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Editoriali

Il Concerto da vittima sacrificale delle restrizioni a simbolo della ripartenza

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Nefasto 2020 che ha cambiato il mondo per sempre, noi testimoni di uno sconvolgimento epocale del nostro stile di vita, della nostra società che ha cambiato volto in maniera radicale. Tante sofferenze e morte, paure senza nome sono nate dalla scoperta che un elemento infinitesimamente piccolo è in grado di sconvolgere tutto quello che davamo per scontato. Questa è tra tutte la cosa che più ha minato le nostre sicurezze, costruite su un sistema che ci stava mangiando l’anima. Lo abbiamo scoperto solo una volta fermi e sconnessi dal tran tran quotidiano fatto di lavoro spasmodico e di tempo libero che tempo libero non è, ma solo un flusso continuo fatto di consumo atto alla giustificazione del lavoro. Insomma, tante riflessioni e insicurezze, angosce che come ombre corrono furtive sulle pareti che per mesi ci hanno imprigionato spesso in compagnie non gradite. Noi stessi, per esempio. Piano piano ora stiamo ripartendo, con le giornate più lunghe e il sole, le vacanze e il mare, le code sulle strade e ponti che riaprono e chiudono faticosamente capitoli oscuri della storia recente del nostro Paese, almeno sulle nostre sponde cominciamo a rialzarci, mentre nel resto del mondo invece è ancora piena guerra alla pandemia che ben conosciamo. Riaperture centellinate ci consentono di avere una minima prospettiva per il futuro, anche se la razza umana ci metterà molto a rialzarsi e con molta fatica, privazioni e patimenti. A ritmi ridottissimi tutti stanno avendo una seconda occasione, ma non la musica live. Ripartono le imprese, le scuole, le manifestazioni. Non sembra essere l’assembramento il problema, se regolamentato. Persino gli stadi sono in programma di riapertura per settembre, posti dove la pacatezza e il distanziamento non sono proprio le prerogative primarie.

Cosa allora sta tanto antipatico della musica live? Cosa ha trasformato il settore nello spauracchio della ripartenza, nel capro espiatorio di tutta una situazione che pare dover lasciare indietro la musica per tornare a rialzarsi?

Non dimentichiamo che in una situazione di estrema difficoltà ed emergenza, la musica live non è di certo una necessità ai primi posti. Ma nemmeno l’ultima ruota del carro. Relegati dietro ad un vetro di plexiglass, i concerti guardano sconsolati tutti gli altri ripartire. Il grande problema dei concerti è che convogliano la fonte dell’intrattenimento tutto in un punto solo. Il palco, il cantante o il gruppo in azione sono il fulcro dell’esibizione, e tutte le migliaia di persone presenti si proiettano in quell’unico punto come falene alla fonte di luce. E’ sempre stato così, un rito consolidato che viveva di ore passate ad aspettare davanti ai cancelli addirittura dal giorno prima dell’apertura, fino all’esplosione vitale della corsa dall’estremità complesso fino alle transenne per assicurarsi uno sguardo diretto del proprio beniamino, per sentire sulla pelle il calore delle luci,per scorgere i particolari dei visi, dei vestiti, senza doverli guardare dai megaschermi. Un rapporto privilegiato con l’esibizione riservato a poche centinaia di persone racchiuse in un area di pochi metri, al quale ambiscono decine di migliaia di altri avventori sparsi in aree di centinaia di metri. L’assembramento nei concerti è parte consolidata di un rito, di un ecosistema vivo che si nutre di questo, del sudore e della condivisione.

Così, vista la natura della musica live e del modo di viverla, è chiaro che non potremo tornare a cantare e ballare sotto un palco insieme ad altre migliaia di persone fino a quando non sconfiggeremo in maniera totale e definitiva questa pandemia.

La musica live, anche in questo 2020 terribile, non è bandita. Questo è giusto dirlo. Ci sono regole da seguire che consentono l’organizzazione di eventi. Il problema sta nella convivenza tra queste regole e i grandi eventi. Non è possibile. Concerti di artisti nostrani, in atmosfere compassate con posti a sedere, ok. Alcune buone idee come il bike-in, in aree predisposte, aperte, suggestive, è possibile e anche auspicabile. Soluzioni smart, sicure, ecologiche. Ma questo formato non si combina per forza di cose con i grandi eventi.

Lo abbiamo capito, se ce ne fosse stato bisogno, con il recente episodio del concerto a New York dei Chainsmokers. Un concerto inizialmente impostato nel formato drive-in, tutti in macchina, fermi, isolati. Consumazioni portate sul posto dal servizio dedicato. Una volta che le note hanno cominciato ad uscire dagli autoparlanti però le regole si sono disintegrate a colpi di decibel. Lo spirito indomito della musica, che da sempre coinvolge abbattendo le barriere e le remore, inibizioni e timidezze, ha rovinato la festa e dimostrato che non esistono regole in grado di imbrigliare questa forza. Il risultato è stato assembramenti e sregolatezze, senza più alcun riguardo alla sicurezza e al buon senso. Brutta figura e ennesimo colpo ad un sistema che fa lavorare migliaia di persone solo in Italia, che come molti altri ha subito perdite inestimabili, ma che a differenza di molti non ha un futuro roseo sul quale poggiare speranze.

Le limitazioni in essere non potranno mai consentire un concerto evento come quello degli AC/DC a Imola nel 2015 con centomila persone festanti,  come gli strepitosi festival che hanno prosperato negli ultimi anni come il Firenze Rocks, i-Days Festival, Rock in Roma. I concerti virtuali possono funzionare in certi contesti, come il concerto su Fornite di Travis Scott visto da 12 milioni di persone, un tipo di fruizione però poco famigliare a noi vecchi rockers. I Bush, viste le condizioni, hanno impostato un concerto virtuale di presentazione del loro nuovo album The Kingdom. Ma non è la stessa cosa. Non lo è nei fatti, non lo è nemmeno in video. Gli artisti, chi più chi meno, vivono degli sguardi dei loro fan, delle parole scritte di loro pugno urlate al cielo da migliaia di fan.

Tra negazionisti e terrorizzati, chi ha l’acqua alla gola cercando di rimanere a galla, il mondo ha portato il conto salato di una società che ultimamente stava andando troppo veloce. I mega eventi di musica live sono lo spauracchio di un modo di vivere colpevolizzato da una paura atavica che poco ha a che fare con la logica. Una posizione scomoda, drammatica, che sta facendo soffrire molti e non solo per mancanza di intrattenimento. Anche e soprattutto per mancanza di lavoro, di una motivazione di vita.

E’ auspicabile però, se nella speranza dobbiamo per forza di cose puntare, che quanto la musica live sia ora il simbolo della privazione, del proibito, del campo del non possibile, una volta sconfitta la pandemia lo sarà viceversa della ripartenza, del ritorno alla vita, all’amore per la musica e per tutto quello che rappresenta. I grandi festival hanno tutti o quasi una data fissata per l’estate del 2021 e non ci resta che sperare in un  mondo non solo uguale a quello di prima, ma addirittura migliore con la colonna sonora della nostra musica preferita, condivisa con noi stessi, i nostri cari, tutto il mondo.

Photo credits: Luigi Rizzo

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