Interviste

Vieri Cervelli Montel: il disco di esordio “I [primo]” è un viaggio intimo nell’artista

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E’ uscito ieri, 6 maggio 2022, il primo disco di Vieri Cervelli Montel, e si intitola semplicemente I (si legge primo).

Classe ’95, nasce a Firenze e studia alla Siena Jazz University dove scopre l’improvvisazione radicale, iniziando a coltivare una poetica che rifiuta i codici estetici dei generi musicali. Il suo primo esordio come solista è nel 2021 con una versione controcorrente di Almeno tu nell’universo, il classico di Mia Martini. Lo stesso anno intraprende un tour estivo in apertura a IOSONOUNCANE, che collabora in veste di produttore all’album d’esordio di Vieri, I [primo].

Prodotto insieme ad IOSONOUNCANE e Alessandro Mazzieri, sarà il primo numero di catalogo per TANCA RECORDS, la nuova sublabel di Trovarobato. Anticipato dal singolo “risveglio”, pubblicato il 16 marzo, ha tutta l’aria di essere un cd che ci racconterà per bene l’identità dell’artista. Questo disco è il punto d’approdo, un romanzo di formazione, la fotografia in movimento del divenire musicista. L’(auto)biografia è alla base di tutto e ha inizio dalla perdita del padre del musicista avvenuta quando aveva nemmeno 7 anni.
È coraggioso da parte dell’artista affrontare argomenti che nella musica italiana attuale sono quasi un tabù: la morte, la memoria e la stessa infanzia. Nel 2022, vent’anni dopo la morte del padre, I [primo] racchiude il percorso che ha portato l’autore a metabolizzare realmente la perdita e ad abbracciare chi ama cessando di aver paura che un giorno non ci sarà più.

Noi di Futura abbiamo avuto il grandissimo piacere di scambiare due chiacchiere con lui per farci raccontare la nascita di I [primo].

Raccontaci un po’ di te! Chi è Vieri Cervelli Montel e cosa diresti a chi ancora non ti conosce?
Ciao, Vieri è un musicista di ventisei anni che vive e lavora a Firenze, ma torna in Sardegna ogni volta che riesce. Il suo primo disco è prodotto con IOSONOUNCANE ed esce il 6 maggio come prima pubblicazione di Tanca Records, la nuova etichetta diretta da IOSONOUNCANE stesso. Idealmente, mi piace che sia direttamente la musica a parlare di chi sono, e forse lo fa anche meglio di quanto riesca a farlo io.

Da quanto tempo fai musica e com’è nata questa passione?
Fin da piccolissimo ho sempre ascoltato musica grazie alle cassette, ai dischi dei miei genitori e ai viaggi in macchina con mia mamma, in cui cantavamo in particolare gli album di cantautori e musica italiana in generale. Può suonare buffo detto così, ma prima del conservatorio questa è stata senza dubbio la mia prima vera formazione musicale. Mi ha formato a tal punto che, anche dopo aver studiato e sperimentato musica completamente diversa, fa sì che io sia irrimediabilmente legato alla semplicità della canzone e alla sua cultura. E sono grato di questo, grazie mamma.

Chi sono i tuoi artisti preferiti?
Domanda che mette a dura prova il mio autocontrollo in termini di prolissità. Limitandoci all’universo della canzone: sicuramente nel campo della musica cosiddetta leggera in Italia, due riferimenti inamovibili sono IOSONOUNCANE e Alessandro Fiori. Sempre nei dintorni della canzone, dal punto di vista compositivo musicale e lirico alcune fra le penne che più mi hanno influenzato credo siano state quelle di Jonny Greenwood, Paul McCartney e Fabrizio De André. In generale amo gli artisti contaminati, trasversali alle prassi e alle estetiche dei generi, magari capaci di mettere in comunicazione mondi musicali eterogenei, come la canzone con contesti improvvisativi, o con avanguardie, o al contrario con le tradizioni popolari dei loro rispettivi luoghi. In tal senso mi vengono in mente ad esempio Scott Walker, David Sylvian, Paolo Angeli.

Come anticipato prima, il 6 maggio esce il tuo primo vero disco. Sappiamo essere un viaggio autobiografico, quanto ti è costato parlare così a fondo di te stesso?
Un’infinità di energie, di presenza emotiva, di ricerche in stanze della mia memoria che avevo chiuso da piccolo. Senza mezzi termini gli ho dedicato anni della mia vita, ma personalmente è stato necessario e anche se all’inizio non me ne rendevo conto, la musica non è mai stata un fine ma un mezzo. Mentre rispondo realizzo che la musica stessa ha realmente fatto da medium, come nel suo significato letterale di mezzo espressivo, così nel senso che essa ha costituito il mio personale e in qualche modo mistico canale di contatto col passato, col perduto, in un certo senso con la morte stessa.

“ I ” Racconta la scomparsa di una persona a te cara, ma anche come si impara ad amare al di là di tutto. Lavorare su queste canzoni ti ha aiutato a metabolizzare il tuo lutto? Cosa consiglieresti alle persone che hanno affrontato la tua stessa perdita?
Scrivere e produrre questo disco, iniziarlo e finirlo è stato fondamentale per il rapporto con la mia storia e la mia perdita. Per metabolizzare il lutto non ho soluzioni pronte per l’uso, né mi permetterei di consigliarne, ma posso dire che scavando nei ricordi più dolci e rendendomi conto che in qualche modo erano nel mio caso anche i più dolorosi, ho capito che paradossalmente per me il potenziale orrore della vita spesso coincideva col suo essere sublime. Tutto ciò mi ha fatto considerare la fine di chi e di ciò che amiamo diversamente, in qualche modo in parte accettare la morte come la caducità delle cose in generale. Nel testo di primo, che è l’ultimo brano del disco e anche l’ultimo che ho scritto, cito alcuni ricordi per me infinitamente dolci della mia infanzia con una persona a cui sono profondamente legato, poi oscurati dalla paura del suo abbandono, della sua dipartita. Da quando ho scritto l’ultimo verso, “adesso posso accettare che sei mortale”, sento di averlo accettato veramente. Il disco si chiude con quelle parole. Auguro a chiunque la fine della paura della fine.

Gli ultimi due brani, “ultimo” e “primo”, sembra che vogliano rappresentare una sorta di fine e di nuovo inizio, una ciclicità quasi rigenerativa. Dopo aver finito di scrivere le 9 tracce, sei riuscito ad avere più consapevolezza riguardo i tuoi sentimenti?
Esattamente. Ultimo è il saluto finale, o meglio il tentativo di ricordarlo, la ricerca alla cieca, che perfino la memoria è andata perduta nel trauma. Primo è invece la dolcezza di ciò che di meraviglioso è stato e non potrà essere cancellato; è il ricordo che non muore, l’accettazione della morte come parte fondamentale della vita. Scrivendo questo disco ho fatto pace non solo con quella parte del mio passato, ma con la stessa che spaventandomi mi impediva di vivere a pieno il mio presente e così il mio futuro. La strada è lunga e sempre lo sarà, ma grazie a questo percorso sono un pochino più consapevole e sto meglio con me stesso.

Domanda di rito. Progetti per il futuro?
Dopo averlo scritto e curato per anni in ogni dettaglio, il mio desiderio è quello di cantare il disco dal vivo. Continuo come sempre a elaborare, scrivere, in generale creare, ma ciò che adesso vorrei per il mio futuro prossimo è fare dei bei concerti e suonare la musica che per anni è stata intima e segreta finalmente per le altre persone. Mi auguro dei mesi di concerti e condivisione di emozioni.

Martina Nardoni

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