Era dai tempi del debutto degli australiani DZ Deathrayz (“Bloodstreams”, anno domini 2012) che mi aspettavo l’arrivo di un nuovo power duo che facesse una gran cagnara. Certo, ci sono stati i Royal Blood, ma la loro esplosione è stata giustificata anche dal fatto che la loro potenza è di gran lunga minore rispetto a “Vultures”, il primo lavoro sulla lunga distanza dei God Damn, band di Wolverhampton che debutta per la One Little Indian (label che in passato lanciò un nome da niente, gli Skunk Anansie).
Se non si fosse capito, questo disco è una bomba. Fosse uscito nella prima metà degli anni Novanta sarebbe stato inserito senza alcun remore nel filone alternative rock, anche perché molte trovate presenti nei tredici brani prendono spunto da quel periodo: dai gruppi di Seattle come Mudhoney ed Alice In Chains, passando per gli Smashing Pumpkins degli esordi e un primissimo Marilyn Manson, “Vultures” è un riuscitissimo manabile di quanto è uscito dal Nordamerica vent’anni fa. Il tutto mescolato con un’attitudine hardcore punk e con citazioni dotte anche dal lato dell’immagine, al punto che il video della title track è un palese tributo ai videoclip di Nirvana (“Heart-Shaped Box”) e Soundgarden (“Black Hole Sun”).
Battezzata da alcuni magazine d’Oltremanica come “la nuova rock band più pesante del Regno Unito”, i God Damn hanno sfornato un full length di debutto che scorre che è un piacere, al punto che anche il brano più lungo del lotto (“Skeletons”, quasi nove minuti) non annoia.