Interviste
Studio Murena – Wadirum è un’allucinazione collettiva nell’altrove
“Il deserto è quello spazio senza fine, ovunque ci si giri tutto è solamente la linea dell’orizzonte. Una dimensione che ha del fantascientifico, che riesce a far capire all’uomo quanto esso sia piccolo e insignificante rispetto a tutto il resto. L’unico posto dove egli può riconoscere la sua realtà e riconoscere sé stesso è l’oasi, un puntino in mezzo ad un mare di sabbia, ad un tappeto di nulla.”
Con l’omonimo album uscito nel 2021, lo Studio Murena aveva già messo al mondo una dichiarazione d’intenti forte e chiara: un’esplorazione che attracca negli abissi della complessità umana, che attinge dal jazz, dall’elettronica e dal rap per portare alla luce crude verità e antropiche contraddizioni. Sperimentarlo con anima e corpo lascia attoniti e, per questo motivo, abbiamo deciso di far parlare loro.
Mercoledì scorso siamo stati a Milano, negli uffici di Universal e Virgin Music Italia, per incontrarli e farci raccontare WadiruM, il nuovo album prodotto da Tommaso Colliva.
Ciao ragazzi! Per prima cosa voglio chiedervi: che cosa stiamo per ascoltare?
(L.C.) State per ascoltare una prima sperimentazione di genere commisto che ci sta piacendo molto chiamare “jazzcore”, diciamo la parte più spinta di Studio Murena. Già dal primo disco ci sonostati un po’ di input su quelle sonorità e su quel mood. In questo abbiamo approfondito molto di più tematiche e suoni, che sono nettamente più tesi, diretti, anche più cupi e nervosi. È un concept abbastanza nuovo e poco rintracciabile in Italia, è pura espressività della band.
(M.G.) Un’altra cosa, per citare il nostro producer Tommaso Colliva: possiamo dire che è un po’ una fotografia del nostro sound, ragionato anche su più livelli rispetto a quello che era il primo disco. Grazie a lui siamo riusciti a fotografare al meglio questa intenzionalità.
Il nome che avete scelto per il disco, WadiruM, è descritto come un “luogo altro”, liminale. Nelle tracce però parlate molto di Milano, che invece è una realtà fisica e concreta. Che ruolo ha Milano nelle vostre vite e che ruolo ha nel disco?
(G.F.) Milano è un punto d’arrivo per tutti. C’è chi è nativo milanese, ma molti di noi vengono da fuori: Brescia, Cuneo,Lima. Milano è dove è nato il progetto, una realtà in cui siamo immersi ogni giorno da quattro anni, da quando ci conosciamo.
(M.G.) Con WadiruM abbiamo cercato di fare una cosa simile a ciò che abbiamo fatto nel primo disco con Utonian, che è un pianeta inventato. In questo caso WadiruM, prende ispirazione dalla Valle della Luna e dal deserto Wadi Rum della Giordania, però pensando a come ci immaginiamo un deserto da una metropoli.
(L.C.) Gioca sullo straniamento e sul traslare la realtà concreta di Milano verso uno spazio indefinito. Il tema desertico è presente perché più volte si ragionava sull’aridità concettuale che ci troviamo a vivere ogni giorno.
Con questo espediente portate l’ascoltatore da un’altra parte:da un lato al di fuori di ciò che normalmente conosciamo come Milano e, dall’altro, di quello che conosciamo come Wadi Rum.
(M.C.) Sì, tutto il disco è pensato come se fosse un percorso, un viaggio, e abbiamo cercato di creare una scaletta che avesse ancheun senso narrativo. Infatti, il primo pezzo si chiama proprio miraggio, scritto in esperanto (miragô, ndr.) e parte con questo cajón che ti porta all’interno del pezzo e del primo viaggio. Poi l’idea del deserto torna più volte, per esempio in OASI. È un po’come fosse un un’allucinazione, quindi si passa da discorsi molto più “jazzcore” come in MARIONETTE (singolo uscito nel 2022, in collaborazione con Danno dei Colle der Fomento, ndr.), che dà al disco un finale bello strong. A metà invece c’è la collaborazione con Paolo Fresu, che si chiama ILLUSIONI E ASTRATTISMI. Il tutto è una ricerca utile a far emergere queste sfaccettature, anche dal nostro suono.
A livello di temi invece date voce a diverse forme di malessere, di rabbia. L’ascolto è quasi catartico. Pensate siano espressioni proprie del periodo storico che abbiamo vissuto e stiamoancora vivendo?
(L.C.) Sicuramente ci sono delle tematiche autobiografiche di cose che io ho vissuto in questi due, tre anni. Se ci riferiamo al lato Covid nell’esperienza di scrittura del disco, possiamo dire che abbiamo cominciato BUTTERBEAN proprio in quel periodo. Mi hanno mandato la linea di basso e io ci ho registrato sopra con il telefono. Ma non parliamo tanto di quello, quanto più – forse in una maniera molto istintiva – delle ripercussioni di cui abbiamo risentito, nel nostro vissuto. Perché non era un tema che volevamo per forza trattare e mettere dentro il disco, però è impossibile che non ci rientri se si basa appunto sulla narrazione personale di tutti e sei. Quella parte lì c’è stata, è esistita, e quindi magari alcuni temi come la solitudine o la disillusione di certi ambienti sicuramente arrivano da quel vissuto, però non è una cosa che abbiamo intenzionalmente cercato.
Cosa avete cercato intenzionalmente invece?
(M.C.) Con il primo disco siamo stati un po’ etichettati come un gruppo jazz che fa rap, che va benissimo, però sicuramente il nostro sound è molto acido. Anche con Tommaso abbiamo provato a distanziarci da quella cosa lì, dall’utilizzare suoni troppo puliti. Anche il tipo di scrittura e i suoni che abbiamo scelto, iltipo di post-produzione, sicuramente rimanda molto a un certo core, una certa vibe. Poi appunto ci bilanciamo, altrimenti verrebbe fuori una cosa po’ estrema. Quindi si passa, anche in questo caso, in pezzi più più smooth dove, comunque, c’è sempre questa patina, che è quella che vedi anche qua sulla copertina(Matteo mi mostra il vinile, ndr.), questa texture molto materica e cerchiamo di darla sempre a tutti i suoni.
Immagino che non sia stato facile trovare il vostro equilibrio, visto che siete in tanti. Oltre a questo, in WadiruM sono presenti parecchie collaborazioni, un’altra differenza importante rispetto al disco precedente. Come ci siete approcciati e com’è stato portare altri artisti all’interno del processo creativo?
(L.C.) In realtà le persone che sono entrate a far parte del disco erano artisti che conoscevamo già e sapevamo che in qualche modo apprezzavano il progetto. La cosa fondamentale era che,essendo molto complesso inserirsi all’interno di un progetto come il nostro, doveva esserci un po’ di affinità di intenti e di interesse. Per esempio, Ghemon, lo abbiamo detto un sacco di volte, è stato la primissima persona che ci ha scritto dicendoci “Fate una cosa troppo bella, vediamoci” e ci ha aiutato molto. Ci ha anche passato i contatti con Tommaso all’inizio, quindi era già parte della famiglia allargata. Paolo Fresu: uguale. Ci ha scritto lui dicendo “Fate una cosa fighissima”, a noi piaceva un casino e abbiamo provato a proporci. Con i Calibro 35 ci siamo incrociati un sacco di volte durante il primo tour e siamo tutti super fan, quindi gliel’abbiamo buttata lì. Poi con Tommy era molto semplice chiedere a Enrico di partecipare. Lo stesso vale per Arya e Laila: le abbiamo incrociate in un sacco di festival e nel parlare si sentiva che c’era affinità artistica.
(M.G.) Sì, ciò che ci piace tanto di questi featuring è che sono tutti super naturali. Come dicevi prima è difficile collaborare tra di noi(ridono, ndr.), è verissima questa cosa, ma dagli altri abbiamo cercato di arrivare come un unicum.
All’inizio parlavate dell’intenzionalità che avete cercato di applicare a questo disco. In realtà, penso che sia trasparita anche dai primi live in cui avete suonato i pezzi nuovi, sia a livello di sound che di testi. Questa ricchezza, complessità, mi ha trasmesso come il desiderio di voler creare un’esperienza collettiva, sia tra di voi che con il pubblico.
Per questo vi chiedo: cosa si può aspettare chi verrà a sentirvi live, da questo momento in poi?
(M.G.) Intanto, bellissimo! Grazie. Collettivo è una parola chiave: proprio la parola “studio” di Studio Murena è inteso come collettivo, nasce da lì. Dall’idea di collegare più menti e se riusciamo a spingere questa cosa anche al pubblico abbiamo vinto!
(L.C.) Chi verrà ai live si aspetti un concerto figo. Lo abbiamoriscritto pensando al fatto che un po’ ci annoia andare a suonare un concerto e farti le canzoni che senti su Spotify. Cioè, se hai pagato un biglietto e vieni a vederci live, allora senti una cosa “dal vivo”. Ci siamo impegnati per creare un’esperienza. È veramente figo come l’hai detto, perché si parla proprio dell’esperienza di esseread un concerto, quindi cercare in qualche modo di riarrangiare i brani per creare più fluidità tra di loro, studiarci un po’ le pause ecercare di svilupparle in una maniera che sia congeniale poi alla fruizione di un concerto e non di proporre le canzoni esattamente come sono già state sentite.
La chiacchierata si chiude con un grosso in bocca al lupo per il lancio, che siamo certi aprirà un nuovo capitolo importante per il gruppo.
A chi non ha ancora avuto l’occasione di assistere a un live dello Studio Murena, possiamo solo dire che sarà impossibile essere spettatori passivi: verrete continuamente risvegliati, sorpresi dai modi in cui il live è stato plasmato per smuovere gli animi.Segnatevi i primi appuntamenti live per l’estate: venerdì 26 maggio al MIAMI Festival a Milano e sabato 24 giugno a La Prima Estate Festival a Lido di Camaiore (LU).
Nel frattempo: buon viaggio e buon ascolto!
Maria Menduni
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