Limp Bizkit, il report del concerto a Milano dell’11 giugno 2015

Ad accogliere Limp Bizkit e Tremonti Project alla Summer Arena di Assago (Milano) ieri, 11 giugno 2015, c’era uno sparuto gruppetto, ben al di sotto dei numeri abituali di queste due band. In Italia, più che nel resto d’Europa, ci si muove sempre per i propri gruppi preferiti, quelli che non si possono perdere, e si prega che il contesto non rovini troppo la festa. Capita così che difficilmente l’italiano che va a festival o concerti apprezzi le band di supporto.

A volte però accade che, in questo contesto, facciano breccia degli elementi talmente dirompenti da svegliare anche i morti. È quanto accaduto con Mark Tremonti e la sua band. Poche altre volte tra la platea ho visto quella faccia in apertura di un concerto rock, la faccia di chi sta pensando “chi è questo fenomeno?“, lo stupore di scoprire qualcosa di divertente, onesto, energico. Si inizia con il sole e con il caldo e si comincia con il vecchio singolo dello strabiliante album di debutto “All I Was”.

Il riff di “You Waste Your Time” sfonda l’atmosfera calda e immobile dell’Arena e i pochi fedeli fan di Tremonti (e ovviamente degli Alter Bridge) si uniscono a quelli dal cappello rosso dei Limp Bizkit in un inevitabile headbanging che finirà solo ai saluti finali. La musica caratteristica del progetto solista del chitarrista americano c’è tutta: riff velocissimi thrash metal alternati a battute lente quasi doom, cantato urlato con una foga quasi commovente, sapientemente intramezzata a melodie più suadenti, orecchiabili, in perfetto stile alternative. Il nuovo album è giustamente omaggiato con il singolo “Another Heart”, la title track “Cauterize”, la potentissima “Flying Monkeys” e la stupenda “Radical Change”. Tremonti, visibilmente soddisfatto delle conquiste fatte sotto il palco, chiude generando addirittura un sorprendente circle pit sul pezzo al tritolo “Wish You Well”.

Puntuali si presentano i Limp Bizkit, sotto un’intro da western di Sergio Leone e una strizzatina d’occhio ai Metallica (e non sarà l’ultima del concerto, con un paio di accenni a “Master of Puppets”). Lo spettacolo imbastito è sempre di alto livello, nonostante non siano più sul tetto del mondo come quindici anni fa.
Wes Borland si presenta vestito a metà tra un clown impazzito e un gentlemen inglese morso da uno zombie e inizia a fare un concerto a sé. Una sorta di art performance, all’interno della quale il suonare la chitarra in maniera perfetta è solo l’orpello di uno spettacolo completo fatto di gesti, balli di una marionetta impazzita, capriole e molto altro. Stupefacente artista.

Fred Durst è l’istrione che tutti conosciamo, indisponente. Non sai mai se cantare con lui o salire sul palco a spintonarlo e fare rissa, ma ha una presa totale sulla folla, che fa tutto quello che lui dice. Passa dal rap alle parti melodiche con una naturalezza disarmante che, unita ai riff di Borland e al tappeto ritmico potente e preciso, va a costituire una band che ha raccolto in chart decine di successi, tutti riprodotti nella serata di ieri. Solo “Gold Cobra” dalla produzione più recente, il resto è un auto-omaggio ad una carriera gloriosa. Si balla tutto il tempo, si mima il volante con “Rolling” in apertura, si salta con “Take a Look Around” e “My Generation”, si sfoga la rabbia di una giovinezza sfumata con “Break Stuff” e “Nookie”, si canta con la cover di George Michael “Faith”.
Niente bis, niente encore, i Limp escono di scena come sono entrati, magnificamente indisponenti.

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