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Interviste

Ottodix: viaggi interstellari, salvezza ed apocalisse, Arca

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È uscito il 14 aprile Arca, il nuovo disco del cantautore Alessandro Zannier, in arte Ottodix. L’album è il terzo capitolo di una “trilogia dei viaggi filosofici” partita da Micromega (2017) e proseguita con Entanglement (2020).

Arca, come i due dischi precedenti (e come si può presagire dal titolo), parla di un viaggio. Coerentemente con l’attuale clima di angoscia verso un futuro incerto e la fine del cosiddetto “sistema mondo” da noi conosciuto il viaggio in questione è una fuga da un cataclisma planetario (viene menzionato nel singolo d’apertura Gravità) a bordo di una gigantesca Arca generazionale, la cui forma è ispirata alla tartaruga Chelonia Midas.

Arca è un visionario racconto a cavallo tra utopia e distopia, iperevoluzione tecnologica a scapito di un irreversibile dramma climatico, la fine di un mondo e il viaggio verso un nuovo inizio. Il tutto narrato su basi elettroniche cupe e parossistiche, regalando come risultato finale un dark sci-fi che purtroppo di fiction ha relativamente poco. 

Come avvenuto per i dischi precedenti Arca sarà presentato il 27 maggio all’evento ArcaVenice, un effettivo viaggio all’interno del disco dove lo spettatore potrà esplorare traccia per traccia l’Arca generazionale, in un climax sonoro e visivo

Lo scorso mese è uscito il tuo nuovo album, Arca, un viaggio di quasi un’ora in un mondo utopico dalle tinte gigeriane. Decisamente un progetto ambizioso: quando hai iniziato a preparare questa Odissea?

Ho iniziato quatto quatto col brano “Gravità”, in una spiaggia nel Gargano, con un taccuino e una base-demo strumentale che mi ero preparato per la vacanza (tutti i miei album iniziano disteso al sole davanti al mare). Era il 2020, nella prima finestra utile dopo il primo tremendo lockdown, in piena, macchinosa e anomala promozione di “Entanglement”, appena uscito o quasi, con un tour cancellato e una serie di live a distanza in video consegnati all’ufficio stampa per tenere impegnati i musicisti e non lasciarsi prendere dalla depressione. Come vedi è nato in piena apocalisse pandemica.

La copertina dell’album sembra una tartaruga meccanica: c’è una scelta specifica dietro a questo animale?

Sì, certo, mai metter cose a caso! È ispirata alla Chelonia Mydas, tartaruga-testuggine migrante che affronta lunghi viaggi portandosi la casa sulle spalle, animale estremamente longevo, pieno di simbologie antiche anche astrali (non astrologiche, per carità, ma astronomiche). Un animale che nuota, a cui ho dato la forma del nostro “barcone”, su cui africani, russi, europei, americani e cinesi tutti assieme si potrebbero imbarcare come migranti in fuga, tutti uguali di fronte all’emergenza e all’estinzione. È un album contro gli sprechi, le iniquità e le guerre fratricide, che di fronte ad apocalissi cosmiche renderebbero li nostri conflitti delle beghe da cortile. Mi piace sempre molto usare le scale di grandezza per far vedere sotto altra luce i problemi che abbiamo.

Una particolarità che ho percepito nel disco è stata l’atemporalità: una sorta di limbo tra un presente decadente ed un futuro ignoto. Dove si colloca nel tempo Arca?

C’è una sola provocatoria citazione nel brano incipit (il singolo) “Gravità”, quando dice “duemilatrenta la gente s’imbarca, sotto il Diluvio spingendosi tutti nell’Arca”. Ovviamente non sarebbe possibile avere la tecnologia e il tempo di costruire una simile follia visionaria in così pochi anni. Ho solo provocatoriamente voluto citare la scadenza della famosa/famigerata “Agenda 20/30”, l’ultimo appello della comunità scientifica per salvare l’habitat terrestre dall’irreversibilità di cetre cause-effetto

Quindi resta tutto in una fumosa ipotesi di fantascienza. La cosa amara è che l’apocalisse ambientale (per l’uomo, si badi, non per tutte le forme di vita) è realtà tangibile, mentre l’ipotesi di salvezza resta una fiaba spaziale. Tremendo, no?

Il disco chiude la trilogia dal microcosmo particellare di Micromega al macrocosmo colonizzato di Arca: cosa ha significato per te questo trittico? Ci saranno altre saghe di questo genere nella tua discografia futura?

Sai, non ero partito con l’idea di una trilogia, ma “Micromega” è stato un disco di ulteriore svolta per me, aprendomi una strada inaspettata e poi imboccata con decisione. Quella della contemporaneità affrontata attraverso la scienza e altre materie “alte”, lontane dal soggettivo mondo delle emozioni individuali e vicino alla divulgazione. Ovviamente poi le emozioni ritornano doppie, quando scopri che dietro alle metafore della fisica e della storia o della geografia, ci sono messaggi artistici e poetici. Dopo Micromega, un viaggio a livelli di grandezza nella materia del cosmo dalle microparticelle ai sistemi di universi, con un percorso preciso, ho capito che lo spettatore, il mio pubblico, ama farsi portare dentro a un viaggio. Così è nato Entanglement, viaggio geo storico attorno al mondo per mari e continenti, parlando dell’iper connessione globale della società. ha funzionato benissimo anche lì. Così ecco “Arca”, un viaggio dentro unacittà-stato astronave, distretto per distretto, in cui viaggiare accompagnati da una hostess-robot che illustra gli habitat artificiali, il “come vivremo” e come faremo il backup della vita terrestre e della sapienza umana. Le estreme conseguenze di un’apocalisse ambientale. La fuga a bordo di un gigantesco “barcone” verso ignoto. Direi la trilogia dei viaggi filosofici.

Sì, ho un’altra idea per il 2026, molto complessa da realizzare. può essere un quarto capitolo, come quello che li riassume tutti. Ora che mi ci fai pensare è meglio che mi muova a iniziare, perché per pubblicare dischi così complessi ci vogliono tre anni di scrittura e io ne pubblico sempre uno ogni tre

Il 27 maggio presenterai l’evento speciale Arca Venice, un’esibizione all’interno della fantomatica Arca generazionale che dà il titolo al disco. L’idea è nata insieme al disco? Se no, come hai progettato questo evento?

Sì, è il terzo album tematico che affronto collegandolo a contenuti scientifici o storici o di divulgazione, quindi sempre più penso già al concept di base come un album che poi possa venire tradotto in uno spettacolo. Sia Micromega (2017) che Entanglement (2020) che Arca hanno la caratteristica della tracklist, come un viaggio per tappe-canzoni. Un viaggio che ha un inizio e una fine e che accompagna lo spettatore “dentro” ad un’idea, fatta di stanze, come scene di un film di cui il disco è colonna sonora. Tutto l’impianto di immagini, contenuti e proiezioni si alternano con ritmi aderenti alla tracklist, ma espansi e approfonditi, dando nuove e più efficaci chiavi di lettura ai brani in ascolto. È teatro, studiato per raggiungere un climax, con momenti di riflessione severa, ambient e altri di potenza electro-rock in cui si bombarda visivamente e col suono lo spettatore. Lo scopo è di portare a casa un contenuto attuale ed emozionale guardato in chiave totalmente inaspettata e originale.

Con mia grande soddisfazione questi concerti ultimamente sono molto molto apprezzati dal pubblico nuovo che incontro, dai 16 agli 80 anni, che sta seduto e attento e poi viene di persona a stringerti la mano. Queste cose nei club non capitano quasi più, è un mondo e un’utenza diversa e alla mia età mi appaga molto di più. Il 27 maggio per “Arca Venice” (il mio progetto di mostra diffusa su Venezia supportato dal DVRI Venezia), ci esibiremo open air ospiti alla mostra dei 100 anni del CNR  “Antropocene: la Terra a ferro e fuoco”, concerto gratuito.

Cosa deve aspettarsi qualcuno che non ti ha mai visto dal vivo da un tuo spettacolo?

Deve aspettarsi il meglio dell’album, l’espansione dei suoi contenuti, un viaggio canzone dopo canzone all’interno dell’astronave, con visuals dal taglio tecnologico-apocalittico e animazioni poetiche fatte su lavagna luminosa da Laura Marini che dialogano tra loro creando una suggestione molto efficace. letture di contenuti sulle frontiere della colonizzazione spaziale, su dati impressionanti riguardanti l’habitat terrestre e il suo degrado, sull’esigenza di fare backup, riflessioni sull’intelligenza artificiale come protesi cognitiva e molto altro. In palco la band, il quartetto d’archi e le ombre della lavagna luminosa, con tanta elettronica e, ciliegina sulla torta, l’ascolto della “sonificazione” (traduzione in suono di dati alfa numerici) delle sequenze del DNA di animali estinti o resistenti all’estinzione, come l’incredibile batterio Deinococcus Radiodurans, capace di vivere un anno nello spazio cosmico esposto alle radiazioni più violente.

Vuoi dire qualcosa ai tuoi fan?

I “fans” li avevo una volta quando facevamo la band synth-wave-electro pop, ora, per contenuti e per questioni anagrafiche, sono più “ascoltatori” che fans. Proprio per questo voglio dire loro di sostenere la musica di questo tipo cercando di avere il supporto fisico, che nel mio caso restituisce un film illustrato e un book di testi e immagini inscindibili dalla musica. E ovviamente di venire agli spettacoli multimediali, dove si può ascoltare anche tutto il lavoro di contenuti e visuals che per questioni di durata non è entrato nell’album.

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