Gallery
L’esplosione della supernova Fontaines D.C. a Milano
Io e il mio amico Matteo ci ritroviamo seduti all’Alcatraz di Milano (locale che frequento da più di 25 anni) con indosso una FP2, contorniati da poche centinaia di spettatori, in attesa di quella che dalla stampa musicale mondiale viene incensata come “The next big thing” del rock alternative e non.
Era la sera del primo concerto post pandemia cui potevo assistere. Alba di una nuova era che
avrebbe riguardato la dimensione live e l’esplosione della supernova Fontaines D.C. destinata secondo molti a rimanere nel firmamento per gli anni a venire. Se da una parte, quindi, per il mondo dei concerti si è assistito in questi due anni e mezzo ad una evoluzione bulimica di proposta e richiesta con conseguente aumento ingiustificato di prezzi che sembra destinata a non fermarsi, cosa è stato di quei cinque ragazzi provenienti da Dublin City il cui nome omaggia il personaggio di Johnny Fontane del Padrino?
Via quindi le sedie e arriviamo a ieri sera, 4 novembre 2024, sempre con il mio fedele partner in crime di concerti e con un Alcatraz che straborda di gente come solo poche volte ho visto in questi anni (ultima il trentennale di Catartica dei Marlene Kuntz!), per arrivare alla conferma che dovrebbe chiudere definitivamente il cerchio.
Ma andiamo per ordine.
WUNDERHORSE
Qui voglio subito cospargermi il capo di cenere di fronte a voi, per essere arrivato totalmente
impreparato alla band che alle ore 20 sale sul palco per supportare la band irlandese.
Da cultore delle chitarre americane noise e grunge anni ’90 che in quella decade mi hanno
strappato letteralmente il cuore, non ho potuto che commuovermi di fronte alla scarica elettrica sconvolgente che gli inglesi Wunderhorse, progetto solista di Jacob Slater, ci hanno proposto con il loro set adrenalinico di 40 minuti per presentare il secondo e ultimo genito “Midas”. Si tratta di un sound innovativo ? Assolutamente no.
Dicono qualcosa di nuovo rispetto alla magnificenza che fu dei vari Smashing Pumpkins,
Soundgarden, Foo Fighters, Screaming Trees o dei primi R.E.M. (attenzione, ho citato alcuni mostri sacri che rimangono nell’Olimpo senza il rischio di essere scomodati, sia chiaro!) ?? Assolutamente no.
Ma chi se ne fotte!!!
Dovessi essere oggi un discografico e puntare su una band rock, derivativa si, ma in grado di differenziarsi dalla massa con un progetto discografico identitario, non avrei difficoltà ad investire su di loro. Segnatevi questo nome e ne riparliamo fra 5/6 anni.
FONTAINES D.C.
Veniamo ora ai nostri, che si fanno attendere con 20 minuti di ritardo rispetto all’orario previsto da un pubblico impaziente e sorprendentemente eterogeno per età e style.
L’ingresso scenico spetta ad una dilatata overture di “Romance”, che anticipa un’entrata teatrale di Grian Chatten, in tenuta da rugby con rigorosi occhiali scuri che toglierà solamente due volte per pochi istanti in tutta la serata. Nonostante l’entusiasmo palpabile del pubblico che già alla quarta canzone, “A Lucid Dream”, manifesta un’urgenza di pogo (che si ripeterà ogni qual volta la tensione adrenalinica del sound lo permetterà), sembra che qualcosa non giri a dovere, probabilmente causa qualche problema tecnico avvertito in particolare da Carlos O’Connell, alle tastiere e chitarra, nonché artigiano del sound della band.
La sensazione che si avvertirà in altri momenti dell’esibizione è che ci sia una scollatura tra i vari elementi dei Fontaines D.C., nonostante la bravura dei singoli, e che il muro sonoro non pervenga perfettamente amalgamato e coerentemente potente come ci si aspetti. Questo aspetto tecnico al pubblico sembra non importare, sollecitato in più occasioni da un leader/vocalist che a volte sembra fare il verso a Liam Gallagher, per poi diventare subito dopo un folletto disconnesso alla Iggy Pop e poi ancora chiedere la partecipazione del pubblico come se fosse un Freddie Mercury a Wembley davanti a 80.000 persone.
La svolta della serata arriva con “Big Shot”, in cui il riff di chitarra si sposa perfettamente con le poderose tastiere new-orderiane, e con la successiva “Death Kink”, in cui la band sembra aver preso ormai le misure, smorzando quella tensione e imperfezione iniziale.
Ci saranno altri momenti in cui la magia sembrerà di impadronirsi della serata, quali “Here’s the Thing” (il brano tratto dall’ultimo sperimentale lavoro più in linea con il sound dei capitoli
precedenti) in cui Grian sembra stia per lanciarsi in mezzo al pubblico per farsi inghiottire nei
mulinelli di pogo apertisi in più zone, oppure “Horseness is The Whatness”, in cui sempre lui si prende la totale scena supportato raffinatamente dagli altri compagni e da una precisa e preziosa distorsione elettrica a chiusura del brano. Una vera e propria bomba atomica invece sarà “Nabokov” in cui si eleverà in maniera vigorosa e avvolgente un connubio basso/tastiere di una profondità encomiabile, impreziosito da un urlo disperato e strozzato sul finale che la decreta migliore song della serata.
Dopo la dolcezza melodica di quelle meravigliose chitarre Smithsiane di “Favourite”, la band uscirà di scena per una breve pausa per tornare per gli ultimi 3 bis che vedranno il gran finale con una detonante “Sturbuster” e un pubblico ormai definitivamente conquistato mentre l’orgoglio irlandese primeggia tra i colori del logo posizionato sopra il palco e grazie ad una bandiera verde, bianca e arancione che viene sventolata tra il pubblico.
Se qualcuno giustamente potrebbe lamentarsi di una durata da minimo sindacale, che sfiora 1 ora e 30 minuti, per una band che ha alle spalle ormai 4 album, io credo invece che questo aspetto non sia del tutto rilevante. Quello che conta invece in una performance live è l’intensità, l’armonia e la compattezza, che in questa serata sono riuscito a percepire solamente a tratti.
Se i Fontaines D.C. ad oggi sono ritenuti meritatamente fondamentali per la scena rock che è
tornata alla ribalta negli ultimi anni (e aggiungiamo, per grazia divina!), ciò che ancora non mi è chiaro del tutto se lo saranno per la storia del rock. Per far questo bisognerà necessariamente
parificare la qualità indiscutibile dimostrata in studio, alla presenza performativa. Tempo, talento e attitudine sono dalla loro parte. Anche qui, però, ne riparliamo tra cinque o sei anni!
SET LIST:
- ROMANCE
- JACKIE DOWN THE LINE
- TELEVISED MIND
- A LUCID DREAM
- ROMAN HOLIDAY
- BIG SHOT
- DAETH KINK
- SUNDOWNER
- BIG
- A HERO’S DEATH
- HERE’S THE THING
- BUG
- HORSENESS IS THE WHATNESS
- NABOKOV
- BOYS IN THE BETTER LAND
- FAVOURITE
- IN THE MODERN WORLD
- I LOVE YOU
- STARBUSTER
Testo di Stefano Quattri
Foto di Mairo Cinquetti