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Interviste

Riccardo Morandini: l’alchimia della musica in “Il Leone Verde”

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Riccardo Morandini ha pubblicato “Il leone verde”, il suo disco di inediti, il 15 aprile: il leone verde, rappresentato mentre divora il sole, è il simbolo alchemico del vetriolo, un solvente in grado di fondere anche il metallo più tenace (l’oro, rappresentato dal sole). Significa anche, nell’interpretazione psicoanalitica dei processi alchemici, l’atto di “ammorbidire gli aspetti più duri dell’ego”. E’ questo, infatti, il filo conduttore del disco.

Ho letto una poesia che si chiama “A toast to the alchemists” di Laura Giplin. Dice che avevano ragione, e che quelli che facciamo noi ora con la chimica è quello che loro hanno sempre provato a fare (a parte la Pietra filosofale). Dice “Se poteste tornare indietro per un giorno, potreste vederlo”. Tu che ne pensi, visto che hai chiamato il disco “Il Leone Verde”?

Concordo nel considerare l’alchimia l’antenata della chimica dal punto di vista scientifico. Tuttavia la cosa che trovo interessante è che, almeno fino all’illuminismo, scienza e “magia” (intesa come scienza dello spirito, niente Harry Potter) non erano ambiti separati. Basti pensare che Isaac Newton, tra i padri della rivoluzione scientifica, era un esperto alchimista. Ciò rifletteva un approccio olistico alla realtà in cui materia e spirito, anima e corpo erano visti come un tutt’uno. Gli alchimisti, per quanto alambicchi e athanor potessero essere realtà concrete, parlavano per metafore di processi psichici, e da un punto di vista junghiano, la Grande Opera non è altro che il processo di individuazione, la lunga strada del “conosci te stesso”. Il Leone verde è uno di quei simboli che parla del percorso liberazione dall’Io per ricongiungersi al vero Sè.

Qui c’è un link ad un mio articolo in cui parlo proprio di questi temi: https://springonvenus.com/simbolici-fossili-unindagine-nel-mondo-del-simbolo/

Cosa significa, di preciso “ammorbidire gli aspetti più duri dell’ego”? E in che modo può essere positivo?

Spesso ci rinchiudiamo in un’idea rigida di Io, per cui ci sembra di esistere come un’entità separata e indipendente dagli altri e dall’ambiente. Ovviamente ciò è falso, la nostra identità è fluida, cangiante, le singole individualità sono interdipendenti. Penso che tenere a mente questo pensiero sia di grande aiuto e al contrario, un concetto rigido di Io porta ad atteggiamenti tossici e a tutti quei sentimenti che nascono dall’idea di separazione: l’invidia, l’odio, l’ossessione per la competizione. Non dico che si debba negare l’insorgere di questi umanissimi sentimenti, ma tenere presenti le “istruzioni” contenute nel disco può aiutare a lasciare andare l’ego e a guardare le cose secondo la prospettiva dell’interconnessione, dell’esistere con e insieme.

Domanda tecnica: come promuoverai il disco, hai già delle date in ponte?

Per ora c’è la presentazione l’8 giugno a Bologna al Circolo Dev. Nel frattempo sto trattando per altre date e mi sono iscritto ad alcuni contest. Ammetto che fare tutto da soli non è facile, e il booking è un’attività abbastanza snervante (soprattutto data la percentuale davvero esigua di risposta). Spero in futuro di potermi appoggiare ad un’agenzia di booking o ad un management.

In questo disco ci sono un sacco di strumenti inusuali, per come siamo abituati a pensare alla produzione in Italia. Quanta ricerca hai fatto da questo punto di vista?

In verità non ho dovuto cercare molto, perché tutta la strumentazione vintage utilizzata fa parte della dotazione dell’Amor mio non muore, studio di cui sono un frequentatore abituale. C’è da perdersi tra i Farfisa, c’è un Mellotron piacevolmente stonato, ampli Lombardi, echi a nastro in tutta la loro psichedelia… Poi con Franco Naddei, che ha curato la produzione a livello sonoro, ci siamo divertiti ad esempio a percuotere un cerchione di una macchina per ottenere uno sferragliante effetto percussivo nel ritornello di Candida Rosa, oppure abbiamo utilizzato un microfono rotto per filtrare la voce nel ritornello di Unione… Lo studio è davvero uno strumento creativo di per sé e nelle mani giuste risponde egregiamente.

E’ possibile che “Il Leone Verde” mi dia l’impressione di essere un “manuale d’istruzioni”, da un certo punto di vista? Un modo per cercare di far capire meglio le cose, in generale?

Si sono d’accordo, per certi versi è anche un manuale che indirizzo a me stesso. A volte conosciamo dei principi, anche triti e banali, che possono esserci di grande aiuto nella vita, ma tendiamo a dimenticarcene. Per ovviare a questo oblìo, mi è capitato di pensare di appendere delle frasi da cui traggo benefici psicologici sui muri di casa mia, per tenerle sempre a mente come dei mantra. Aver inciso alcuni di questi concetti su disco ha un po’ lo stesso significato. Prendo come esempio Luce sulla collina, il brano di chiusura, che enuncia la banale verità, quasi una norma di buon senso, per la quale l’immersione nella natura ci fa dimenticare i conflitti del vivere sociale. Sappiamo che a volte basterebbe una passeggiata nel verde per riconoscerci come minuta goccia nel mare immenso del cosmo e ridimensionare i nostri problemi, eppure spesso ce ne dimentichiamo e ci ostiniamo nel vortice dei nostri pensieri egoistici. La coda del brano è infatti un invito al ri-cordo, al riportare al cuore: “Ricordati che vieni dalla Fonte”.

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