Dischi
THC #163: Bleed From Within, Kardashev, Motionless In White
Bleed From Within – Shrine
Devo ammettere che dopo “Fracture” (2020) non mi aspettavo nulla di meno, e i Bleed From Within non hanno deluso le mie aspettative. “Shrine”, proprio come il suo illustre predecessore, è un’opera diretta e senza fronzoli, feroce ma pericolosamente incline alle melodie killer (“Levitate”), epica e cattiva allo stesso tempo (pensate solo al blast beat di “Flesh and Stone”). Il sesto full-length degli scozzesi arriva dritto al punto con una proposta solida ma entertaining al punto giusto, confermando ancora una volta i Bleed From Within tra i giganti del metalcore moderno.
Kardashev – Liminal Rite
Gli autoproclamatisi paladini del “deathgaze” Kardashev tornano con un nuovo, colossale lavoro dopo l’EP del 2020, “The Baring of Shadows”. “Liminal Rite” è uno struggente racconto delle disillusioni della vecchiaia come solo la band di Mark Garrett e compagni è capace di narrare. Anche se ormai viene da paragonarli ai Rivers Of Nihil e soprattutto agli Harakiri For The Sky, e l’effetto straniante dei primissimi dischi è andato via via perdendosi, la qualità e la compattezza della formazione è sotto gli occhi (e le orecchie) di tutti, in particolar modo il potere evocativo delle atmosfere e delle lyrics dei Nostri (“Cellar Of Ghosts”) non è merce reperibile in giro con facilità, così come la voglia di sperimentare (vedi il sax in “Beyond The Passage Of Embers”, tra l’altro fil rouge di questa Countdown) anche ammorbidendo con coraggio la propria proposta (“Apparitions In Candlelight”).
White Ward – False Light
Gli ucraini White Ward sono una nostra vecchissima conoscenza, e come succede sempre in occasione di un’uscita discografica dei Nostri (questa sarebbe la terza volta), sono in molti a gridare al capolavoro assoluto. Diciamo la verità: nonostante non siano più una novità, i WW hanno avuto e hanno tuttora il merito indiscusso di aver scavato e fatto propria una piccola nicchia all’interno dell’universo post-black metal, rendendosi unici e inconfondibili. “False Light”, rispetto alle precedenti produzioni, risulta (comprensibilmente) più nervoso e alterato, ma non per questo meno vario rispetto ai suoi predecessori (prendete la opener “Leviathan”, dall’intro quasi Floydiana, che però si sviluppa in cattiveria e ferocia fino all’arrivo dell’onnipresente sassofono, oppure i synth ‘80s di “Phoenix” e Cronus”).
Greg Puciato – Mirrorcell
Il post-Dillinger Escape Plan ha visto un Puciato sempre più impegnato su diversi fronti, da The Black Queen a Killer Be Killed, passando per le collaborazioni con Jerry Cantrell. È proprio quest’ultimo una delle maggiori fonti di ispirazione del secondo album da solista del vocalist, ma non solo. In “Mirrorcell” si rincorrono elementi post-metal, synth pop, sludge e doom (aggiungiamo anche qualche eco deftoniana in “I, Eclipse”), che convergono in un disco crudo e velenoso, acido e introspettivo. Tra gli highlights di “Mirrorcell” segnaliamo “Lowered”, bellissimo pezzo atmosferico impreziosito dalla voce e dalla chitarra riverberata della frontwoman dei Code Orange, Reba Meyers.
Motionless In White – Scoring the End of the World
Sembra che questa volta i Motionless In White abbiano pescato meno dall’horror fittizio, forse perché da qualche anno a questa parte il vero orrore ci circonda tutti i giorni. A un primo ascolto infatti, “Scoring the End of the World” si pone come un concept sui tempi moderni, estremamente incazzato anche nel sound, anche se le melodie tipiche di Chris Motionless e soci sono come di consueto catchy e appiccicose all’inverosimile (“Sign Of Life”). Ma come un vecchio lupo che potrà perdere anche il pelo, ma non il vizio, i MIW tornano spesso a razziare territori a loro ben noti (pensate solo a “Werewolf” o “Slaughterhouse”), senza dimenticare le ballad in melassa goth (“Porcelain” e “Masterpiece”) e una manciata di guest appearance di un certo livello (uno su tutti, Caleb Shomo in “Red, White & Boom”).