Crowbar – Sever The Wicked Hand


Ci credereste a un Kirk Windstein che compone un disco da sobrio? Eppure pare proprio che il nuovo album dei suoi Crowbar, pubblicato a sei anni esatti di distanza dal precedente “Lifesblood For The Downtrodden”, sia nato principalmente a causa di questa svolta esistenziale del buon Kirk. Tanto che lo stesso dichiara a proposito di “Sever The Wicked Hand” che “non si tratta di un concept vero e proprio, tuttavia un tema unificante c’è”; e tale tema è proprio il nuovo stile di vita del musicista, che approfondisce così l’argomento: “Amputa la mano malvagia è semplicemente una metafora per descrivere il processo di eliminazione di tutto ciò che di negativo c’è nella propria vita. Ovviamente, può trattarsi della mano che porta la birra alla bocca, di quella che usi per sniffare o per prendere ogni tipo di droga, etc. E quest’opera simboleggia tutto questo: la liberazione dalle cattive abitudini e dalle false amicizie, la liberazione da tutti i tipi di negatività che condizionano la tua vita, e la voglia di andare avanti.”
Se le premesse sono a dir poco strabilianti (ma, ça va sans dire, personalmente auguro ogni bene a Kirk), il disco è invece riassumibile in poche parole: Crowbar sino al midollo, con solo qualche piccola deviazione dalla strada maestra e una produzione un po’ più ‘moderna’ (leggi ricca di groove) del solito. E allora ecco gli ingredienti principali: chitarre grasse e sporche (un po’ meno rispetto al passato però), mid tempo magmatici e sabbathiani alternati ad accelerazioni hardcore, voce potente e gutturale…in breve, il classico sludge metal che proprio questa band ha contribuito così profondamente a creare.
Ma questo non significa che il lavoro sia brutto. Tutt’altro. “Sever The Wicked Hand” è un ritorno in grande stile. Per dirla con un’espressione particolarmente raffinata, il disco spacca di brutto. Windstein è davvero in forma nella sua nuova dimensione ‘straight edge’, il nuovo chitarrista Matthew Brunson è perfettamente inserito nel contesto, e la sezione ritmica (Patrick Bruders al basso e Tommy Buckley alla batteria) fila come un treno. Senza esagerare, questa è una delle migliori opere dei Nostri, inferiore solo all’imprescindibile “Odd Fellows Rest” (1998), l’unico vero capolavoro che i Crowbar abbiano mai composto. In ogni caso la nuova emissione può vantare una manciata di pezzi di caratura comunque superiore, come il doom metal dal sapore classico di “Liquid Sky And Cold Black Earth” (in cui sono addirittura rintracciabili echi dei Candlemass), le ripartenze hardcore della title – track e quelle quasi metalcore di “Cleanse Me, Heal Me”, lo sludge iperclassico di “Let Me Mourn”, le influenze di Down e Pantera che filtrano attraverso i riff di “As I Become One”, prima del maestoso stacco lirico. E, in quanto a lirismo, la ballad per pianoforte “A Farewell To Misery” è tra gli episodi più riusciti del genere, almeno per quanto riguarda la storia dei Crowbar. Siamo davvero a un altro livello rispetto ai risultati poco più che sufficienti che Kirk ha raccolto nelle recenti prove con i Kingdom Of Sorrow.
Giù il cappello, signori, i maestri sono tornati. Eccome.
Stefano Masnaghetti

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