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Interviste

TOdays Festival non smette mai di esplorare e porta in campo una line-up da non perdere

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Il TOdays Festival, torna per la sua settima edizione nell’ultimo week-end di agosto, dal primo pomeriggio a notte inoltrata. In un momento storico così incerto e complesso, TOdays porterà per tre giorni, dal 26 al 28 agosto 2022, 96 artisti per 16 band, delle quali 11 in esclusiva nazionale e 14 per la prima volta a Torino. Alla fine dell’estate, per oltre sei anni, Torino diventa una delle mete europee per i giovani e gli appassionati della musica rock d’avanguardia che, oltre a vivere tre giorni di altissimo livello musicale, scoprono la ricchezza della sua offerta culturale anche in spazi lontani dal circuito turistico tradizionale. Rispetto per la diversità, superamento dei confini, creazione di nuovi orizzonti saranno le linee guida del festival che, attraverso la musica e l’arte, intende restituire al suo pubblico, per tre giorni, un’esperienza di armonia ed equilibrio, mischiando generi, emozioni, visioni. Il poster del 2022 vuole rappresentare questa missione tramite una scelta di colori dalla forte identità: il rosso richiama le emozioni e gli stimoli più creativi e vivaci in un continuo divenire e la capacità di trasformazione delle cose, al nero si associa la forza della profondità capace di dare senso alle cose e che ci permette di procedere oltre la paura di ciò che non si conosce, oltre il buio di questi anni. L’accostamento di queste due tonalità e la fitta geometria di curve che si intersecano ri-compongono uno spazio vivo per suggerire che le soluzioni non sono mai estreme e statiche: il dialogo si trova nelle sfumature ed è necessario imparare a guardare per costruire nuove visioni.
Due saranno i palchi principali della proposta artistica: l’area main stage degli spettacoli sarà il consueto grande prato verde di sPAZIO211, il palcoscenico a cielo aperto, dove si alterneranno concerti tra le ore 18.00 e le 24.00 per tutte le tre serate. Allo scoccare della mezzanotte ci si trasferirà tra le mura della ex fabbrica INCET, la piazza interna semicoperta fulcro evocativo dell’ex Industria Nazionale Cavi Elettrici Torino, per una serie di performance che non ci faranno rimanere fermi neppure un secondo.

Il festival vuole confermarsi un evento visionario ed ambizioso, proseguendo nel solco di un percorso identitario preciso e focalizzato nel superare la visione di un mondo che c’è già per andare oltre l’inatteso. D’altronde la differenza la fa sempre quello che non ci basta mai. In questi anni TOdays è stato capace di suturare la cesura tra centro e periferia e superare i confini musicali, dando cittadinanza a suoni e voci che difficilmente la troverebbero altrove. Dal 2015 TODays è un osservatorio attento al presente che, mai come in questi anni, è sempre in continua trasformazione. L’edizione 2022 vuole invitare il pubblico a spostare l’asticella ancora più in là e mettersi in discussione destrutturando il pop e osando sempre di più: TOdays vuole portare a Torino il meglio della musica d’avanguardia internazionale offrendo un’esperienza di innovazione sociale e culturale dalle tante sfumature in cui la musica, l’arte e la creatività si aggregano, dialogano, occupano spazi periferici e restituiscono vita e occasioni di incontro a un pubblico che segue il festival con grande passione.”  Queste le parole di Gianluca Gozzi, Direttore Artistico del festival che ci ha dedicato parte del suo tempo per una bella intervista.

Iniziamo a parlare del progetto che ancora una volta si presenta con un cartellone davvero bello e importante

Ti ringrazio. Diciamo che tutti gli anni lo ripeto e quest’anno più che mai. L’idea di un festival non è quella di fare solo una sequenza di concerti portando artisti più o meno conosciuti sul palco, ma è un qualcosa che ha a che fare con la cultura, con la formazione anche di un pubblico cosciente, consapevole, in grado di scegliere. Occorre pagare un biglietto per spostarsi nella città e scegliere di vedere e vivere quel momento. Intrattenimento e cultura sono due cose diverse, l’una però non esclude l’altra. L’intrattenimento spesso è qualcosa di preconfezionato, fine a stesso. Creato dalla ricerca del target. Uno va al concerto ed esce uguale a prima, come uno spettatore passivo. Quello che si fa attraverso la cultura invece è appunto trasmettere idee, relazioni, formare un pubblico. Andare ai concerti, a teatro, al cinema significa scoprire quello che già si conosce ma anche lasciarsi avvolgere e contagiare da quello che non si conosce. L’obiettivo non è necessariamente andare ad ascoltare musica che ci piace ma ascoltare musica che ci tocca, che ci crea una tensione creativa che appunto ci fa cambiare, crescere e in qualche maniera formare la nostra vita.

La missione del festival è proprio quella di offrire uno spazio ad artisti che magari sono particolari, che “non avrebbero diritto di cittadinanza a Torino”. Cosa vuol dire?

Vuol dire che l’Italia non è notoriamente un paese da festival. Ci sono molti artisti che in tutto il mondo, a differenza dell’Italia, hanno come riferimento festival in cui possono suonare davanti a un pubblico. Con quella frase mi riferisco a questo. Offrire la possibilità ad artisti che non passerebbero geograficamente da Torino e neppure dall’Italia. A volte gli artisti passano dall’Italia perché hanno un day-off  tra un paese confinante e l’altro e ci infilano  la data italiana. Ti faccio un piccolo esempio. C’è un festival, un progetto vero e proprio in Europa che si chiama Eurosonic, che fa una sorta di rassegna internazionale dove ogni paese porta in rappresentanza il proprio artista, le scommesse della musica che poi magari calcheranno palchi internazionali. L’Italia non è presente, non c’è nessuno in rappresentanza del nostro paese. Il vero problema è che in nessun festival è presente l’Italia. Cerchiamo di non portare delle fotocopie di cose già esistenti e cerchiamo di farlo utilizzando una nostra identità e una nostra proposta. A qualcuno piace, a qualcuno no, a qualcuno non interesserà.

Un festival all’insegna dell’avanguardia. Un occhio a qualcosa di non convenzionale ma contemporaneamente si cerca di portare cultura e bello. Perché non è semplice, anche, educare le persone in Italia a gustare e apprezzare ciò che è davvero bello e di cultura. Perchè non è semplice, in Italia, come dicevi tu, educare le persone al bello. È un festival dedicato anche all’educazione delle persone che vengono oppure è un pubblico tendenzialmente già selezionato e selettivo?

Ti ringrazio perché hai detto la parola bellezza e la parola fondamentale per riuscire a cambiare le e cose in generale nel mondo non soltanto in ambito culturale. Non abbiamo la presunzione di educare il pubblico, la cosa importante è far divertire le persone non presentandogli qualcosa di già visto. L’idea è quella di coinvolgere un pubblico formato o meno che abbia voglia di scommettere, di osare, di mettersi in gioco e di tornare a casa dicendo “wow è stato come NON me lo aspettavo”. Lasciarsi stupire leggendo il cartellone e andare ad ascoltare artisti che non si conoscono per scoprire qualcosa di nuovo che difficilmente nella quotidianità si potrebbero scoprire. La nostra idea, così come per i generi musicali che pensiamo non abbiano più una distinzione tra rock, pop etc, ma solo buona musica e non. Ci piace mescolare i diversi pubblici. Vogliamo che si lascino affascinare da tutta l’atmosfera del festival.

Come avete e selezionato gli artisti? Ci sono delle ricerche? È una cosa di pancia?

Grazie anche per questa domanda. Ci sono due modalità. Una, la più romantica, è che scegliamo gli artisti che ci piacciono, non seguendo una moda ma a volte scommettendo sugli artisti. La seconda è che non essendo l’Italia un paese da festival ci troviamo a fare una scelta economica e tempistica. Chi possiamo permetterci di pagare e chi è disponile in quel giorno. E quindi un po’ va a svilire quel romanticismo perché è difficile, come paese, avere quel potere contrattuale come possono avere altri paesi per attrarre e attirare artisti. Ovviamente la capacità di una buona direzione artistica, di una buona cura del festival è trovare l’equilibrio tra le due cose. Equilibrare quello che può piacere alle persone e quello che possiamo fare. Fare le cose non come vorremmo che fossimo ma per quello che sono e seguire il today e non il tomorrow. Cercare di cogliere la bellezza che dicevi prima, nel vedere le cose per come esse sono e di farcele piacere.

C’è una punta di diamante secondo voi che rientra nella parte della scelta romantica? C’è qualcuno che avete ascoltato e avete detto lo voglio a tutti i costi?

Si, sono tanti e spesso la cosa curiosa è che lo scopriamo a posteriori. Band che magari rappresentano le scommesse, sono alle prime uscite discografiche, non li abbiamo mai visti dal vivo e poi diventano la punta di diamante e dici wow menomale che li abbiamo scelti. Anche in questo caso la missione del festival è di mescolare grandi leggende e nuove scommesse che apriranno le giornate del festival. Come, per esempio, i Primal Scream, che tra l’altro festeggiano con noi il trentennale dell’uscita di Screamadelica, un album che ha fatto storia e i Geese che apriranno la prima serata del festival, ragazzi ventenni che, però, traggono ispirazione dalla musica degli ultimi quarant’anni.

Torino è sempre stata una città particolare, sembra una pozione magica. Ogni tanto tira fuori una magia. Il festival, come mi hai detto tu, è in questo caso una magia. Quando si spengono le luci e finisce il festival, voi che lo avete organizzato come vi sentite? Cosa rimane dentro di voi?

Hai fatto una domanda molto centrata senza saperlo. Io per tanti anni ho fatto il mago, il prestigiatore anche in tv e quindi questa idea della magia mi appartiene come formazione. Ci sono due cose fondamentali quando uno fa una magia, che comunque dietro le quinte è un trucco che richiede una fatica immane, per fare un semplice gioco di magia con le carte, spesso, io passavo sei-otto ore al giorno ad esercitarmi, ferendomi anche le dita per fare quella che si chiama manipolazione. Tutto ciò non mi spaventava. Quello che mi spaventava era lo spreco, di non avere la possibilità di esibire questa magia di fronte a un pubblico, di non poter concludere la magia con l’applauso del pubblico che era il vero protagonista. Torino può dare questa immagine illusoria, di magia ma in realtà dietro c’è tantissima fatica, il sacrificio di tante persone che a volte lottano contro situazioni di disagio e contro i problemi, il festival si svolge in una periferia torinese e si sente tutto ciò. Torino ha tantissime potenzialità ma a volte manca la possibilità di avere un pubblico finale che applaude. Manca la possibilità di realizzare queste potenzialità a pieno della loro potenza. C’è sempre questa posizione doppia del “vorrei ma non posso”. Potrei fare questa cosa ma arrivò fino a un certo punto. È un po’ questa la percezione, ed è quella che si sente dopo aver concluso il festival.  Chi come me sta dietro alle quinte riesce a capire le cose, a capire il successo o meno del festival. Dall’altra parte la fatica, vedi che spesso l’ostinazione del fare qualche cosa si sostituisce alla tenacia. La tenacia è positiva, arriva dal cuore, sei determinato a fare qualcosa. L’ostinazione arriva dalla stanchezza. Sei stanco e non vedi che sbatti la testa sempre sulle stesse cose e la fatica a volte finisce per farti esaurire o morire delle cose che invece hanno molto valore.

Hai anticipato la mia ultima domanda, ovvero il perché si svolge nella periferia di Torino, è sempre difficile avere un rapporto con la periferia, ma, per lo meno, l’arte e la cultura, alla fine, nella periferia riescono a bucare e a portare dentro sicuramente delle emozioni che forse solo dentro alla periferia si trovano. È una scelta mirata la vostra oppure è solo un caso di quando tutto ha avuto inizio e poi è andato avanti così perché ha funzionato?

É una scelta non solo mirata ma fortemente voluta che caratterizza la forza del festival. Il TOdays Festival nasce nel 2015 sostituendo quello che era un vecchio festival esistente che si svolgeva in una piazza centrale della città, completamente gratuita a luglio. Noi siamo andati da tutt’altra parte, in estrema periferia, con un festival a pagamento che si svolge a fine agosto. È una scelta che abbiamo mantenuto e che l’amministrazione dirigente ha dato fiducia. Abbiamo cercato di intercettare quell’energia caotica, come hai detto tu, che nelle periferie emerge di più. La periferia di Torino è molto ricca di associazioni, laboratori, di persone che fanno cose e spesso faticano ad essere messe al centro dell’attenzione. La nostra idea non era quella di calare un festival dall’alto ma di raccogliere le energie già esistenti sul territorio, di facilitare una rete spontanea di relazioni, di idee, di competenze e risorse e far sì che tutto questo potesse essere messo al centro. Musiche di confine, periferiche che diventano centrali con un festival che gli punta i riflettori. Portare al centro luoghi di periferia e renderli periferici solo sotto l’aspetto geografico e non più sotto quello culturale

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