Brandon Flowers, frontman dei The Killers, è tornato in Italia col suo tour da solista per un unico concerto al Fabrique di Milano, il 5 giugno 2015.
Ho accarezzato l’idea di firmare questo report con uno pseudonimo perché vi ci vedo lì a dire “eh ma lo fate scrivere a quella lì, dai, è ovvio che dirà che è stato tutto bellissimo e stellare e mirabolante”. Avete perfettamente ragione, è davvero difficile per me provare a essere obiettiva quando si parla di Brandon Flowers, provare a scindere l’amore che provo nei confronti del mio cantante preferito da quello che realmente vedo sul palco, soprattutto quando quello che vedo sul palco è esattamente bellissimo, stellare e mirabolante, ma posso farcela perché, miscredenti, non è tutto oro quello che luccica (a parte la giacca dorata di Brandon, che luccica parecchio, e che può permettersi solo lui), il che non vuol dire che non sia stato uno show pazzesco, ma che, ecco, quello che intendo ve lo dico tra poco.
Ero pronta da giorni: fazzoletti di carta, ormoni a pallettoni, dotti lacrimali belli pieni, caricabatterie portatile del telefono, numero dell’ambulanza di Milano salvato nelle chiamate rapide del cellulare, dignità a livello zero così da non vergognarmi in caso di pianti disperati o urla da scimmia impazzita.
Se avete visto anche solo una volta un live dei The Killers (e lo spero bene per voi) dovete accantonarlo per un momento perché non siamo al concerto dei The Killers, e anche se puoi togliere (momentaneamente) Brandon Flowers dai The Killers ma non puoi togliere i The Killers da Brandon Flowers, la mancanza degli altri componenti della band si sente, io la sento alla prima nota, ma comunque la band è davvero brava e di alto livello, le coriste sono incredibili, talmente incredibili che per un momento ho confuso la voce di una di loro con un synth. Ovviamente nella scaletta sono presenti brani dei The Killers, come dimenticare la meravigliosa “Losing Touch” del tour di Flamingo che mi ha fatto completamente perdere la voce.
A proposito di scaletta, io ho fatto di nuovo il grave errore che ogni volta mi riprometto di non fare: ho letto la scaletta mentre mi dirigevo verso il Fabrique. Volevo semplicemente essere preparata ed evitare di dover iniziare a urlare “qualcuno ha uno xanax?”, tutto qui, così sono ricorsa all’auto-spoiler.
Sono le 21.15 e siamo pronti per iniziare. Ancora non riesco a spiegarmi come sia possibile che un frontman di una band che di solito riempie gli stadi poi, da solo, porti solo una manciata di persone. Se voi lo avete capito spiegatemelo. L’inizio è esattamente quello delle stesse scalette che avevo letto: “Dreams Come True”, che è il brano perfetto per aprire perché è il più energico del disco e che è quello che penso ogni volta che mi ritrovo a un metro da lui, “Can’t Deny My Love”, il primo singolo estratto da “The Desired Effect” che ci ha permesso di capire da subito che questo disco è qualitativamente molto più alto rispetto al precedente Flamingo, e a seguire tre estratti proprio da quel primo lavoro da solista “Crossfire”, “Magdalena” e “Hard Enough”. Quando poi Brandon si rivolge al pubblico dicendo “questa è una canzone di un brano che parla di una persona che non si capisce se sia colpevole o no” capisco che è arrivato il momentone: parte “Jenny Was A Friend Of Mine”. Se siete super fan sapete che, purtroppo, è da un po’ che i The Killers non eseguono questo brano, chissà per quale assurdo motivo. Anche se arrangiata in maniera completamente diversa, è sempre lei, la canzone di quando avevamo tutti dieci anni di meno e Brandon Flowers portavaa la matita nera all’interno dell’occhio.
Ad un certo punto, mentre sto cercando di riprendermi e mentre sto cercando di smetterla di usare il caps lock su twitter, mi ritrovo nel 1985, ed è strano perché io in quell’anno lì non ero nemmeno nata: vengo catapultata nell’immancabile parentesi anni ’80 e vabbé, lo sappiamo, per Brandon Flowers nessuno mette gli anni ’80 in un angolo. “Lonely Town” prima e “Diggin Up the Heart” dopo, ma da come canta il pubblico sembra che quel 1985 non sia mai stato più attuale. Si continua con “Swallow It”, che contiene uno dei momenti che mi piace di più della sua intera discografia ovvero quel “you’re a perfooooormer”, “Only The Young”, “Untagled Love” e l’ultimo momento The Killers che non poteva essere che “Mr Brightside”, che per noi fan è tipo l’Ave Maria, anche in questa versione remixata da Jacques Lu Cont. L’importante è che non ci tolga mai quel “it was only a kiss”, mantra che noi donne dall’innamoramento facile dovremmo tatuarci sul cuore.
L’encore è composto da “If Still It Can’t Be Found” di Joe Pug, il texano che ha aperto il concerto, che torna sul palco e che secondo me aveva già avuto il suo momento di celebrità quindi, caro Brandon, potevi farci ascoltare un altro tuo pezzo, “I Can Change”, brano nato dal campionamento di “Smalltown Boy” di Bronski Beat e da una nota vocale di Neil Tennant dei Pet Shop Boys, e “Still Want You”, con quello stile che io – senza nessuna cognizione di causa – chiamo “hawaiano”, quello di “I Can’t Stay” (contenuta in “Day&Age”), per capirci.
Ed eccolo il momento dell’oro che non luccica, una semplice tristezza da fan sfegatata e adolescente. Il disappunto sulla mia faccia è enorme quando si riaccendono le luci e alle mie orecchie non è arrivata nemmeno una nota di “Read My Mind”, (e RIPETIAMOLO: rubare cinque minuti prezioni con la cover di Joe Pug, JOE PUG SIGNORE E SIGNORI) ma la pronta analisi di Umberto mi permette di darmi una calmata: siamo dei burinotti, dei pizzettari, dei coatti ripuliti, e gli artisti stranieri che vengono a suonare da noi lo sanno benissimo. Non dovete offendervi, è semplicemente un dato di fatto. Succede sempre così, quando arriva il pezzo che in radio abbiamo ascoltato fino a farci esplodere timpani e pancreas noi impazziamo completamente, anche se fino a un secondo prima eravamo quasi tra le braccia di Morfeo. E allora non c’è da stupirsi se Brandon Flowers ha scelto di sostituire la loro canzone più bella (intendo Read My Mind E NON VOGLIO SENTIRE RAGIONI) con Human (che è bella eh, ma è il classico pezzo che fa saltellare tutti i presenti, e beh, evidentemente vi fa schifo limonare, che ne so io).
Bene, compito eseguito. C’è sempre qualcosa di magico nel vedere il mio cantante preferito, l’ho visto sempre così, senza sbavature, con il sorriso, felice. Alla prossima Brandon, comunque vada, qualunque cosa succeda, mi troverai sempre lì sotto al palco col fazzoletto in mano.