Moreno o lo ami o lo odi, questo si capisce da subito. Quello che però spesso è necessario capire è che artista ci si trova di fronte. Moreno è in primis un ragazzo sincero e diretto, un artista conscio di ciò che lo circonda, del percorso intrapreso e con una chiara visione di dove vuole arrivare. Ecco la nostra chiacchierata con il rapper genovese, al momento impegnato a girare la Penisola con il suo Incredibile Tour 2015.
Cosa stai percependo da questo tour estivo?
Fortunatamente ho un calendario fitto e sto cercando di dare tutto me stesso, il tour mi permette di visitare tanti posti e conoscere tante persone. Nei posti che logisticamente lo permettono, stiamo proponendo uno show con uno dei migliori DJ italiani e due ballerine che coreografano alcuni brani. Io cerco di dare energia e propongo anche delle gag divertenti che vanno a richiamare una parentesi del mio trascorso, che non rinnego.
C’è stata una data più ostica?
Dipende dal contesto e dal perché: se si parla di pubblico, c’è una bella differenza se nella stessa location ci sono altri colleghi o se sono eventi grandissimi e bisogna spartirsi la serata. Quando vai ospite in un’altra città che non è la tua, cambia molto se il pubblico è venuto apposta per te o per chi c’è dopo e quindi devi cercare di accattivartelo. Sta solo a te, alla bravura del MC. Penso che tutto serva, anche i fischi talvolta.
Al Festival di Sanremo si è vista la tua crescita?
Un palco importante come quello di Sanremo lo richiede e io ho avuto la fortuna e l’onore di essere tra i Big. In passato, qualche altro collega ha calcato lo stesso palco con il classico brano rap mentre io ho cercato di mettermi in gioco e giocare allo stesso tempo. Noi rapper siamo sempre stati un tabù. Uscendo da un talent, posso non essere più percepito come rapper ma come cantante rap. Il brano (“Oggi ti parlo così”) prevedeva questo, riprendendo un po’ questa visione. C’era una parte di cantato e mi sono preparato per farla il più intonato possibile. Crescita per me vuol dire anche contaminarmi.
Ti definisci un MC o un cantante rap allora?
Un MC. Nel 2016 saranno dieci anni che ho iniziato a fare l’MC, partendo da zero. Sono stato accostato più ai cantanti perché ho avuto la fortuna di calcare palchi come quelli dell’Arena di Verona e di Sanremo ma mi considero un MC e sarò sempre così, anche se vado a coprire la fetta di pubblico che va dai piccolissimi ai nonni. L’importante per me è sempre ciò che sento io.
Pensi che questa diatriba interna al tuo genere per essere il numero uno sia dovuto al fatto che il rap qui in Italia è sulla cresta dell’onda solo da qualche anno?
In Italia le cose arrivano sempre dopo. Anche i ragazzi de Il Volo, se ci pensi, hanno fatto il boom in Italia solo quest’anno, anche se giravano per il mondo da anni. Il rap spopola ovunque e in Italia è arrivato molto delle influenze americane. Questo tipo di rap di cui alcuni parlano è quello di cui ci siamo nutriti quando eravamo ragazzini. Faccio parte della fascia a cui fa piacere la contaminazione, per passare dal genere di nicchia al grande pubblico. Il rap è diventato una moda, il freestyle è andato in TV e malgrado tutto ciò molti ragazzi continuano a chiudere gli occhi e far finta che non sia così, interpretando il “ragazzo di Detroit”, quel rap che canta di soldi, di donne, di gioielli e di droga. Io sono cosciente di aver un pubblico anche piccolo, lo ammetto e non mi nascondo, perché mi sento come un padre e so di aver una sorta di responsabilità, sono molto attento ai messaggi e a come li veicolo. Non tutti i colleghi la pensano così.
Una volta c’era una discriminazione tra ciò che era indipendente e ciò che era considerato mainstream, poi succede che Vasco Brondi scrive un pezzo super pop per Jovanotti.
Jova é il collante. La discriminazione c’è e mi pongo due domande: se sono io il traditore o loro di mentalità chiusa. Posso immaginare di aver tradito le aspettative di qualcuno, per il background da cui arrivo, ma non sono un traditore. Penso che nella vita uno scelga per se stesso. Non sai cosa ti troverai di fronte, alcune scelte hanno pagato e alcune no ma non rinnego il mondo da cui arrivo. Penso che sia un problema tutto italiano quello di lamentarsi sempre e comunque finché non ci si trova nel vivo della questione. Ritengo che se ami qualcosa e vuoi che la tua passione diventi il tuo lavoro, arrivi a fregartene delle cattiverie gratuite, cerchi di fare bene tutto ció che fai. Se riesci a monetizzare, cerchi di farlo il più possibile per mettere qualcosa da parte, perché poi arriverai a un punto in cui sarai di fronte ad una nuova prova.