Interviste
Mr.D, un blues man che corre dalla parte sbagliata della strada.
Mr.D, al secolo Daniele Fioretti, esce con il suo nuovo singolo “Wonderful Stranger“, che con grande capacità ci accompagna in un viaggio di sonorità classiche del rock blues americano. In un momento musicale nel quale si scrive tantissimo in italiano lui compone in inglese e lo fa molto bene. Marchigiano di origine e cittadino del mondo sia come tour manager per band estere per i tour europei, sia come musicista con la sua chitarra blues è in un viaggio continuo per le città d’Europa. Da qui nasce la sua musica: dai viaggi, dai confronti con le migliaia di persone incontrate e dal racconto del suo passato e delle sue radici.
“Wonderful Stranger”, il tuo nuovo singolo, è un brano con delle sonorità che ci portano indietro nel blues rock americano ma con uno sguardo al futuro?
In realtà il blues è da sempre la strada che percorro, la matrice. Questa canzone nello specifico è stata l’ultima composta del disco una mia prospettiva ancora più scarna e songwriting.
Nel tuo brano racconti che stavi correndo nella parte più buia della strada, è un passaggio biografico?
Come sempre racconto di vita vissuta e anche Wonderful Stranger è una storia di vita. Non sono il primo e neanche l’ultimo che corre nella parte più buia della strada. Penso che sottrarmi a delle emozioni belle correndo anche il rischio di farmi male non fa parte della mia natura. Mi sono fatto male, verissimo, ma avrei dovuto stare dalla parte della strada delle certezze rassicuranti e così poco emozionanti?
Tu scrivi in inglese, quasi contro corrente in un filone che da anni usa moltissimo l’italiano. L’inglese lo hai adottato per raggiungere quanto più pubblico possibile o è la conseguenza naturale del genere musicale che proponi?
MR. D è la conseguenza fisiologica di Mr. Deadly One bad man il progetto con il quale dal 2015 ho girato tutta Europa. Sia per lo stile, molto rock, sia per il bacino di pubblico, scelsi l’inglese. Iniziai quindi a comporre il disco seguendo questa linea linguistica, nonostante le difficoltà essendo italiano, ma lo trovavo comunque “naturale”. Non nascondo però che durante i 365 giorni in cui ho lavorato al disco, confrontandomi con i miei collaboratori, ho pensato all’italiano. Poi però sia per lo stile che per il timore di mettermi troppo a nudo scegliendo l’italiano, ho proseguito con l’idioma anglosassone.
È difficile, secondo te, far avvicinare i giovanissimi a questo genere musicale?
Negli anni mi è capitato di ascoltare molta musica attuale e mi son reso conto che alcuni generi, pur riconoscendone la qualità e l’elevata produzione, non riesco a capirli. Credo sia proprio una questione di linguaggi. Penso che non sia facile far avvicinare un giovanissimo a questo genere, sono comunque convinto che ci sia della curiosità tra di loro e che con il giusto “navigare”, qualcosa si possa raggiungere.
Dylan ha scritto molte canzoni di protesta, sembra quasi di rivivere in un contesto sociale che sta per esplodere non trovi?
Dylan per me è un faro che mi detta l’entrata del porto, il porto sicuro. Non solo come cifra stilista sonora, ma anche come stile e approccio, dal salire un palco, all’entrare in studio di registrazione. Sì, sembra che stia per esplodere; al contrario però di ciò che accadde alla fine dei 60 in tutto il mondo, noi non abbiamo quella coscienza e quella voglia di riscatto che caratterizzò quei decenni. Tutto questo per dire che temo che non esploderà portando qualcosa di positivo ma, come succede ormai da anni, imploderà a discapito dei soliti e a favore di pochi.
Non mi piace mai fare delle assonanze tra un’artista ed un altro ma ascoltandoti non si può fare a meno di venire trasportati nel pieno sound di Bob Dylan. Quanta influenza ha avuto su di te la sua musica?
Lo prendo come un complimento, un gran complimento. Anche se come te non amo le assonanze, credo che la musica sia un linguaggio e che quindi ognuno abbia il suo che naturalmente viene influenzato dalle esperienze, dagli incontri o, come in questo caso, dagli ascolti. E io sì, ascolto Dylan. Da lui ho capito l’importanza della musica: per me non è intrattenimento, non sono uno stereo da alzare o abbassare a piacimento. Salire su un palco e dire la mia è un gesto politico, attenzione politico non partitico, non faccio propaganda elettorale, ma esprimo un mio pensiero.
Daniele Fioretti in arte Mr.D che se non sbaglio sta per Mr. Deadly One Bad Man il tuo progetto solista dopo aver fondato The Gentlemens. Instancabilmente sempre in una nuova ricerca musicale?
Non proprio così, la genesi musicale avviene con i Gentlemens, la band di famiglia, che ancora prosegue ed esiste. Nel frattempo gioco in sala prove tra batterie e chitarre ed è così che è nato Mr.Deadly one bad man, progetto one man band super rock’n’roll. Mr.D è il frutto di tutto questo, dei km fatti le esperienze e la vita vissuta con e grazie alla musica che come avete capito è tutta la mia vita. Quindi Mr. D non è abbreviazione di Mr. Deadly one bad man, ma è la stessa persona che lungo la strada ha perso “pezzi”, ha abbassato il volume e, con un linguaggio mutato nel tempo (se volete maturato), vi racconta delle storie.
Oltretutto ho letto che con il tuo nuovo progetto vieni recensito dalla critica come “uno dei più talentuosi one man band italiani in circolazione” e scusate se è poco! Deve essere una bella soddisfazione giusto?
Mr.Deadly one bad man si veniva considerato così, avevo il volume e la botta di una band intera. Saltare sul palco mi accende, schiaccio quel famoso interruttore e dò sempre il meglio di me, che ci sia il locale pieno o solo il promoter; è anche capitato che anche lui fosse assente e ho suonato lo stesso tutta la scaletta orgogliosamente Working Class Hero. Il palco è la mia essenza, tanto lo soffro a livello di ansia per la voglia di fare e fare bene, tanto lo amo. Non cerco notorietà, non voglio diventare un x da talent; voglio suonare, stare sul palco, respirare il fumo delle sigarette e sudare sotto le luci del palco del club. Mi sento a casa, è la vita che ho scelto.
Da dove trai maggiormente l’ispirazione per le tue composizioni?
Da ciò che vivo tutti i giorni, le esperienze gli incontri che mi hanno formato e fatto diventare l’uomo che sono, sono un cantastorie, mi piace metterla così. Ho scelto il rock’n’roll come tipo di narrazione perchè questo è il mio modo, questo è il mio essere questa è la mia arma contro la società della mercificazione. Il rock’n’roll non è un genere musicale per me, ma uno stile di vita. C’è una frase che porto con me da qualche anno e che mi rispecchia molto: “ognuno sceglie di rovinarsi la vita come cazzo gli pare, io ho scelto il rock’n’roll”. Non sto parlando del solito e banalissimo sesso droga e rock’n’roll ma al: “provate a vivere di musica in Italia senza le spalle coperte”.
È vero che sei anche un tour manager per diverse band estere?
Sì, sia per band estere che di band italiane, diciamo molto poco poeticamente che in un qualche modo bisogna sopravvivere. Ho trovato in questo il miglior lavoro per uno zingaro come me, mi permette soprattutto di conciliare i miei tour con altri che mi fanno far cassa per pagare l’affitto e fare la spesa. Come sempre poi accade, fai incontri meravigliosi e nascono amicizie collaborazioni preziose e per uno come me a cui piace lasciarsi contaminare ed è curioso di natura, è occasione per scoprire cose bellissime.
“Wonderful Stranger” immagino faccia parte di un più ampio progetto musicale, ti va di anticipare qualcosa a riguardo?
La Bella Wonderful Stranger chiude Kid’s Dream il primo album di Mr.D, che raccoglie 10 canzoni tramite le quali faccio un po’ il punto della situazione tra alti e bassi dei miei primi normalissimi 40 anni.
Piccola curiosità, sapevi che Mr.D è il titolo di una famosissima serie televisiva canadese?
Non lo sapevo ma la trovo una cosa curiosa: ho scoperto da poco il succo d’acero provvederò ad informarmi sulla serie tv Canadese, pensavo più a dei Rapper pieni d’oro.