Interviste
Rival Consoles, Now Is è ossigeno in una stanza chiusa
Rival Consoles presenta “Now Is” e fa un’inversione di tendenza rispetto alla quasi totalità del mondo della musica: se la maggioranza degli artisti che hanno composto in periodo pandemico, infatti, ha creato musica oscura e claustrofobia, “Now Is” è in realtà un disco molto più solare, spazioso e, passateci il termine, pieno di aria fresca, come aprire la finestra e far cambiare aria a una stanza. Non mancano, ovviamente pezzi più cupi, ma Rival Consoles sembra aver concentrato tutta quell’atmosfera nel suo lavoro precedente, “Overflow”. All’anagrafe Ryan Lee West, l’artista londinese presenta quindi un disco di reazione all’ultimo periodo che abbiamo passato, una reazione spesso anche inconscia e, come la sua produzione, delicata.
Sei stato definite come qualcuno che “fa suonare umane le macchine”. Credo sia un’immagine molto bella: mi ricordo dei due computer che avevano iniziato a comunicare in un loro linguaggio prima di essere spenti, per esempio, o i preograssi che stiamo facendo nel campo dell’intelligenza artificiale. Può far paura, ma è interessante. Come vedi il futuro, e che ne pensi delle “macchine umanizzate”?
Io sono interessato principalmente agli esseri umani, a ciò che pensiamo e sentiamo. È però ovvio che la tecnologia influenzi fortemente l’arte e il comportamento, quindi ci sono preoccupazioni a proposito di quanto possiamo essere sempre più schiacciati ed esausti a causa del mondo infinito che la tecnologia è in grado di generare. A un certo punto ci deve essere un’arresa al gap fra ciò che gli umani possono fare e l’aumento delle performance della tecnologia. Ma, come lato positivo, direi che ci sono grandi cose che sono emerse dal fatto che gli esseri umani abbiano usato alcuni attrezzi, e la tecnologia e l’intelligenza artificiale sono parte di questo.
“Rival Consoles” è il tuo nome, e anche questo mi ricorda dei due computer che si erano messi a parlare. Che significa “Rival Consoles”?
Mi piace la parola “rival” perchè implica tensione, e Consoles è rilevante per la tecnologia e la musica. Ma non c’è un significato profondo dietro il nome, soprattutto visto che quando ho deciso di adottarlo avevo 21 anni!
La musica elettronica è un contest in evoluzione costante: quanti cambiamenti l’hai vista attraversare, e dove pensi che si stia dirigendo? E quale credi sia il tuo posto in tutto questo?
Credo di aver visto succedere un po’ di cose, forse cose che ora interessano meno, le cose cambiano continuamente nel mio lavoro, e io sono sempre stato un outsider. Non sono mai stato davvero rilevante in termini di far parte di una scena o di uno stile. Ho uno stile che abbraccia molte cose e che mi da flessibilità, ma che mi rende anche alieno. Ma sono felice di fare musica al di fuori di generi ben definiti perché ci sono già un sacco di persone che suonano bene in quei campi, e io sono interessato ad altre cose.
Come hai iniziato, cosa ti ha spinto verso questo tipo di musica? Cosa senti il bisogno di comunicare?
Ho iniziato a suonare la chitarra a 12 anni ed ero ossessionato dallo scrivere canzoni e i modi diversi in cui potevano essere costruite. Gradualmente mi sono spostato verso la musica elettronica, molto più tardi, e direi che ho usato la musica sempre di più come una terapia emotiva e un modo per migliorare la mia vita in generale. Amo la musica e per me è importantissima, perché le mie reazioni sono oneste quando la ascolto, sono onesto, mentre nella vita dobbiamo sempre controllare le nostre emozioni e preoccuparci del giudizio degli altri. Per me la musica e fare musica è una catarsi.
Fai musica perché sia ascoltata o perché sia ballata? O entrambe, o nessuna? In generale, perché fai musica?
Voglio fare musica che tocchi le persone, senza pensare a se balleranno o meno. Non ho mai fatto musica davvero “dance” perché è più a base di ritmo che di armonia: amo la dance, solo che non la compongo.
Per curiosità: cosa ne pensi della Loudness War? Che sta succedendo adesso?
Per quello che ne so la Loudness War è praticamente finite, perché le piattaforme streaming livellano la musica tutta allo stesso volume. C’è però ancora il desiderio di fare musica e produzioni più potenti e fisiche possibile, che a volte è bello ma, a livello personale, credo che ci sia più spazio creativo nell’universo più delicato e “debole” che in quello più potente.