A due anni dall’uscita dell’album d’esordio “Siamo morti a vent’anni”, arriva l’atteso ritorno de Il Cile, al secolo Lorenzo Cilembrini, “In Cile Veritas” (2 settembre, Universal Music), titolo ricalcato sull’aforisma latino in vino veritas. «Dopo “Siamo Morti a Vent’Anni” le opzioni erano due: o trovavo un titolo serioso, oppure cercavo ancora la chiave dell’ironia, della provocazione – ha spiegato il cantautore aretino durante l’incontro di oggi con la stampa, molto coerentemente tenutosi presso l’Enoteca Vecchia Arena di Milano –. Nel mio album ci sono frequenti riferimenti all’evasione alcolica, credo per un fattore mio inconscio, sono toscano, sono cresciuto in campagna, ho visto la vendemmia, quindi mi è sembrato che “In Cile Veritas” fosse anche una sorta di tributo a ciò che inconsciamente ho messo nei miei testi, quasi senza realizzarlo mentre scrivevo, ma anche alle mie origini». «È sempre stata la musica a permettermi di tirare fuori quelle sensazioni, quelle melodie e quelle liriche che per natura tengo chiuse nel mio profondo, troppo spesso attraversato da tempeste e nubi minacciose», ha aggiunto Il Cile.
Quelle tempeste e quelle nubi minacciose da cui sono nati i dieci pezzi di un album, che vuole essere un brindisi alla vita e raccontare il “saliscendi emozionale” di una generazione, quella della crisi, «che è crisi sociale, dei contatti umani, che sono cambiati attraverso la rete, è una crisi politica, mentale, attitudinale», una generazione cui Il Cile appartiene e che osserva oscillare.
Un lavoro maturo, “In Cile Veritas”, che se dal punto di vista produttivo porta con se delle novità rispetto all’esordio del 2012 – «abbiamo avuto sicuramente più tempo per lavorare il disco – ha spiegato Il Cile –, ho potuto avvalermi della mia band, ci siamo chiusi in studio per una settimana a registrare take dal vivo. L’abbiamo lavorato molto anche poi con Fabrizio (Barbacci), anche in termini di natura di testo, proprio da un punto di vista di assonanze, consonanze, sillabe all’interno dei brani, quando questi ancora dovevano “girare” meglio» – sotto quello dei contenuti prosegue, ad eccezione di “Liberi di Vivere” «un brano alieno a quest’attitudine», il percorso intrapreso con “Siamo morti a vent’anni”, partendo da un tormento interiore, molto spesso di natura sentimentale, per poi astrarsi, analizzando la situazione dall’alto e capendo come si muove la società e chi ha vissuto le medesime esperienze.
Una differenza, tuttavia, c’è: «se ci sono dei chiari e degli scuri, qui ci sono sicuramente più chiari ed un desiderio, o almeno il tentativo da parte mia, di utilizzare l’ironia». Come nel caso del primo singolo estratto dall’album, “Sole Cuore Alta Gradazione”, benevola parodia dei classici tormentoni estivi e «visione ironica e abbastanza pungente di quello che è il mood della mia generazione quando si tratta di divertirsi, non in modo fine a se stesso, ma staccandosi dal costante disturbo di una società che non la capisce o forse è lei che non capisce questa società». Oppure in “Baron Samedi”, brano dal tiro funk dove Il Cile, che «fra le sue stranezze annovera anche la passione per l’occulto», stende un giocoso parallelismo tra il traghettatore di morti della religione voodoo e l’intraprendente studentessa di biologia protagonista della canzone, che resuscita un Cile tramortito dall’amore per lei all’unico scopo di renderlo schiavo. E l’ironia è l’unica possibile chiave di lettura di “L’Amore è un suicidio”, quarta traccia che sposa un’indole punk ad un testo sarcastico, che racconta di principesse e principi “azzurri, ma carbonizzati / vittime della fiaba / del c’eravamo tanto amati”.
E poi ci sono loro, tutte le donne di questo disco, dalla ragazza di “Sapevi di me” a quella di “Ascoltando i tuoi passi” e di “Parlano di te”, «un brano che parla della fine di una convivenza, cosa che dà sempre un senso di fallimento, ma ho cercato di vedere cosa c’era attorno al mio vuoto, di capire se anche le altre persone colgono il vuoto del quotidiano, delle loro vite, se tutto si muove lo stesso, se il dolore è qualcosa di temporaneo che lenisce o che purifica e fortifica», via via fino a “Maryjane”, che «chissà cosa starà facendo adesso», all’amica di “Vorrei chiederti”. «Sono loro il filo conduttore, che chiude l’album in maniera circolare» con la pacificazione finale di “Un’altra aurora”, ha dichiarato Il Cile, che in attesa di partire in tour, per ora ancora in fase di programmazione, fino al 15 del mese sarà in giro per le Feltrinelli con un instore tour che, dopo Genova e Milano, toccherà Torino, Verona, Roma, Napoli, Bari e Firenze (tutti i dettagli su www.ilcile.com).
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