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Editoriali

Paolo Benvegnù racconta il nuovo album “È inutile parlare d’amore”: «La libertà è nell’ulteriore»

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Si intitola “È inutile parlare d’amore” il nuovo album di Paolo Benvegnù, già disponibile in digitale, su tutte le piattaforme di streaming, e dal venerdì anche in due formati fisici, pensati per due diverse occasioni d’ascolto: il vinile “Peach Blossom’s Cut” e digitale/cd “Hidden Dragon’s Cut”. Un lavoro decisamente denso dal punto di vista delle tematiche e poetico sotto il profilo musicale, con cui Benvegnù, insieme alla sua band, dà seguito alla pubblicazione dell’ep “Solo Fiori”, valsogli la presenza nella cinquina di finalisti delle Targhe Tenco 2023 nella categoria “Migliore canzone singola”. Anticipato dal singolo “Canzoni Brutte” e forte delle collaborazioni di Brunori Sas ne “L’Oceano” e Neri Marcorè in “27-12”, l’album verrà presentato dal vivo, insieme ai brani che hanno segnato la trentennale carriera di Benvegnù, nel tour “È inutile parlare d’amore – Live 2024”, con 5 date: il 20 gennaio al Glue di Firenze, l’8 febbraio all’Hiroshima Mon Amour di Torino, il 9 alla Latteria Molloy di Brescia, il 22 al Monk di Roma e il 23 all’Arci Kalinka Dude di Soliera (MO). «Rispetto agli ultimi anni le intuizioni entrate in questo disco hanno sgocciolato in maniera molto veloce», ci ha raccontato il cantautore. «Il materiale era tutto già pronto quando è uscito l’ep e l’idea era quella di fare, per usare una metafora cinematografica, dei cortometraggi, che entrano ed escono dal corpo del film. Questa volta incredibilmente ero preparato, ho scritto proprio perché avevo bisogno. Poi i miei compagni, come sempre, hanno trovato le altezze ai disegni accennati che propongo loro. Ci siamo divertiti, anche se è un disco di tregenda».

“È inutile parlare d’amore”: il titolo sembra introdurre un album nichilista e invece… «Si parla solo d’amore. Diciamo che è un’affermazione per assurdo, perché se ci togliamo anche la possibilità di pensarci nell’irrazionale, allora diventiamo degli esseri umani molto bravi e funzionali dal punto di vista del turbocapitalismo, ma forse ci perdiamo davvero la possibilità di fare ricerca su di noi e, soprattutto, di cercare il mistero nell’altro, che poi è il mistero che ognuno ha in sé, perché una relazione è sana se tu sei sano, se è un confronto e non un dialogo tra sordi. È una maniera di invitare anche me stesso ad essere più attento e più innamorato delle cose, più stuporoso rispetto al miracolo che succede ogni giorno. In maniera del tutto specifica: ogni giorno il risveglio è qualcosa di incredibile, non ho avuto alcun controllo del mio respiro nella notte, come faccio a funzionare senza accorgermene? In più c’è il fatto che l’amare comporta uno sbilanciamento del tuo controllo rispetto alla vita e noi abbiamo bisogno di questo, perché un po’ ci controlliamo da soli, un po’ ci sono delle strutture che ci controllano per farci consumare e produrre, ma allora cosa rimane dell’essere umano? Ci figuriamo antropomorfi, ma siamo già degli esseri macchina».

Il disco parte da assiomi specifici, veri punti cardinali, che mi piacerebbe approfondire con te. Uno: La realtà non può nulla sull’infinito. «Penso che abbiamo un grande potere di immaginazione e questo potere che abbiamo nell’immaginare, nel desiderare, nell’anelare, nel tendere a è qualcosa che, nella finitezza della vita di un essere umano, può rivelarsi, come sapore, infinito. Mi viene da pensare che non può esistere un mutuo della casa per definire una relazione, ci vuole quell’infinito, allora il mutuo assume il suo valore: il nulla. Ci dimentichiamo quanto potere potremmo avere in noi semplicemente se riuscissimo ad astrarci da quelle che sono le nostre convenzioni, che sono anche numeriche, economiche, legate al luogo in cui sei. Se non ti riesci ad immaginare altrove, diventa difficile. Una relazione di esseri umani che bastano loro due in ogni luogo ad essere vivi e pulsanti, sono la dimostrazione che il finito non può nulla contro l’infinito».

Tutto ciò che ha una forma, per qualcuno è deludente. «È una formula taoista, che dice proprio: “Ogni forma è deludente”, in quanto ogni forma nel geometrizzarsi perde la sua forma primigenia, che è il caos. Io ho edulcorato la pillola, perché sono un costruttore, ma anche un distruttore di forme e quando mi sono trovato davanti a questa frase ci ho pensato molto. Se torniamo all’innamoramento, dal momento in cui inizi ad analizzarlo, stai già perdendo, ecco perché la forma è deludente. Alle volte potremmo farci guidare un po’ di più dal caos, sono abbastanza vecchio per ricordare il pragmatismo e il senso del destino che avevano i miei nonni e che stiamo perdendo, perché facciamo sempre i conti su ogni cosa, c’è anche gente che fa i conti sui nostri movimenti. Per liberarci abbiamo bisogno di entrare nell’ulteriore e non in quello che tutti i giorni frequentiamo».

Il silenzio è importante come la contemplazione. «Io parlo troppo infatti! Me ne vergogno, ma hai presente in adolescenza i belli e dannati, che non parlano mai? Ecco, se non dicono niente, non è perché dentro hanno un mistero insondabile, ma perché non sanno un cazzo. Cioè, silenzio ha un senso se prima c’è una ricerca e io parlo troppo, ma questo assioma è un tendere».

Non si può vivere e pensare, ora, se non da fuorilegge. «Esistono delle leggi e dei tabù, che devono essere frantumati, per un discorso di ricerca di crescita. Questi tabù possono essere sia derivati dalla società, ma anche dai nostri limiti e la frantumazione dei limiti ha a che vedere con la disobbedienza, con l’essere fuori anche dalla propria legge. Il mio percorso di vita ha a che vedere col discostarmi dalle mie leggi, che sono quelle che mi hanno insegnato quando ero ragazzo e che mi hanno trovato molto bene nell’essere fuorilegge con me stesso. Tendo a dire, che, però, ho la fedina penale pulita. Nel momento in cui la coercizione è ancora piuttosto sottile, ma si sta ispessendo sempre di più, procurarsi una via di fuga, legata all’essere tangenti al pensiero comune, penso che sia consigliabile».

Un tema portante dell’album è la frattura che caratterizza questa società tra il visibile e il non visibile, il materiale e l’immaginario, la sfera razionale e la sfera emotiva, il patriarcato e il femminino: una frattura ormai insanabile? Come possiamo ricercare un nuovo equilibrio? «Penso che l’unica maniera per mettere a posto le cose è fare in modo che gli esseri umani di genere maschile si rendano conto di quanta paura abbiamo di voi, che siete spaventose, da un lato, perché create vita. Tutto quello che sta succedendo, soprattutto in Italia e che è legato al possesso e alla violenza, è terribile, ma c’è una causa, che è la paura fottuta, perché noi possiamo costruire ponti, ma avere la potenzialità ogni 28 giorni di concepire in carne ed ossa, perché è la luna che ve lo dice… voi veramente venite dallo spazio! Quindi l’unica soluzione è che noi ci mettiamo a lato e voi vendicatevi, prendetevi il mondo, fate di me quello che volete, sarei vittima consenziente di una vostra vendetta. Il problema è che ci sono un sacco di uomini che la pensano diversamente, perché sono idioti, ma bisogna ripartire da voi donne, che siete l’unica speranza dell’umanità e di questo pianeta».

A modo tuo, anche tu sei un creatore, crei canzoni, ma allora, in questo mondo, cosa significa per te essere un cantautore? «C’era Giotto e poi c’erano tutti gli altri pittori, c’era Masaccio e poi tutti gli altri, ecco io sono uno degli altri, un cantautore minore. Mi sento semplicemente non disgiunto dalle cellule che mi compongono, che si accoppiano, per formarne una nuova e darle le informazioni necessarie alla sopravvivenza, io quello faccio e non ho altra ambizione. La mia creazione è strettamente legata a dare informazioni di sopravvivenza, ammesso che io abbia capito qualcosa. Magari qualcuno incontrerà queste intuizioni tra 50 anni, nel postumo, nel pre-postumo e penserà che qualcuno gli ha fatto una carezza. Ecco io voglio solo cercare di accarezzare gli altri esseri umani, senza disturbare».

Pensiero: l’inutilità, supposta da quest’epoca, dell’amore, dei fiori, delle canzoni belle, del non visibile, è l’unica possibilità di libertà? È lì che non vorranno possederci, che non diventiamo dei numeri, dei consumatori? «Esatto. Essere inutili ad un sistema, corrisponde ad avere molta più libertà di movimento, soprattutto di movimento interiore e di promulgazione della stessa nel personale e nel quotidiano. Mi piacerebbe avere l’ambizione e la stupidità di pensare che questo sia un concetto rivoluzionario, ma non lo è, perché ogni rivoluzione comporta la creazione di un nuovo ordine e io vorrei smontare ogni tipo di evoluzione, vorrei andare verso una de-evoluzione. Perché non riusciamo a farci bastare quello che abbiamo, che è cento volte quello che a un essere umano serve ed è sempre servito? Perché non riusciamo ad elargire questo surplus alle persone che non hanno niente? Vogliamo andare su Marte, quando c’è ancora gente che muore di fame. Questa è una cosa stupida e tipicamente maschile, noi ci muoviamo per avamposti, ma dietro si lascia una terra infinita e questa terra infinita ha una sua vita, che parla molto più al femminile che al maschile».

Raccontaci qualcosa del suono di questo lavoro. Con che idea di suono hai lavorato? «Il mio pensiero è quello di incuriosire i miei compagni e coinvolgerli, cosa che per fortuna è avvenuta e se ci sono delle altezze melodiche e armoniche è grazie a loro. Io scelgo la cornice e tratteggio il disegno, tutto il colore è loro. Questo è un disco altamente romantico, perciò ci sono molti archi in più rispetto alle puntate precedenti».

Nel disco ci sono due belle collaborazioni, con Brunori Sas e Neri Marcorè. «Ho desiderato di avere a che fare con loro. Con Dario (Brunori) c’è una frequentazione di una decina d’anni e come ci vediamo ridiamo, quindi vuol dire che come uomini abbiamo risolto già un po’ di cose, conosciamo i limiti l’uno dell’altro, il che è abbastanza interessante. La cosa bellissima, al di là di questo, è che gli avevo proposto un po’ di brani, ma non sentiva l’attinenza sua spirituale a questi brani, poi ho scritto “L’oceano”, un pezzo in cui si è sentito parte in causa ed è stato così generoso, mentre finiva il suo disco di cantarlo, con la bronchite, tra la notte e la mattina. Si è voltato indietro, ha visto questi naufraghi e ha teso loro una mano, una cosa che gli fa onore e ne dimostra la generosità».

E con Neri? «È stato Luca Baldini, il bassista e vero motore del gruppo, che è anche un organizzatore teatrale e nel discorso con Neri è venuto fuori che suonava con me. Così Neri ha ascoltato qualche brano e ha trovato in 27-12 qualcosa che lo ha colpito dal punto di vista della narrazione e anche lui, tra le mille cose da fare, ha trovato il tempo di cantarlo come io mi ero dimenticato di fare, cioè con quella innocenza e quella dolcezza, che avevo tanti anni fa e che adesso non ho più, non per disillusione, ma perché ho troppo mestiere. Un atto di generosità commuovente».

A gennaio partirai anche con le prime date del tour, che spettacolo sarà? «L’idea è quella di suonare questi brani, perché in questi brani abbiamo trovato tutti un’attinenza personale, quindi nella prima parte di concerto lo suoneremo esattamente per come è. Poi, però, andremo a prendere delle cose di un disco, che ha molta attinenza con questo, non tanto nel tema, ma nella veemenza con cui è stato affrontato e che si chiama “Le labbra”, di cui facciamo pochissimi pezzi di solito. Negli altri dischi c’è troppo controllo, mentre l’idea è quella di perdersi un po’».

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