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The Heavy Countdown #115: Code Orange, Silverstein, Burzum

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Code Orange – Underneath
Se “Forever” (2017) è stato il disco del lancio internazionale dei Code Orange, “Underneath”, il quarto lavoro della giovane band, è senza dubbio l’album della consacrazione. Che i Nostri avessero tutte le carte in regola per sfondare nel’alternative (metal) era quindi un dato di fatto, mancava solo la prova del nove per dimostrare di non essere meteore come tante. Ed eccola qui, una piccola gemma in cui non mancano incursioni nell’industrial e nell’hardcore (“Swallowing the Rabbit Whole” e “Cold.Metal.Place”), ma che mostra il lato migliore dei Code Orange grazie all’amore sempre presente e neanche troppo velato per l’alternative duro e puro (e “Sulfur Surrounding” ne è la testimonianza definitiva).

Silverstein – A Beautiful Place to Drown
Festeggiare il ventesimo anno di carriera e il decimo full-length in studio nello stesso momento non è cosa da tutti, e infatti i veterani Silverstein, per onorare l’occasione, hanno deciso di fare le cose in grande dando alle stampe un disco come “A Beautiful Place to Drown”. La formazione post-hardcore non delude i fedelissimi della prima ora e dello screamo/pop-punk (“Where Are You” e “Shape Shift”), ma aggiunge un pizzico di pepe in più con una manciata di feat che vanno da Aaron Gillespie degli Underoath alla nuova promessa dell’hip hop Princess Nokia.

Ocean Grove – Flip Phone Fantasy
Avete presente quegli anni in cui i Motorola Razr erano il sogno proibito di qualsiasi teenager (e non)? Bene, se così non fosse, ci pensano gli Ocean Grove a rinfrescarvi i ricordi. Non solo piazzando in copertina il cellulare simbolo di un’era, ma anche rispolverando l’alt-nu-metal tanto in voga tra fine ’90 e primi 2000 (ricordando con tenerezza Limp Bizkit, Korn, Linkin Park e anche Crazy Town), ma strizzando pure l’occhio anche a chi di quel periodo non ha memoria per questioni anagrafiche, con incursioni in territori dubstep ed electropop-rap (vedi “Sunny” e “Guys from the Gord”).

Body Count – Carnivore
Dopo trent’anni di attività e sette dischi in carriera, Ice-T e i suoi non solo non ne hanno mai abbastanza di scagliarsi contro ingiustizie, politici, poliziotti e chi più ne ha più ne metta, ma anche di gridare ai quattro venti il loro amore per le sonorità heavy e hardcore. Di carne al fuoco (il gioco di parole è volutissimo) in “Carnivore” ce n’è da vendere, tra cover oltre il limite dell’autoreferenziale (“Colors”, ma anche “Ace of Spades”) e un buon numero di featuring, tra i quali spicca Amy Lee in “When I’m Gone”, che tira fuori a forza il lato tenerone anche da chi meno te lo aspetti.

Burzum – Thulean Mysteries
“Mi ritiro e vado a vivere nella foresta. Cioè, Burzum si ritira e io vado a vivere nella foresta. Anzi no, Burzum si ritira nella foresta ma continua a suonare e io faccio i video su YouTube. Forse”. Interpretando liberamente i flussi di coscienza di Varg Vikernes degli ultimi anni, riassumiamo al meglio questo “Thulean Mysteries”, un album che in teoria non avrebbe neanche dovuto vedere la luce secondo il suo stesso fautore, ma tant’è. L’ultima opera di Burzum è un lunghissimo viaggio nelle leggende di Thule, la terra mitologica al centro del culto pagano professato dallo stesso Vikernes, composto più che da canzoni vere e proprie, da idee e suggestioni di brani in cui i misteri di Thule prendono vita a suon di ambient e di eco lontane. Nella foresta, sì.

https://www.youtube.com/watch?v=GiTC9zKQi_M

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