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Black Pumas: il report del live al Fabrique di Milano

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A poco più di un anno dall’uscita del loro ultimo album in studio, “Chronicles of a Diamond”, e in attesa della pubblicazione del loro primo album dal vivo, “Live From Brooklyn Paramount”, in arrivo il 22 novembre, i Black Pumas hanno fatto tappa, ieri, al Fabrique, con la loro prima assoluta a Milano, nonché unica data italiana della leg europea del tour.  

Un concerto dai connotati eleganti e dalle atmosfere morbide, parzialmente inficiato dall’acustica non esaltante della venue, da una scaletta dai ritmi tutt’altro che serrati e dall’immobilità della band attorno alla vocalità, di certo incendiaria, del frontman Eric Burton. Nota assolutamente positiva, il parterre popolato da almeno tre generazioni di pubblico, riunite sotto l’egida del rock soul lisergico del duo di Austin. Bellissima anche la scenografia, semplice, ma di assoluto impatto, col vessillo dei due puma che si fronteggiano digrignando le fauci sul fondo della scena, e i giochi di luce, sempre molto ben calibrati, ad esaltare con misura i diversi momenti del live.

Col set del cantautore statunitense Son Little a scaldare l’atmosfera della serata in apertura, Eric Burton (voce e chitarra) e Adrian Quesada (chitarra), accompagnati sul palco da JaRon Marshall alle tastiere, Brendan Bond al basso, Stephen Bidwell alla batteria, Terin Ector alle congas, Angela Miller e Lauren Cervantes ai cori, hanno dato vita a un live di un’ora e mezza circa, entrato nel vivo senza esitazioni con “Gemini Sun”, senza dubbio uno dei brani più interessanti della produzione dei Black Pumas, perfetto connubio tra l’anima r’n’b della band e quella più legata a sofisticate atmosfere psychedelic rock, dai toni bellamente retro.

A seguire “More Than a Love Song”, con Burton sceso nel parterre e avvolto dall’abbraccio del pubblico sul verso mantra fly together, cantato da tutti (o quasi), rimane tra i momenti più coinvolgenti di un concerto a fasi un po’ alterne. A spezzare subito il ritmo, infatti, ci ha pensato “Mrs. Postman”, piazzata tra “More Than a Love Song” e una versione lenta ed inspiegabilmente piena di distrazioni, tra coretti e scambi parlati col pubblico, di “Know You Better”: il brano, tra i più amati e pieni di groove della band, avrebbe potuto rappresentare un momento catartico all’interno della scaletta, ma, invece, purtroppo, non ha brillato come ci si attendeva.

Un po’ una delusione, lenita dall’arrivo di “Black Moon Rising”, altro pezzone tratto dall’eponimo disco d’esordio dei Black Pumas, morbida, oscura e raffinata, la canzone ha decisamente segnato uno dei momenti più belli del concerto, insieme a pezzi come “Fire”, “Confines”, “OCT 33” e la hit “Colors”, messa in chiusura, prima dell’encore. Poi ci sono pezzi come “Ice Cream (Pay Phone)” e “Hello”, preziosi dal punto di vista della scrittura, portatori di un sound soul e r’n’b di eccellente fattura, ma che è parso abbiano faticato a fare presa sull’audience di Milano. Quel che è sembrato funzionare alla grande, invece, sono stati quei pezzi, in cui l’anima black di Burton incontra e si fonde con quella rock della chitarra di Quesada, è lì che esplodono tutta la potenza, il fascino e l’unicità del suono dei Black Pumas.

Tornato sul palco da solo, Burton ha suonato chitarra e voce la cover di “Fast Car” di Tracy Chapman, un pezzo inciso dalla band e incluso in “Chronicles of a Diamond”. Evidentemente emozionato, sulle note di un brano importante per lui, che lo riporta a vicende personali e ai tempi in cui suonava per le strade della California, Eric, dopo aver dimenticato le parole iniziali del testo, ha chiesto l’aiuto del pubblico, dando vita a un momento particolarmente toccante del live, con “Fast Car” cantata all’unisono dal pubblico del Fabrique. Asciugata la lacrimuccia, si vola verso il finale con “Rock and Roll”, è il martellante e lisergico commiato dei Black Pumas… ma non di Burton, che poco dopo la fine del live tornerà sul palco, fermandosi a lungo ad abbracciare i fan e firmare autografi.

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