Interviste

BORIANI fa il suo debutto con il disco self-titled

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Dopo un viaggio che dura dall’apparentemente remoto 2017 il cantautore Boriani fa il suo debutto solista con l’omonimo album. L’artista pisano è sulle scene ormai dal 2010, fino al 2015 con il gruppo Durden and the Catering e poi appunto come solista; come accennato prima BORIANI inizia a prendere forma nel 2017 e a fine 2019 è pronto, ma a causa della pandemia il lavoro si ferma, creando uno iato di pubblicazione. E ora, a metà aprile 2022, finalmente l’odissea termina con l’uscita del disco, anticipato da cinque singoli nel’arco di due anni.

Proprio in merito a questa lunga gestazione il disco vede esplorati diversi momenti della vita di David, un album fotografico che percorre passo per passo un percorso di cinque anni. Ciò comunque non mina assolutamente la scorrevolezza di BORIANI, le cui dieci tracce sono accomunate da un ottimismo e una spensieratezza assolutamente pop ma mai stucchevoli.

Insieme a Boriani lavora al disco anche Enrico “Carota” Roberto dello Stato Sociale, con il quale nasce un rapporto di amicizia oltre che di collaborazione lavorativa fin dal termine della registrazione della pre del disco a fine 2017.

BORIANI è un debut album il cui titolo, in quanto nome stesso dell’artista, spiega già esattamente di cosa si parla e rappresenta perfettamente ciò che un disco di debutto di un progetto dovrebbe essere: una perfetta presentazione dell’artista.

Il 15 aprile hai pubblicato il tuo primo album in studio, BORIANI. Un self-titled con 10 tracce, anticipato da cinque singoli tra il 2020 e quest’anno. Quando comincia ufficialmente la lavorazione del disco?

Correva l’anno 1932! Ovviamente sono ironico per il semplice motivo che se ripenso a quando ho iniziato a lavorare all’album mi sembra una vita fa. Era il 2017 e avevo quasi finito di registrare la pre del mio disco. Di lì a poco conosco il Carota. Ci interfacciamo sui brani e scopro che abbiamo una certa affinità musicale. Ci ho messo 4 secondi a sceglierlo, avevo capito subito  che avrei voluto lavorare con lui. Passano pochi mesi e iniziano per me i viaggi tra Roma e Bologna, dove inizio a registrare il disco con Enrico per Garrincha Dischi. Portiamo a casa i primi lavori, c’è grande soddisfazione ed entusiasmo. Durante l’anno scrivo un paio di pezzi nuovi e decidiamo di inserirli nel disco nonostante dobbiamo ancora chiudere gli altri pezzi. C’è parecchia carne sul fuoco ma non ci preoccupiamo, il lavoro in studio ci riesce bene così come rimanere insieme anche dopo le registrazioni, la sera in giro per Bologna. C’è grande fomento, entusiasmo e ci sono anche tante aspettative. Il 2019 sta volgendo al termine, il disco è pronto e tutto sembra filare liscio se non fosse che a inizio 2020 il mondo si ferma.  

La realizzazione del disco ha visto la collaborazione di Carota dello Stato Sociale. Come ti sei trovato a lavorare con lui? Come nasce questo incontro tra voi due? Pensi che questo sodalizio continuerà in futuri lavori?

Con Enrico è stato amore a prima vista. Veniamo da formazioni diverse ma complementari e per questo motivo è stato facile e naturale entrare in studio con lui. A fine 2017 la pre del disco era ultimata e io cercavo un produttore artistico che potesse valorizzare al meglio la mia musica. Faccio produzioni anche io, ma il più delle volte non ho uno sguardo oggettivo sui miei lavori e necessitavo per l’appunto di uno sguardo esterno. La mia vecchia etichetta aveva già avuto collaborazioni con il Carota e conoscendo le sue prod ho pensato fosse il momento giusto per fare un tentativo. Enrico è una persona molto empatica e sensibile per il semplice fatto che non è solo un produttore ma anche un artista a tutto tondo. Ascolta e soprattutto cerca di valorizzare l’artista che produce senza snaturarlo o toglierlo dal contesto d’appartenenza. Oggi posso considerarlo un amico e credo che la voglia di lavorare con lui non mi passerà mai anche perché tutte le volte che scrivo un pezzo nuovo è tra i primi ad ascoltarlo. 

Qual è il concept dietro a BORIANI? Se dovessi definire questo debut album con una sola parola, quale sceglieresti?

Come ti dicevo, essendo un disco scritto a più riprese, non credo sia un concept album. Però se devo dare una parola scelgo “tempo”. L’arco temporale che ha visto la lavorazione del mio disco è abbastanza ampio e in ogni canzone, tutte le volte che le ascolto, trovo un vecchio David, ma allo stesso tempo riconoscibilissimo. Già per noi cantautori non è solito pubblicare pezzi appena scritti, passa sempre un certo periodo, quindi è difficile che ci troviamo a cantare qualcosa che ancora stiamo vivendo. Ecco forse gli do un concept di istantanea! È come se stessi guardando una mia foto di qualche anno fa. I pensieri che mi vengono? Gli stessi che chiunque può fare davanti ad una propria fotografia di tempo addietro: “ammazza quanto ero scemo, stupido e brutto” però era ed è tutto molto bello, anzi tutto molto uao.     

Il 9 marzo è uscito Alla fine, l’ultimo singolo ad anticipare l’uscita del tuo nuovo album. Il testo è rivolto a qualcuno, lo storytelling si orienta intorno ad un “tu”. Questo tu esiste, è qualcosa di materiale o è ancora diverso? A chi si rivolge Alla fine?

“Alla fine” l’ho scritta ad inizio 2017, avevo appena chiuso una storia di 7 anni. Il senso è che con questa persona alla fine potevamo tutto, ma abbiamo deciso di non farlo. Col passare del tempo poi, più l’ascolto e più do diverse accezioni al brano. Oggi, questa canzone, ha un compito molto importante e cioè mi ricorda che devo volermi bene perché se poi lo faccio tutto gira e va come deve! E’ un promemoria, mi rammenta che non posso avere accanto una persone se in primis non sto bene con me stesso.

Alla fine ha due momenti ritmicamente diversi: la strofa, più lenta e sul mood ballad, e l’esplosione energetica del ritornello che assorbe la dinamicità dell’indie pop nostrano. Come mai spezzare il brano in due? Come nasce la decisione?

Non sono mai stato uno che ci ragiona troppo sui pezzi. Scrivo con lo strumento e tutte le soluzioni ritmiche e melodiche che trovo sono figlie di uno scrivere naturale, di pancia. Se piace al mio corpo, se le soluzioni trovate mi smuovono dentro allora sono sulla giusta strada. Questo brano porta un bel po’ di sofferenza nella strofa e sul rit cerca di buttarla fuori, di farle prendere luce con una miscellanea di rabbia e amore. Quindi alla fine della fiera la decisione di strutturare il brano così non c’è stata. Mentre la scrivevo, tutte le mie sensazioni avevano questa necessità di esplodere, di venire fuori e hanno trovato questa opportunità nel ritornello. 

Il primo singolo pre-disco è invece La Pellegrini: nel videoclip ufficiale vediamo la partecipazione di Federica Pellegrini stessa; come mai hai deciso di dedicarle questo omaggio?

Vorrei chiarire che il mio brano non è una dedica a Federica. Non ho fatto altro che prenderla ad esempio per poter parlare di due persone, di un ragazzo e di una ragazza semplici. E proprio per uscire da questa semplicità, per far sì che ambissero a qualcosa di più speciale che ho usato il paragone con Federica. Essere primi, sentirsi primi, dare la priorità ad una persona e anche allo stesso tempo essere priorità per qualcuno, questo è l’augurio del brano.   

Fino al 2015 sei stato membro di una band, i Durden and the Catering. Cosa ti manca dell’esperienza con loro e cosa non ti manca invece? Quanta influenza ha avuto la band sulla tua carriera?

I DATC sono stati per me una tappa fondamentale. Questo progetto ha avuto un cambio di musici ad un certo punto! La formazione originale si è andata perdendo dopo qualche anno di attività e se devo dire il vero, se qualcosa mi manca di quella band è proprio la formazione iniziale, quei giorni in cui tutto sembrava facile e fattibile. Questo mi manca davvero tanto e cioè il concetto di band, quando tutto veniva deciso insieme senza che tutta la responsabilità ricadesse su di me. Al giro di boa, e cioè appena cambiata la formazione le cose non sono state più le stesse. Era più una cosa meccanica, priva d’anima perché quella band non era più composta da amici ma semplicemente da musicisti “mercenari”. Ecco. questo periodo non mi manca per niente ma è stato necessario perché mi facesse apprendere che la strada da seguire non era più la stessa. Grazie a questa esperienza ho capito che dovevo continuare da solo. 

Vuoi dire qualcosa ai tuoi ascoltatori?

Vorrei dirgli che quello che stanno a ascoltando non è altro che la punta dell’iceberg. Dalla registrazione alla pubblicazione dell’album ne è passato di tempo. Sono cambiato io e nel frattempo è cambiato il mio modo di scrivere e di fare musica. Vorrei dire loro di godersi questo album, di cercare e di notare tutte le sfumature dalle quali è composto. E’ un disco che ho scritto in periodi diversi della mia vita e spero qualcuno possa ritrovarcisi. Abbiatene cura e fatevelo vostro!

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