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NICK CAVE – Il concerto di Milano del 20 ottobre 2024
La bellezza salverà il mondo, diceva Dostoevskij.
E di un’assurda bellezza hanno potuto beneficiare le 11.000 anime presenti in raccoglimento al Forum di Assago (mi piace continuare a chiamarlo così!) per l’unica data italiana scelta dal Re Inchiostro per il nostro paese.
Se la benedizione mantrica “You’re Beautiful, Stop!”, evocata nella parte finale della serata da colui che oltre ad assurgere il ruolo di artista è diventato nel corso degli anni un vero messia pagano per tanti fan, salverà questo mondo impazzito non è dato saperlo. Certo è che quello a cui si è assistito ieri è qualcosa di più che un meraviglioso concerto perfettamente riuscito.
Voglio essere chiaro da subito… per spessore, intensità e potenza performativa/comunicativa quello di Cave insieme ai Depeche Mode è il live migliore cui ho assistito senza dubbio quest’anno (chi scrive è un animale da concerti che si ciba in maniera bulimica di eventi live indistintamente tra artisti di alta risonanza e quelli di nicchia).
Entriamo ora nel vivo della serata.
Ad aprire le danze, salgono sul palco alle 19.45 quei The Murder Capital, scelti personalmente dal sessantasettenne australiano, che si fanno ben apprezzare dal pubblico con un set di 45 minuti del loro sound post punk appartenente a quel filone ritornato alla ribalta dagli anni 10 e che ha ridato lustro alle chitarre cupe e dark di matrice new wave anni 80.
Il riferimento va ovviamente ai connazionali Fontaines D.C., anche se con un’attitudine maggiormente teatrale e arrogante. Caratteristica quest’ultima che, se da una parte può essere considerata un pregio (vedi il carisma presuntuosamente coerente del cantante James McGovern), dall’altra può anche essere un difetto (ricordiamo per esempio al bassista Gabriel Pascal Blake di non avere ancora, purtroppo per lui, il pedigree e il curriculum di un Peter Hook o di un Simon Gallup a caso).
Alle 21 in punto invece, tra l’ovazione generale, sale sul palco la nuova versione dei Bad Seeds, per accompagnare sulle note di Frogs l’entrata del loro leader che, braccio alzato per salutare il pubblico, dimostra già dalle prime battute una concentrazione e una trance agonistica che non troveranno un minimo di calo fisiologico per le 2 ore e mezzo successive.
Bastano solo le prime 2 canzoni, la seconda sarà Wild God, per avere la conferma che il pubblico tutto (parterre e spalti compresi non fa differenza) è già totalmente conquistato.
In quello che accadrà da qui in avanti c’è dentro di tutto, perché se da un punto di vista sonoro, corretta qualche piccola imperfezione tecnica come quella lamentata in avvio dal nuovo arrivato Colin Greenwood (bassista dei Radiohead per i pochi che non lo sapessero) che fa segno di non sentire bene, assisteremo ad una band in stato di grazia oltre ad una performance vocale pulitissima e vigorosa, ci saranno tanti piccoli episodi a sancire una serata memorabile.
Iniziamo dai tre sorrisi (li ho contati!) che Nick esprime spontaneamente (evento più unico che raro), il primo al termine di Song of The Lake, alle salite adrenaliniche metaforicamente in cattedra (nella realtà la sua sedia) di un Warren Ellis strepitoso con il suo celebre violino a partire da quel capolavoro multi orgasmico che è Jubilee Street. Procediamo con la donna in transenna, cui Nick concede la grazia di stringere per ben 15 secondi la sua gamba, in rappresentanza di tutti noi (per poi scherzarci sopra precisando che deve anche riuscire a muoversi per portare avanti la serata), al fazzoletto concesso da un fan per asciugarsi il sudore e provocatamente rilanciato al mittente, il quale lo trasformerà prontamente in reliqua (se non deciderà di metterlo in vendita su e bay già da oggi a cifre indicibili).
Ci sono poi le ali d’angelo, caduto o meno non importa, createsi causa sudore spontaneamente e simbolicamente sul retro della sua giacca e i giochi da navigato direttore d’orchestra con i battiti delle mani pretesi in risposta dal pubblico durante una The Weeping Song leggendaria.
Torniamo ora alla Musica.
Condivisibilissima la scelta di proporre nella setlist quasi tutti i brani dell’ultimo genito, ad eccezione discutibilmente di una As the Water Cover the Sea (personalmente l’avrei preferita a Carnage) che avrebbe dato maggiormente lustro alla presenza goespelliana godibilissima dei 4 coristi potutisi ammirare da protagonisti con White Elephant.
Considerando la vastità del repertorio Caveiano, questa non è neanche da considerarsi una scelta coraggiosa, perché era chiaro fin da subito che le nuove tracce avrebbero trovato maggior respiro e una evoluzione perfetta nella loro dimensione live.
Nota a margine va senz’altro ai due momenti più intimi e struggenti della serata, ovvero a quella I need you, in cui uno sguardo supplicante proposto in primo piano sugli schermi per tutta la sua durata fa trasparire inequivocabilmente qualcosa che solo a pensarci non può che lasciare stravolti.
E alla chiusura della cerimonia, che spetta a Into My Arms, con un uomo solo sul palco, il suo piano, un occhio di bue inevitabilmente puntato e tutta la grazia possibile che necessariamente serve a decomprimere quella tensione elettrica rilasciata dalle cavalcate violente che l’hanno preceduta.
Ho letto recentemente un articolo in cui, durante la presentazione ufficiale londinese dell’ultimo album, un fan porge questa domanda:
“Nick, quando sei diventato un vampiro? Non cambi mai!”
Risposta: “Saranno stati due anni di abuso di eroina e una crema per il viso che fa miracoli”.
Personalmente mi sento di ringraziare quella crema miracolosa e quel Dio che, seppure selvaggio, ce l’ha graziato e regalato ancora per tutti questi anni!
SETLIST:
START 21.00
FINISH 23.30
FROGS
WILD GOD
SONG OF THE LAKE
O CHILDREN
JUBILEE STREET
FROM HER TO ETERNITY
LONG DARK NIGHT
CINNAMON HORSES
TUPELO
CONVERSION
BRIGHT HORSES
JOY
I NEED YOU
CARNAGE
FINAL RESCUE ATTEMPT
RED RIGHT HAND
THE MERCY SEAT
WHITE ELEPHANT
ENCORE:
O WOW O WOW / HOW WONDERFUL SHE IS
PAPA WON’T LEAVE YOU, HENRY
THE WEEPING SONG
INTO MY ARMS
Foto di Mairo Cinquetti
Testo di Stefano Quattri