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THC #162: Moon Tooth, Astronoid, Thornhill

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Moon Tooth – Phototroph
Che i Moon Tooth non siano una sorpresa degli ultimi tempi lo sappiamo da quasi sei anni, quando abbiamo scovato “Chromaparagon”, l’esordio discografico della band di Long Island. Ancora una volta, il combo statunitense coglie nel segno con “Phototroph”. Le correnti progressive metal, alternative, alt rock e classic metal confluiscono in un solo fiume in piena, mitigato dalla voce potente e unica del frontman John Carbone (prendete solo “Deathwish Blues” come esempio). Più positivo rispetto al più cupo “Crux” (2019), il terzo sigillo della premiata ditta MT è anche più incline alla parte rock e accessibile che alle restanti influenze (“I Revere”), sfoderando ganci melodici affilatissimi (“Alpha Howl”).

Astronoid – Radiant Bloom
C’è chi considera “Radiant Bloom” un ritorno alle origini per gli Astronoid, ma a mio avviso, il terzo full-length della formazione paladina del dreamthrash da un lato continua imperterrito per la propria strada, dall’altro risente di un maggiore ed evidente tocco Peripheriano nella produzione, che non deve essere per forza un male. “Radiant Bloom” però si arena nel comfort del già sentito senza i guizzi delle precedenti release, ma con in ogni caso una manciata di ottimi pezzi (e ci mancherebbe) come “Eyes”, “Sedative” o “Orchid” (mentre abbassano un po’ la media “Sleep Whisper” e “Drown”).

Memphis May Fire – Remade In Misery
A quattro anni dall’ultima fatica discografica, i Memphis May Fire, da bravi paladini del melodic metalcore (con un particolare accento sul -core, e sulle influenze post-hardcore) contemporaneo, portano alto lo stendardo del genere senza farsi distrarre da deviazioni fuori dalla certezza del percorso già battuto. Le avremo già sentite un miliardo di volte, ma le melodie di pezzi tipo “Blood & Water” sono terribilmente catchy e l’equilibrio tra la natura più spinta e più melodica dei texani è onesto e sincero, anche quando l’ago della bilancia pende inevitabilmente sul secondo aspetto (“The Fight Within”, “Only Human”).

Hollow Front – The Price Of Dreaming
Per il loro terzo lavoro in carriera, gli Hollow Front hanno deciso (saggiamente) di non prendersi troppi rischi lanciandosi in chissà quali voli pindarici, ma continuando a fare ciò che sanno fare meglio. “The Price Of Dreaming” è un’opera genuina metalcore/melodic post-hardcore come se ne sentono tante. Per darvi le coordinate giuste siamo in zona Our Hollow, Our Home, non solo per la somiglianza nel nome, ma anche nel sound e in alcune tematiche care a entrambe le formazioni (una su tutte la salute mentale). Ascoltate la title track, “Comatose” e “Thick As Blood” per farvi un’idea.

Thornhill – Heroine
Già con la pubblicazione di “Casanova”, primo singolo estratto da “Heroine”, siamo rimasti tutti scossi, ponendoci molti dubbi sul nuovo arrivato in casa Thornhill. Dubbi che non sono stati fugati dall’uscita del secondo disco degli australiani, anzi. “Heroine” è un cambio brusco ed estremo di direzione (e di immagine) per i Nostri, che ci avevano abituati a un (progressive) metalcore sfaccettato e brillante con il precedente “The Dark Pool” (ma anche da prima, con l’EP del 2018 “Butterfly”), per buttarsi a capofitto nell’alt-rock/metal pettinato e glamour. Alcuni pezzi interessanti ci sono (“The Hellfire Club” o “Leather Wings”), e il talento dei ragazzi rimane indubbio, ma questo snaturarsi non giova, e di band che si atteggiano a nuovi Deftones (“Arkangel”) o Muse (la già citata “Casanova”, oppure “Valentine”) ce ne sono già a bizzeffe. “Only time will tell”, diceva il saggio. Vedremo.

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