Jackson Browne affascina Bologna non solo con il suo passato, ma anche con uno splendido presente. Auditorium Teatro Manzoni pieno, lunedì 25 maggio 2015, per un concerto in cui il songwriter californiano ha alternato brani del suo ultimo lavoro “Standing in the Breach” alle gemme di un repertorio consolidato in più di quarant’anni di carriera.
Rispetto a Roma, non è “Before the Deluge” ad aprire, ma una lunga, sinuosa, “The Barricades of Heaven” con le voci nere delle coriste Chavonne Stewart e Alethea Mills. Nella band che lo accompagna ci sono Shane Fontaine, già chitarrista di CSN, e Greg Leisz che alterna sulle ginocchia una serie impressionante di “lap” tra metallo e legno, il fido Bob Glaub al basso, il batterista Mauricio Lewak e il tastierista e cantante Jeff Young. Una bella versione di “Something Fine” prelude alle delizie che verranno mostrate, come “These Days” dei tempi con Nico e “You Know The Night”, ispirata da Woody Guthrie.
Dal nuovo disco ecco il country rock raffinato, giocato sugli impasti di chitarre, di “The Long Way Around” e “Leaving Winslow”, mentre a far capolino dal passato, con Browne al pianoforte, sono le sempre scintillanti “For a Dancer” (in cui si rimpiange un po’ lo struggente violino di David Lindley, anche se Greg Leisz fa del suo meglio) e “Fountain of Sorrow” con le sue discese e risalite. Lui, 66 anni, ha lo stesso taglio di capelli e i vestiti di quarant’anni fa, camicia e jeans scuri, la voce un po’più arrochita, ma non è un relitto del passato, anzi. Un musicista notevole, assolutamente contemporaneo, capace di attraversare con coerenza le decadi proponendo sempre lavori all’insegna della qualità.
Dopo un’ ora, Jackson se ne va. “Torniamo tra quindici minuti”, promette e poi si ripresenta sul palco con un dobro per “Your Bright Baby Blues”, seguita da “Rock Me On The Water”. Ma il meglio deve ancora arrivare. “Lives in the Balance” mette in vetrina la voce della Stewart, “Standing in The Breach” è una ballata superba che non ha nulla da invidiare a quelle degli anni d’oro. Un’altra perla dall’ultimo album è “The Birds of St. Marks”, scritta già nel 1970, poi ecco la toccante “The Road”, canzone perfetta di Danny O’Keefe sulla vita in tour, prima della bellezza cristallina di “Late for The Sky”, accolta da un boato ai primi accordi. Jackson Browne è un cantautore che ha saputo trasformare il dolore personale in splendide canzoni di esortazione esistenziale, ma ha anche un’anima rock and roll che viene sfoderata in “Doctor My Eyes” a stemperare la malinconia.
A quel punto, la gente, che ha resistito per quasi due ore nelle poltrone, si ammassa sotto il palco dove la band regala una versione pimpante di “Running On Empty”. Browne non si fa pregare troppo per il bis, in cui “Take it Easy”, invito a non prendersela troppo condiviso con gli Eagles, si scioglie, a sorpresa, in una toccante “Our Lady of The Well”. Standing ovation, meritatissima, per un cantautore che resiste benissimo allo scorrere del tempo, che sa regalare sempre grande musica e grandi emozioni. Dritto al cuore.