La coerenza, per un artista, è sputare nel piatto dove mangia ciò che gli interessa ingurgitare. A dirlo è De Gregori, nel videomessaggio trasmesso durante il concerto di Fedez al Carroponte di Sesto San Giovanni (Milano) il 23 giugno 2015. E non appena termina il messaggio, capisco che Francesco ha rilegittimato il rapper (o ex rapper) più chiacchierato dell’ultimo anno nella serie A della musica.
Sì, perché se il concetto di giornalismo si mercifica in due gironi di prima e seconda classe – e Fedez di questo non tiene conto – lo stesso vale per note e spartiti, dove spesso a comporre la classifica populista musicale sono proprio quegli artisti, per lo più privi di talento, che spesso provengono anche da quei programmi tanto seguiti dalla “generazione boh” cantata dal rapper milanese.
Incoerenza? Non credo proprio, ma bisogna avere 31 anni per capire il sottotetto di alcune canzonette cantate dall’energico Fedez. Fa specie che a seguirlo, però, sia un pubblico di giovanissimi. Bambini e bambine in età prescolare compongono le prime file laterali del Carroponte, accerchiando gli adolescenti in piena tempesta ormonale e menefreghisti delle lacrime odorose emanate dalle loro ascelle. Per ovviare a tale incongruenza generazionale, Fedez spiega ogni singolo brano ed inizia proprio dagli insulti – più che critiche – ricevuti nell’ultimo anno da Gasparri, Salvini e da orde di giornalisti a cui non resta che pronunciare erroneamente il suo nome, emblema di un’informazione che spesso fa acqua da tutte le parti. Ma se populismo è anche un certo atteggiamento demagogico, va bene così.
Fedez parla di coerenza e di querele cercando un solido filo conduttore con “Generazione Boh”. Spiega, a suon di caricature e oggetti di scena invadenti, la Multinazionale Chiesa introducendo “Cardinal Chic”, o il curriculum vitae di Nicole Minetti e la sentenza in terzo grado della Cassazione per la nota faccenda dell’ex-presidente del Consiglio, sottolineando come l’Italia stia andando a cene eleganti, mentre a noi non resta che consolarci con i synth e l’elettronica ben piazzati di “Love Cost”. Il rapper affronta anche l’annosa questione dell’eternit, la mela marcia della storia italiana che ha ucciso anche la giustizia, e lo pone in parallelo con quei pochi amori eterni e il troppo “Amore Eternit”. Poi ricorda il dimenticato Aldrovandi, mentre Malika Ayane sale sul palco per duettare su “Sirene”, e addita la TV spazzatura – di cui Barbara D’Urso rappresenta la caricatura – e il decalogo del palinsesto trash del ex tubo catodico italiano. Argomenti impegnativi affrontati con il sorriso, mentre le immagini di Santa Barbarella D’Urso entrano in scena, avvicendandosi ad altre trovate sceniche come l’assorbente sporco su “Vivere In Campagna Pubblicitaria” o la tutina rosa con mantello blu di cui si veste Fedez per “Alfonso Signorini”.
Fedez può, questo l’ho capito. Non tanto per la qualità tecnica di ciò che propone, quanto per la credibilità con cui sente sue quelle problematiche così difficili da toccare. Così, invece che stare in silenzio e voltarsi dall’altra parte, diventa artista impegnato. Può anche permettersi di riarrangiare un brano dei Blink 182 e masharlo in “Jet Set” o di mostrare la fragilità verso i privilegi e il prezzo del successo con una coscienza che non si sa se riuscirà a sostenere tale peso.
“L’Hai Voluto Tu” suona come uno sfogo ma anche un appiglio per andare avanti, mentre l’inchiostro sotto pelle dei tatuaggi supera quello dei contratti firmati, bilanciando un equilibrio troppo spesso minato. E ancora, l’artista ironizza sull’opulenza dei rapper in “Faccio Brutto”, ma è solo una veloce mareggiata verso “Magnifico” e “Cigno Nero”, con una Francesca Michelin in gran forma.
Un concerto di due ore, al termine delle quali non ho ancora capito se Fedez come musicista mi può piacere o meno. Sicuramente diverte e questo è già un passo in avanti. Quello che però so, dopo quei 120 minuti, è che di Federico pensatore e autore ho stima. Avrebbe potuto mettere la testa sotto la sabbia come gli struzzi e lanciare qualche tormentone estivo di poco conto, invece ha deciso di metterci la faccia e di pararsi i colpi da solo.