Interviste

Alosi presenta Cult e si riprende il suo spazio

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Alosi presenta “Cult”, un disco vario e liberatorio che esce dopo il disco dell’esordio solista “1985”. Alosi, una delle due anime de Il pan del Diavolo, ha raccolto intorno alla sua musica Stevie Culture, Adriano Viterbini e Massaroni Pianoforti per la nascita di un album che racconta tutto ciò che era importante e meritava di essere scritto in otto tracce: “Un album che contiene canzoni per me importanti scatenate da emozioni forti e contrastanti – dice –  Emozioni generate dagli avvenimenti esterni degli ultimi anni e dalla mia esperienza di vita. Così ogni canzone ha il proprio mondo personale, ognuno diverso dall’altro e colmo di uno spirito di resistenza e resilienza”.

Per prima cosa: che differenza c’è fra scrivere e suonare da solo e farlo in una band? Ti prendi più libertà o il processo è lo stesso?

Sono situazioni simili ma non identiche, alla fine l’unica cosa che conta è che il processo creativo sia sano, vivace e autentico. Quando le cose funzionano così farlo da soli, in due o in tanti cambia poco. Io mi sento libero quando ho qualcosa da dire e riesco a portarla dentro una canzone.

Nel disco ci sono un sacco di pezzi diversissimi fra loro, quindi ti tocca la domanda più difficile, improbabile e, onestamente, brutta che ti possa toccare: cosa ti ha influenzato, e da dove hai pescato tutti questi stili diversi?

Le mie esperienze personali e familiari, gli anni che abbiamo vissuto e poi i musicisti che mi sono stati vicini in questo periodo con le loro influenze musicali mi hanno arricchito molto: è bastato aprire il mio cuore ed è entrata una tempesta. Ogni pezzo ha il suo mondo e una storia anche abbastanza lunga, senza un po’ di tempo a disposizione non sarebbe stato fattibile dedicare così tanto tempo alle canzoni. Canzoni che a volte hanno bisogno di tempo e non di essere buttate lì tanto per.

Cult” è un disco liberatorio: sembra un po’ un “adesso faccio il cazzo che mi pare”. È solo una mia impressione?

Non è un’impressione, ad incerto punto ho fatto tabula rasa del lavoro che avevo fatto fino ad allora ed ho pensato: “adesso parlo e scrivo solo delle cose più importanti, indispensabili come l’aria”. Così ho dato sia valore al testo, alla musica e alle mie emozioni ma anche agli ascoltatori a cui propongo un album con i giusti tempi di maturazione.

“Cult” esce in un momento in cui per la musica dal vivo sembra esserci una specie di rinascita dopo anni di chiusure forzate dalla pandemia, ma scavando un minimo sotto si vede che il mondo dello spettacolo in Italia è quasi nella stessa situazione di partenza: se sei una band o una venue davvero grossa ce la fai, altrimenti sei condannato a cercare di galleggiare alla disperata (per non parlare delle maestranze). Cosa servirebbe davvero per tirare su la situazione, ed evitare di ritrovarci con sempre meno musica e sempre meno luoghi per farla, dal punto di vista di un musicista?

Questa è una grande verità, una piccola rinascita ma con tante cicatrice.

Secondo me la soluzione è dare dei veri incentivi a chi organizza i concerti e chi suona, tipo la siae: devi organizzare un concerto? la siae ti viene offerta per un numero di volte. Semplificazione drastica dei permessi, sconti benzina per chi viaggia e poi magari visto che gli insegnanti di musica ricevono il bonus strumenti magari anche i musicisti ne potrebbero avere diritto. Ci sarebbero mille cose da fare.

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