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Panik Attack: la recensione del nuovo singolo dei Judas Priest

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L’heavy metal vecchia scuola è un po’ come Jumanji. Lo ascolti fino alla nausea, poi te ne separi e per un po’ te ne dimentichi fino a quando i Judas Priest non se ne escono con “Panic Attack”: singolo che annuncia il loro diciannovesimo album “Invincible Shield”, la cui uscita è prevista per l’8 marzo 2024.

E così, un po’ come quando Alan sente il rullo di tamburi e sotto terra trova Jumanji, eccoci qui, nel 2023, a rispolverare quei vecchi vinili, togliere il chiodo dall’armadio e a ricatapultarci con qualche anno in più in un’epoca che tutto sommato ancora vive.

“Panic Attack” non rappresenta nulla di diverso rispetto alla lunga, lunghissima carriera dei Judas Priest. E’ una certezza, una sorta di comfort food per orecchie, che rivogliono e ricercano ancora quel sound un po’ nostalgico. Il testo e la metrica sono un vero tuffo nel passato, così come la costruzione del pezzo che si basa su una intro che supera il minuto abbondante, ma servendo subito sul piatto quella batteria un po’ ovattata, che tanto piace, e una linea di chitarra grezza, arrogante e che in crescendo sviluppa quello che poi sarà il riff portante del pezzo. A quasi 1.20 ecco arrivare Rob Halford, che deve benedire e ringraziare l’eccellente produzione di Andy Sneap, che per altro fa anche da turnista per i Judas Priest.

Lo stile di Rob, famoso per i suoi acuti quasi in falsetto, sono un tratto distintivo ed identitario, un vero e proprio marchio di fabbrica che ha fatto sì che i Judas Priest spiccassero nel mondo heavy, distinguendosi dalla massa. L’assolo, anche questo una costante, arriva nella seconda metà del pezzo, sviluppandosi in velocità su pentatoniche in velocità, senza aggiungere chissà quale chicca.

Pezzo bello, orecchiabile, fan service al 100 % ma c’è un ma… Gli evidenti limiti e problemi di Rob Halford alla voce sono noti e documentati, c’è quindi da chiedersi, tolta la parte puramente ritmica e musicale su cui non vi è nulla da dire, se valga ancora la pena produrre pezzi di questo tipo, spingendo la voce di Halford verso tonalità che non è più in grado di raggiungere. Perché confezionare un pezzo che live non avrà neanche la metà della resa che ha su disco? Tolta questa piccola polemica, dovuta e necessaria, “Panic Attack!” è un pezzo che scalda e che crea, almeno su disco, aspettative altissime.

Francesca Carbone

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