano per l’occasione reminiscenze ska (“Bloodsoaked Chorus”) e hard rock (“Across the Water”).

Bloodywood – Rakshak
Il debut album dei Bloodywood mette bene in chiaro una cosa: il rap/groove metal è ancora uno degli strumenti più efficaci per convogliare forti messaggi, specie se politici e sociali. Aggiungiamoci anche un tocco di metalcore e il gioco è fatto. Ma la band indiana è anche molto legata alle proprie radici, tanto che spesso e volentieri affianca l’hindi alle lyrics in inglese, e la musica tradizionale del proprio popolo è la colonna vertebrale di questo giovane combo (prendete la opener “Gaddaar”, oppure Dana-Dan, tanto per citare un paio di esempi significativi).

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