Interviste
Pin Cushion Queen, “Stories” è il racconto di un sogno senza certezze
I Pin Cushion Queen tornano con “Stories”, il loro nuovo album, terzo capitolo del lavoro iniziato con “Characters” e “Settings” che disegna il loro universo personale, popolato di personaggi che, appunto, vivono nei loro ambienti e vivono le loro storie. La band ha composto dieci brani per raccontare un “sogno senza certezze”, in cui si passa da una scena all’altra come al cinema. Racconti di maschere immobili, dichiarazioni d’amore nascoste dietro la musica rumorosa, fiabe spaventose in “The Haunted”: “Stories” è una gioia per tutti coloro che sanno vivere di immaginazione, quel tipo di immaginazione che poi scopriamo reale e, a volte, anche spaventosa.
“Stories” è stato descritto come “un sogno senza certezze”: voi avete qualche certezza, come band, o fate senza?
Se per certezze intendi risposte da dare, nate magari da riflessioni puntuali, allora no: non ne abbiamo. In caso contrario, non faremmo musica ma condivideremmo la nostra infinita saggezza in volumi dal grande peso accademico, oppure predicheremmo come influencer con milioni di adepti. Se invece intendi in un senso ancora più generico, l’unica certezza che abbiamo come gruppo è il desiderio di comporre e suonare brani che rapiscano chi ascolta senza la necessità di puntare su qualcosa che con la musica in sé non c’entra niente, come la nostra immagine o le nostre storie personali. E questo oggi ci sembra più difficile che dare una svolta alla fisica quantistica o fondare una religione che scalzi il cristianesimo.
Il vostro album si presterebbe per diventare la colonna sonora di un film alla Cronenberg, o qualcosa stile “Lucy” di Luc Besson. Se poteste scrivere la colonna sonora di un film a cosa vi piacerebbe lavorare?
Tu dici Cronenberg e Besson, e sia chiaro: se ci chiamassero per una collaborazione firmeremmo immediatamente inchinandoci alle loro maestà. Ma visto che fantastichiamo, allora forse sarebbe ancora più interessante lavorare per Lanthimos o Bong Joon-ho, per dire due estremi opposti, oppure Garrone o Luchetti, per rimanere in Italia. Una cosa che abbiamo notato, a proposito di colonne sonore, è che tra serie tv e film negli ultimi anni sono emersi compositori che ci hanno conquistato. Uno su tutti: Cristobal Tapia de Veer.
Sempre sul tema: avete i personaggi in “Characters”, l’ambientazione con “Settings” e ora le storie, con “Stories”. Continuerete la trilogia facendola diventare una saga, magari unendo tutte queste cose, o proseguirete su una strada diversa?
La verità è che non ne abbiamo idea. La cosa certa è che la trilogia era solo un modo di darsi dei limiti, una direzione, soprattutto riguardo ai testi, anche se in qualche modo ognuno dei tre passi rifletteva pure l’intenzione musicale. Ma questa è un’altra storia, un po’ lunga e probabilmente noiosa. Forse ora siamo pronti per proseguire senza restrizioni e punti fermi a cui appoggiarsi: potrebbe venirne fuori di tutto e non vediamo l’ora di provare.
Voi siete una roba onirica, anche nelle foto sembrate scappati dalla nebbia. Se foste irlandesi o islandesi vi chiederei se siete parte del Piccolo Popolo. Fare musica vi rende un po’ parte di un altro mondo, secondo voi?
La musica è ovunque, è talmente presente da risultare a volte fastidiosa, invadente: non è certo lei a renderci “parte di un altro mondo”. In ogni caso, di folklore nordico sappiamo poco o niente. Ci sentiamo più vicini ai Little People di 1Q84: ci siamo sempre stati, è il resto del mondo che vive nella nebbia.
Per curiosità: ma quando vi scambiate gli strumenti sul palco dal vivo inciampate mai?
Non siamo scaramantici, ma se fai così sembra che ce la tiri!