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Night Skinny, la recensione di Botox
CON BOTOX, NIGHT SKINNY SCATTA UNA FOTOGRAFIA FEDELE DELLA SCENA URBAN DI OGGI, MA NON DEL TUTTO A FUOCO
Premessa doverosa: dare un giudizio coerente ed esaustivo su un album è sempre un
compito arduo. Farlo riguardo ad un progetto fortemente ambizioso e di dimensioni
monumentali come Botox di Night Skinny lo è all’ennesima potenza. In un disco del genere
ognuno cerca e trova qualcosa di diverso, e quindi diverso sarà anche il pensiero che
svilupperà.
Con l’impressionante numero di oltre 40 artisti in 21 tracce, Botox è la naturale evoluzione
di un percorso di indiscussi qualità e successo, costruito da Night Skinny nel corso degli
anni prima con Pezzi e poi con Mattoni (e, per i fan di lunga data, già con Zero Kills).
Un percorso, quello del producer molisano, che nelle sue varie tappe ha sempre il grande
pregio di restituirci delle fotografie fedeli della scena musicale italiana di quel momento,
con un alto tasso di innovazione e uno spiccato spirito di ricerca come costanti nel tempo.
Se Pezzi, infatti, fu nel 2017 una delle massime espressioni di una scena urban che era
stata da poco travolta dall’onda trap, in Mattoni (2019) già facevano capolino in alcune
tracce sonorità molto più intime e a tratti tendenti al pop (vedi Novità, .Rosso, Fare
Chiasso). Ed ecco allora Botox, anche questo pienamente figlio della sua epoca: un’epoca
in cui quest’evoluzione attraversata dalla scena urban è pienamente matura e rispecchia
un cambio di gusti e tendenze a tratti radicale rispetto ai canoni di qualche anno fa. Ed è
alla luce di questa riflessione che si capisce anche come Night Skinny si sia inventato di
assemblare un disco in cui convivono con naturalezza Elisa e Baby Gang, Gazzelle e Paky,
Ariete e Guè. O anche come abbia potuto permettersi di ritagliare uno spazio importante
nel progetto al bnkr44, collettivo empolese molto più rappresentativo dell’universo indie
che di quello rap.
Quest’evoluzione – e la straordinaria abilità di Skinny nel fotografarne i vari step – sono
rilevabili anche guardando ai singoli artisti che popolano i lavori del producer, primo fra
tutti l’onnipresente Rkomi, che in Pezzi era quello marcatamente più rap di Io in Terra, in
Mattoni nel pieno della fase di passaggio vissuta con Dove gli occhi non arrivano e infine in
Botox quello che conosciamo oggi, ossia una delle voci più rappresentative del nuovo pop
nostrano, che ha in Taxi Driver la sua massima espressione recente.
Al netto di questo – e cioè che radunare (quasi) tutto il meglio che il panorama musicale
abbia da offrire in un’opera così maestosa è già di per sé un merito non indifferente –
viene poi la valutazione qualitativa (e quindi anche quella più soggettiva).
Per la natura stessa del disco, che – a differenza ad esempio di OBE di Mace – non ha una
veste musicale coerente e lineare ma assomiglia più ad un mixtape in cui convivono anime
differenti, un’analisi track by track in ordine di ascolto lascia un po’ il tempo che trova. Per
Botox, è più interessante piuttosto dire due parole riguardo ai brani più rappresentativi di
queste anime diverse che lo popolano.
Una menzione speciale, per il lato liricamente più intimo e musicalmente più pop del disco,
va senz’altro a Diavolo. Una traccia in cui tutto gira alla perfezione: dalle strofe – in cui
Ghali, Rkomi e Tedua danno ognuno il meglio di sé – al ritornello, una vera perla a cui
presta la voce Piccolo del bnkr44.
Da collocare in un contesto simile è Blessed, un brano che merita attenzione anche solo
per l’interessantissimo accostamento degli artisti che lo cantano: Madame, Drast, thasup e
Ariete, hitmaker accostabili chi più al rap chi più all’indie, ma tutti accomunati dal
prediligere la profondità alla crudezza, nelle sonorità come nei testi. Per quanto riguarda il
brano in sé, va dettò però che – pur risultando molto piacevole – lascia la sensazione che si
potesse fare qualcosa di più.
Un’ultima citazione, rimanendo sempre in questa dimensione del disco, va a Come mi
guardi: una Madame maiuscola domina con le sue parole e le sue topline mai banali e mai
sbagliate un brano che va dritto a segno, con Coez e Bresh un passo indietro ma che fanno
comunque egregiamente la loro parte.
Spostando la lente d’ingrandimento sull’anima hip-hop di Botox – la più attesa da
moltissimi dei fan di Night Skinny – a vincere a mani basse è Prodotto. Ernia, Paky, Jake e
Lazza sputano barre pesanti come macigni su un beat essenziale, dando vita ad un pezzo
fondamentalmente conscious arricchito dal ritornello, azzeccata citazione a No More
Sorrow dei Club Dogo.
A vincere la gara di stream di tutto il disco al momento è invece Giorni Contati – che già
viaggia già oltre il milione su Spotify – brano non particolarmente innovativo ma che parla
dritto ai fan del rap, quello di oggi e quello di ieri. Da un lato una leggenda che la scena hip-
hop italiana la domina da sempre come Noyz Narcos, dall’altro chi sta oggi sulla cresta
dell’onda come Paky, Geolier e Shiva. Traccia decisamente riuscita.
Traccia meno riuscita, invece, è la canonica posse track: BTX Posse, infatti, pur con qualche
passaggio decisamente degno di nota, non regge a pieno il confronto con la ben più iconica
Mattoni. Bene (chi più, chi meno): il buon vecchio Fabri Fibra, Ernia, Lazza, Geolier, Guè.
Male (chi più, chi meno): Tony Effe, Mambolosco, Coez, Paky.
Ci sarebbero ovviamente tanti altri brani di cui parlare, ma affrontarli tutti uno ad uno
sarebbe solo dispersivo: è meglio che ognuno, se interessato, approfondisca il mare
magnum di Botox per conto suo.
In chiusura, la sensazione complessiva è che Botox – che così si chiama per evidenziare
quanto sia gonfio di collaborazioni – sia un disco riuscito solo parzialmente. Sicuramente il
giudizio risente anche dell’hype a tratti esagerato che ha preceduto l’arrivo di questo
progetto, con gli artisti svelati giorno per giorno e i vari spoiler che comparivano qua e là: è
evidente che se si alzano le aspettative, diventa anche più difficile soddisfare realmente il
pubblico. Ma forse il problema sta proprio qui, nella volontà di gonfiare tutto all’estremo,
dalla promozione del disco al numero degli artisti che lo popolano. Perché la musica è
anche – e soprattutto – altro. Senza nulla togliere a quello che è senz’altro un bel disco –
con alcuni picchi davvero degni di nota – ma che semplicemente non convince a pieno.
L’Oscar al miglior producer album italiano degli ultimi anni – e questo è puramente un
parere di chi scrive – resta quindi saldamente in mano a OBE di Mace: un disco che ha
un’anima e un carattere riconoscibili ad orecchi chiusi, a differenza di Botox, che di anime
ne ha tante, ma a cui manca spesso una direzione a cui tendere.
Pietro Possamai
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