Interviste
Luke Sital-Singh: “Dressing Like A Stranger” e restare se stessi in ogni caso
Luke Sital-Singh è in tour con Passenger e si è esibito al Fabrique di Milano il 6 settembre: trasferitosi dall’Inghilterra a Los Angeles, ha scritto “Dressing like a stranger”, il nuovo album uscito il 2 settembre.
“Dressing like a stranger” è una riflessione sull’adattamento, il cambio di luoghi e prospettive e le conseguenze che hanno su di noi: compreso come ci vestiamo, magari, o come ci sembriamo davanti allo specchio.
Autodefinitosi “pensatore cronico”, Luke Sital-Singh ha condotto TED Talk, è stato in tour con Angus e Julia Stone, Martha Wainwright, Kodaline ed altri e in questo disco duetta con Christina Perri.
Per curiosità: che differenza c’è fra un pensatore cronico e uno che rimugina troppo sulle cose?
Non ne ho idea. Probabilmente è la stessa cosa!
“Dressing like a stranger” è una frase che suona come se tu avessi cambiato solo la tua parte esteriore? Come guardarsi allo specchio e pensare “chi è quel tipo?” perché sei vestito come qualcun altro. Sei diventato uno straniero anche te, o è solo un modo di adattarsi a un posto nuovo?
“Dressing like a stranger” è soprattutto una riflessione a cuor leggero sulla realizzazione che non sono cambiato molto dopo essermi trasferito in un altro paese. Anche se sono sicuro che si sono cose in me che sono cambiate, e forse verranno alla superficie fra anni, la cosa più immediata è che porto vestiti diversi. E può essere un cambiamento superficiale ma ciò che indossiamo ogni giorno è parte della nostra personalità, quindi forse è discretamente importante. Fondamentalmente non ho idea di cosa mi sia successo da quando mi sono spostato a LA, ed è un po’ il tema del disco.
Da italiana che vive in una regione molto turistica ho sviluppato un occhio per le persone: riesci a capire da dove viene qualcuno solo guardandolo (se portano infradito di plastica spesso sono americani, i tedeschi adorano i sandali, i giapponesi sono sempre vestiti benissimo eccetera). Ti sei sentito uno straniero quando sei atterrato a Los Angeles? E ora ti senti più a casa?
Onestamente non lo so. Non mi interessa molto come appaio tutti i giorni, spesso esco di casa senza guardarmi allo specchio: è solo qualcosa a cui non penso molto. A volte mi fa sentire in colpa e sento la pressione di dovermene interessare di più, ma penso anche che preoccuparsi di una cosa simile sia uno spreco di energia. Una delle ragioni per cui spostarmi a Los Angeles mi ha fatto sentire a mio agio è che le culture inglese e americana sono abbastanza simili da non farti sentire uno straniero, quindi è stato abbastanza semplice ambientarsi.
Credi che questo disco sarebbe stato diverso se tu ti fossi sentito a casa dal momento esatto in cui hai messo piede sul suolo statunitense?
Credo di essermi sentito a casa fin da subito, è stato dopo essermi sistemato che mi sono reso conto delle differenze fra la cultura inglese e quella americana. Parliamo la stessa lingua, ma guardiamo il mondo in un modo diverso e, dopo aver pensato di avere molte più cose in comune, è uno shock. Non sono in grado di dire come sarebbe stato il mio album in un universo parallelo, ma tendo a trovare le canzoni tristi in ogni caso.
Come hai incontrato Christina Perri e Passenger?
Io e Christina ci siamo sentiti online: siamo fan l’uno dell’altra e le ho chiesto se le andava di scrivere una canzone insieme, lei è venuta a Los Angeles e abbiamo scritto un pezzo che si chiama “Blue”, che fa parte del suo ultimo album. Quando stavo scriveno la musica mi sono reso conto che “Rather be” sarebbe stata un duetto perfetto, così le ho chiesto se le andava di cantare ed ha accettato!
Non avevo mai incontrato Passenger prima dell’inizio del tour: è un fan della mia canzone “Call me when you land” ed ha chiesto se volessi andare in tour insieme, e ho ovviamente accettato!
Nel pezzo “Wiser too” scrivi che “forse un giorno non saremo tutti idioti”. Sei così ottimista. Mi piaci!
Oh, grazie!