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Interviste

Intervista a Enzo Gentile, coautore del libro The Story Of Life gli ultimi giorni di Jimi Hendrix

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Ho avuto la fortuna ed il piacere di leggere il libro di Enzo Gentile e Roberto Crema “The Story of Life” gli ultimi giorni di Jimi Hendrix con la prefazione di Leon Hendrix. E’ stato un viaggio bellissimo che ho letto tutto d’un fiato e che nonostante ne conoscessi il triste epilogo ho fortemente voluto che il finale fosse diverso. Sono stata trasportata di fianco a Jimi, a coloro che lo circondavano e quando è arrivata la fine ho sentito il peso del vuoto di un’artista sublime e speciale quale era lui.
Ho avuto anche il piacere di scambiare due chiacchere con un giornalista della portata di Enzo Gentile, coautore del libro e hendrixiano da sempre.

Uno dei tanti bellissimi passaggi del libro fa cenno al fatto che Jimi fosse figlio di quell’America che non sarebbe piaciuta a Trump, un’affermazione decisamente attuale visto che molti artisti della scena americana stanno chiedendo di non usare la loro musica per fini politici, soprattutto per fini politici di Trump. Nel libro si legge che Hendrix disse che ci si divideva in ribelli o in una specie di Frank Sinatra e che lui aveva scelto di essere, appunto, un Frank Sinatra . Alla luce di questo, oggi avrebbe suonato l’inno americano come fece a Woodstock?

Hendrix aveva avuto diversi contatti anche se mai esplicitati, anche se mai pubblicizzati  con le frange più radicali dell’opposizione nera le Black Panthers, aveva, pare, anche destinato dei fondi.  Era comunque una persona molto sensibile a certe istanze, non desiderava però che si mischiasse questa sua componente con la dimensione più strettamente artistica. Sono peraltro certo che in questo periodo se ci fosse stato uno come Hendrix sulla scena sicuramente gli accadimenti recenti americani del black lives matter avrebbero anche la sua voce da quella parte. Per il resto una figura come Trump ha quasi solo nemici in capo artistico. Jimi Hendrix quando morì Martin Luther King, assassinato nel 68, comunque mostrò nel concerto di Woodstock e durante i concerti di quelle sere una presa di posizione non neutrale.

Nel libro si parla di osmosi trans generazionale, Jimi prendeva dal passato lo elaborava e componeva il futuro perché Hendix è stato il futuro e forse lo è ancora. C’è qualcuno, ad oggi, in grado di creare un ponte musicale così forte tra le generazioni in un mondo dove il brano che esce oggi è già vecchio domani?

E’ sempre complicato  e forse anche sbagliato cercare di fare paragoni nel senso dei  cinquant’anni.Il mercato ha trasformato e ha rivoluzionato sicuramente le modalità di ascolto e di consumo; un’artista come Jimi Hendrix aveva una attività estremamente generosa, intensa ma non aveva l’appoggio  delle televisioni classiche o dei videoclip quindi il suo è stato un rapporto sempre molto vivo, molto diretto perché a  parte i dischi c’erano tournèe infinite con decine e decine di date che si susseguivano negli Stati Uniti ma anche in Europa è sempre con delle grandi folle. Questa dimensione decisamente diretta e decisamente calda con il pubblico oggi si può replicare e peraltro non vedo un artista paragonabile, si potrebbe citare Bruce Springsteen ma è da quarantacinque anni, quasi cinquanta che e’ in pista quindi non possiamo parlare di un erede o di un successore. Parliamo semplicemente di un artista di straordinario valore che ha una forte empatia col pubblico, da un punto di vista anche spirituale oltre che fisico però è tutt’altro campo quello in cui gioca.

In questo libro troviamo un Hendrix molto spirituale, un ragazzo estremamente semplice che chiedeva solo di fare musica e che è stato travolto dal sistema, un sistema che continua a travolgere e gli artisti.  Andando sempre più avanti nella lettura si entra dentro l’animo di questo artista immenso scoprendo un’anima estremamente profonda. C’era qualcosa di veramente magico in lui?

Hendrix di origine afro-americana e Cherokee non ha mai fatto mistero di avere un grande trasporto, un grande richiamo anche rispetto al campo religioso, al campo del pensiero e della spiritualità. Ci sono diversi riferimenti e diversi elementi che ritornano nelle canzoni o nelle sue dichiarazioni e naturalmente era molto americano anche da questo punto di vista, quindi non c’era quel tipo di condizionamento che può avere la religione cattolica del nostro paese. Credeva sicuramente ad alcune parti dello spirito della conoscenza e che possono incuriosire, per esempio, amava molto i fumetti e amava molto gli astri e l’astronomia, il gioco dei pianeti , scrutava. Anche nelle sue canzoni ha parlato di questo e sicuramente c’era trasporto verso una dimensione altra che non è assolutamente casuale.

Hendrix amava così tanto la musica da volerla comporre e donarla affinchè la potessero suonare altri musicisti. Per noi puristi è difficile ascoltare brani di Hendrix ma c’è qualcuno che riesce a far vibrare le corde con la stessa spiritualità e a toccarci così?

Nel corso di cinquant’anni sono molti i chitarristi che si sono susseguiti e hanno battuto il terreno della “hendrixianità” diciamola così, però non li vorrei annoverare tra gli imitatori. Ci sono, c’è gente che può replicare un brano di Hendrix molto molto vicino all’originale, preferisco pensare a musicisti che hanno recuperato lo spirito e hanno messo qualcosa di proprio. Il più importante, che non c’è più da tanto tempo però è Stevie Ray Vaughan, il quale diceva di essere una sorta di figlio indiretto di Jimi Hendrix ,faceva blues, faceva brani propri e faceva anche brani di Jimi. Per venire più ai giorni nostri Joe Bonamassa è un ottimo chitarrista bianco, ha uno stile straordinario ha una tecnica e una pulizia di grande grande spessore, dal vivo è entusiasmante. Ci sono tanti altri musicisti che suonano alla Hendrix o hanno dimostrato di essere in grande debito nei suoi confronti, il problema è averlo fatto cinquant’anni anni fa e oltre con mezzi tecnici di supporto modestissimi. I mezzi tecnici a disposizione di Jimi e dei suoi partner cinquant’anni fa fine ’60, erano veramente molto, molto poco significativi e quindi c’era molto più della tecnica è molto più della dimensione proprio dell’ esecutore, c’era un invenzione, c’era un talento, c’era una magia alle spalle che nessuno ha potuto replicare perché ci sono personaggi, artisti che non sono possibili da clonare e questo è anche un bene perché se noi ascoltiamo quei dischi originali o vediamo alcune performance, immaginiamo che è un pezzo di storia esattamente come certi monumenti, come certe componenti architettoniche della nostra della nostra città che è bene siano state costruite, edificate in un certo periodo e siano state tramandate a noi, anche con la musica, penso che per certi versi sia un po’ la stessa cosa. Perché abbiamo intervistato Paolo Fresu? Perchè Paolo Fresu che è un jazzista e suona la tromba, nel suo repertorio ha un pezzo di Hendrix e una delle sua formazioni l’ha ribattezzata “Angel Quartet” ispirandosi proprio al pezzo Angel di Hendrix. Quando un artista, come Hendrix, sfonda non ci sono più generi musicali, non  si parla più di rock ma parliamo di musica moderna, musica popolare contemporanea. Perchè è entrato in una dimensione per cui  lo possono suonare le orchestre, artisti del jazz e di tutte le aree perché sono composizioni  entrate, ormai, in una grammatica  condivisa. Questa è la cosa più importante che non avere un erede diretto, perché non potrebbe sussistere.

Una cosa che ho trovato particolarissima è la sezione in cui leggo di quando Jimmy parla delle cassette che produrranno musica ed immagini. Sembra quasi una visione visto che oggi videoclip sono quasi più importante della musica stessa. Si narra che lui avesse il bisogno fisico di toccare la musica e che avesse tentato di creare qualcosa per poterlo fare, è vero o è una delle tante leggende che si sono create intorno al suo mito?

Sicuramente era una tensione verso cui era proiettato, d’altronde questa cosa delle videocassette che ancora non esistevano, erano degli esperimenti, lui ne parla con molti anni di anticipo rispetto poi alla messa in commercio, lo sviluppo di quella di quei prototipi. Capiva che la musica, che lui intendeva anche come una dimensione visuale, cercava di applicarla già sulle copertine dei suoi dischi o sui manifesti dei suoi concerti dove non c’era comunque solo la sua faccia grande, che poteva benissimo bastare. Se pensiamo ai primi tre dischi sono delle copertine che naturalmente in qualche modo guida per l’ispirazione. Jimi aveva accennato di essere anche tattile, fisico, materico con la musica. Un po’ disegnava e comunque aveva continue relazioni con gli artisti perché voleva che la sua musica sortisse qualche cosa in più. Una delle tante cose che non ha avuto il tempo di fare però questo connubio con la musica, l’immagine e quello che sarebbero diventate le videocassette è in un’intervista che rilascia proprio in quei giorni quindi non è una speculazione o una fantasia. E’ proprio una cosa che stava dicendo poi come ci pensasse non siamo in grado di saperlo.

Ho trovato dei racconti accurati, delle sezioni che, leggendole mi sembrava di poterle vivere in prima persona. E’stato difficile reperire questi documenti, reperire i racconti delle persone che lo hanno vissuto e gli sono state vicine?  Sentire dalla loro voce gli ultimi giorni della sua vita che effetto ha sortito?

Questa ricerca è stata fatta insieme da me da Roberto sulla scorta di tutte le esperienze, dell’archivio e di tutti i materiali che il suo sito ha messo in rete già da tempo. Roberto è un collezionista e sul suo sito c’è un patrimonio enorme che andava ordinato, guidato perché c’è una mole dalla quale sarebbero potuti uscire venti di questi libri. Quando abbiamo messo a fuoco l’idea abbiamo iniziato a vedere cosa ci fosse e che cosa invece potesse mancare e da lì siamo andati avanti anche un po’ con il metodo che suggerisce il mio lavoro, facendo il giornalista uno fa delle domande, cerca delle fonti , prova a vedere se c’è qualcuno ancora vivente che può raccontare qualcosa altrimenti va a consultare giornali e riviste dell’epoca. Si intrecciano soprattutto, si verificano le fonti che in alcuni casi sono anche sbagliate. Se si va su wikipedia, su tanti argomenti, e non per colpa di nessuno, possono esserci informazioni che si propagano per anni in maniera sbagliata. Parlavo con Roberto che è molto attento a questa parte, che da quando il libro è uscito ha ricevuto diversi messaggi su Facebook o sul suo sito da parte di collezionisti o hendrixiani come lui, sia italiani che esteri e non c’è nessuno che abbia, al momento, alzato una critica, anzi, sono tutti molto, molto soddisfatti perché non c’è il gossip, non ci sono le polemiche. Ci sono i fatti e ci sono i documenti e su quelli uno può ragionare. Si può anche credere che la terra sia piatta poi si visionano i documenti per dimostrare che non lo è, ovviamente, dopo, ognuno può rimanere della propria opinione. Questo per dire che io non sono un collezionista, sono un appassionato, però ci tengo alla precisione dei fatti. Delle persone che abbiamo interpellato alcune sono morte e quindi fanno parte dell’archivio, altre le abbiamo cercate e trovate in questi mesi. Eric Burton, per esempio, è presente in molti punti perché è dal ’70 che parla di questa vicenda, l’ho incontrato circa un anno fa e gli ho chiesto delle altre notizie. Ci sono cose che sono in contraddizione, altre che possono essere imprecise ma sono cose che ho registrato e tutte verificabili. Lo stesso vale per Carlo Verdone o Pat Metheny , non ho preso dalla rete e trascritto. Con Carlo Verdone che è anche un amico ho parlato spesso e ho avuto il piacere di chiedergli altro perché erano cose che mi interessavano adesso. Oppure  Fabio Treves che ha visto il concerto all’Isola di Wight e quindi gli ho chiesto una sua opinione (aveva anche delle foto ma erano un po’ troppo sfocate). Tutto questo è nato ad hoc, avremmo potuto mettere duecento opinioni perché tutti hanno da dire qualcosa a riguardo ma sarebbero state cose rifritte. Ho preferito che anche le impressioni di quel periodo fossero quanto più possibile autentiche e provate e questo grazie anche a Roberto. Il fatto di non prestare il fianco a troppe critiche è una bella soddisfazione. Poi si potrà dire che è scritto male, non piacciono le foto o che ci sono notizie o dettagli che non interessano ma rimane un parere e non va a toccare l’integrità di quello che abbiamo fatto.

Ribadisco il concetto che per me è un libro veramente piacevole che ci rende partecipi di momenti storici e immensi mi è piaciuto moltissimo e spero che molti giovani lo leggano. Azzeccatissima e coerente la parte finale dove troviamo il racconto di quello che accadeva nel 1970 Italia e di cosa girasse in quel periodo, musicalmente parlando. Complimenti per aver portato un pezzo di storia. Come lo avete pensato?

Sono contento perché è una cosa che non è necessaria, anche l’editore ci ha detto fate come volete e ci ha lasciato la massima libertà. Gli ho spiegato proprio questo, che sapere quanto costava giornale, chi vinceva il campionato o che film c’era alla televisione quella sera aiuta a prendere contatto con un mondo che è veramente lontanissimo. Jimi Hendrix nel 1970 era più lontano della luna rispetto all’Italia e infatti gli articoli che escono sulla sua morte sono aberranti per capirli bisogna spiegare cosa c’era in Italia in quegli anni. Non era che fossimo retrogradi ma era un tipo di cultura che non avevamo mai sfiorato e quindi ecco perché fare una fotografia di quello i nostri genitori vivevano e vedevano. Parlare di Jimi Hendrix era veramente una cosa fuori dal mondo.

Domanda più banale del secolo, ma penso a me e ai miei miti, compreso Jimi.
Quanto daresti per un viaggio nel tempo per poterlo intervistare di persona
?

Sarebbe un piccolo grande sogno! Sono andato anche a Seattle, ho visto il museo, ho visto il piccolo monumento che lo riguarda. Volevo capire un po’ quella città, che peraltro è una bellissima città, anche se in cinquant’anni anni è cambiata molto ovviamente. La zona dove Jimi viveva era molto povera e si può facilmente immaginare un’infanzia devastante e poi l’arrivo sulle scena come capitò. Più che intervistarlo vorrei osservarlo, perché di cose ne ha dette tante, ha fatto tante interviste a parte quelle che abbiamo tradotto. Lui ha parlato tanto in vita sua, ci sono libri, riviste, giornali quindi cose che ha detto ce ne sono tante. Sarebbe stato molto più interessante vedere come lavorava, come relazionava con le persone che è anche un po’ quello che abbiamo cercato di fare, cioè, mettere in evidenza la figura umana, la persona e non solamente la rockstar. Questo mi avrebbe molto più divertito e soprattutto sapere cosa avrebbe fatto da quel settembre 1970 in poi perché c’erano talmente tante porte aperte che ci saremmo sicuramente divertiti ad ascoltare ancora molte cose.

Grazie ad Enzo Gentile per il suo prezioso tempo. A Roberto Crema e Enzo Gentile per il loro bellissimo libro. Grazie a Jimi per la sua immensa musica

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