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Architects, Spiritbox e Loathe – Live report della data di Milano

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Martedì 6 febbraio non è stato solamente l’inizio della settimana santa di Sanremo (di cui potete trovare il nostro resoconto qui), ma anche il tanto atteso ritorno degli Architects in Italia.

Prima di comunicare mi levo subito qualche sassolino dalla scarpa in merito ad una situazione che sta rendendo impossibile ed invivibile il godersi un concerto, qualunque esso sia: l’utilizzo degli stramaledettissimi cellulari.

Al di là che io sia alta come un comodino e che a prescindere, salvo location all’aperto e palchi molto alti, la mia visione di un concerto siano le teste degli altri, è veramente assurdo, vergognoso e squallido passare l’interno concerto a braccia alzate per fare dirette social (raga ma chi vi segue?) e video (che non vedrete mai).

Se il vostro desiderio è quello di pagare il biglietto per guardare il vostro cellulare per capire se la ripresa è ok, fatelo contro un muro perchè io e molte altre persone siamo stufe marce di non poter vivere appieno una esperienza per le vostre barricate tecnologiche e multimediali di cui a nessuno frega niente, ma concentriamoci sul report che è meglio.

Loathe e Spiritbox


I Loathe, gruppo stoner/metalcore inglese, hanno il compito di scaldare il pubblico milanese, che fin dall’apertura cancelli è decisamente numeroso. Purtroppo la band inizia alle 19 circa e quando arriviamo facciamo in tempo ad ascoltare gli ultimi due pezzi. Per quel poco a cui abbiamo assistito possiamo dire che la band ha potuto beneficiare di una location quasi sold out, con un pubblico molto partecipativo e anche incuriosito dalla loro proposta.

A livello di suoni, e questo vale anche per i successivi Spiritbox, dire che siamo in alto mare è fare un complimento. Nonostante i Loathe, sulla base di quanto ascoltato su altre piattaforme streaming, non siano esattamente la mia cup of tea, è sempre poco piacevole assistere ad una performance rovinata da suoni impastati e confusi, che non permettono di distinguere alcun tipo di elemento.

Sono quasi le 20 quando sul palco approdano gli Spiritbox, quartetto canadese che propone un metalcore piuttosto soft e che strizza entrambi gli occhi all’elettronica.

Personalmente seguo la band da qualche anno e sono da sempre affascinata dalle voci femminili versatili, al punto tale da passare da clean e screamo in uno schiocco di dita, per cui mi sono approcciata al live con aspettative molto alte e con la curiosità di chi vuole capire quanto siano reali e veritiere le voci come quella di Courtney LaPlante.

Sui suoni, che comunque in corso d’opera sono stati leggermente migliorati, mi sono già espressa ma ad ogni modo mi sono trovata di fronte ad una band molto statica, poco coinvolgente e con una Courtney molto più concentrata sul cantare bene e conservare la voce per i pezzi finali.

La produzione degli Spiritbox non è fitta, per cui nel giro di mezz’ora circa la scaletta ha dato spazio ai singoli del nuovo EP e ai pezzi più famosi, con particolare attenzione al trittico finale “Circle With Me”, “Holy Roller” e “Hysteria”.

Architects in concerto nel 2019


Architects


Se gli Spiritbox hanno fatto il cosiddetto “compitino”, gli Architects giocano un campionato differente e nettamente superiore.

Sono circa le 21 quando Sam Carter & co. fanno il loro ingresso sul main stage dell’Alcatraz, che per l’occasione è stato totalmente rivisitato ospitando un palco su 3 livelli, tutto con maxischermi su cui sono state proiettate grafiche e mini clip che hanno reso speciale ed unico ogni singolo pezzo.

Anni di esperienza e di tour in giro per il mondo hanno fatto sì che la band, da pochi mesi orfana di Josh Middleton (che nelle doppie voci è mancato come l’aria), abbiano acquisito una maggior sicurezza sul palco, dominando la scena dall’inizio alla fine, mantenendo alta l’asticella della qualità che, fatta eccezione per “Seeking Red” su cui per un problema di suoni non è pervenuta la voce di Sam Carter, è decisamente ad un livello molto alto, quasi da grande festival internazionale.

La band ha ormai raggiunto vent’anni di onorato servizio e non è quindi facile mettere insieme una scaletta che possa accontentare tutti, ma nel complesso, per quanto personalmente sarebbe stato umanamente importante non togliere “Gone With The Wind” e dare comunque spazio a qualche pezzo in più di “All Our Gods Have Abandoned Us”, anche la maggior parte dei palati raffinati ne è uscita senza colpo ferire.

Sam Carter è un frontman a tutti gli effetti che ha saputo mangiarsi il palco, saltando e correndo senza mai perdere fiato e voce, e conquistare la folla con carisma, passione e attitudine facendo si che anche il pubblico fosse un componente a tutti gli effetti.

Per quanto anche gli altri componenti nel corso della carriera abbiano fatto tanta strada, non si può non notare il lavoro importante fatto sulla voce, che con studio e allenamento ha tirato fuori un calore ed una maturità da fare invidia a molti colleghi.

“Deep Fake”, che è stata una delle tante prove del nove di questo live, ha messo subito in chiaro che la band può esistere anche senza Josh Middleton ma che bisogna essere poco pretenziosi, dimenticandosi quelle doppie voci e quei cori che ora sono confluiti tutti nei Sylosis.

Il pubblico, che non perde un solo pezzo, canta ogni singola parola dando il meglio di sé su “Doomsday” e “Royal Beggars”, su cui a tratti è stato quasi difficile sentire gli Architects.

Ma quanto è bello vedere quanto la musica azzeri le distanze e le differenze, creando unione e sinergia. Il bello dei concerti è proprio questo, trovarsi in una situazione in cui tante generazioni (sotto al palco si andava dai 15 a 50 anni) si dimenticano delle barriere, si lasciano trasportare e vivono appieno la musica.

“These Colours Don’t Run” ha ospitato sul palco Kadeen France dei Loathe, che ha completamente ribaltato la versione originale del pezzo regalandoci un duetto eccellente ed eccezionale.

“Animals” conclude una setlist non proprio breve, ma che di fatto è stata una sorta di best of degli Architects, che ha saputo catalizzare per un’ora e mezza abbondante, e senza sbavature, un pubblico esigente e preparato.

La maturità artistica degli Architects è un tratto distintivo della band che, a differenza di molti altri colleghi, è in continua crescita e non smette di sperimentare e, nel caso del live, riarrangiare perchè non c’è cosa più brutta in campo artistico dell’accontentarsi.

Avanti così, al prossimo live!

La scaletta del concerto degli Architects a Milano

  1. Seeing Red
  2. Giving Blood
  3. Deep Fake
  4. Impermanence
  5. Deathwish
  6. Black Lungs
  7. Discourse Is Dead
  8. Hereafter
  9. Gravedigger
  10. Dead Butterflies
  11. Little Wonder
  12. Doomsday
  13. Royal Beggars
  14. These Colours Don’t Run (feat. Kadeem France dei Loathe)
  15. A New Moral Low Ground
  16. Meteor
  17. When We Were Young
  18. Nihilist
  19. Animals

Testo di Francesca Carbone

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