Annunciato dai Verdena e puntuale, “Endkadenz Vol.2” esce a otto mesi di distanza dal predecessore. Doveva essere un unico album nelle intenzioni del gruppo bergamasco ma la Universal da questo orecchio non ha voluto sentirci. Con la crisi che c’è niente disco doppio, niente riproposizione dell’esperimento visto con “Wow”.
I Verdena non si sono fatti scoraggiare e hanno optato per un’uscita doppia, scelta che alla luce dei fatti si rileva un po’ infelice. Perché se del primo volume di Endkadenz si apprezzavano la buona struttura di alcuni pezzi, le atmosfere post punk e la sensibilità e intensità dei testi, già si faticava a trovare la quadra di un’evoluzione dei suoni verso il noise più estremo, verso un fuzz della chitarra che ad un primo ascolto risultava ruvido e ostico. Parecchie trovate di buonissima fattura nelle melodie e nella costruzione delle canzoni hanno però amalgamato il tutto producendo un risultato diverso, unico e accattivante, confermando i Verdena come band più atipica e promettente del panorama alternative nostrano. In questo nuovo capitolo invece sembra che le idee manchino e non si riesca più a creare quel tappeto di sicurezza che renda l’ascolto piacevole e interessante, soprattutto per i neofiti.
Rimane quella sensazione di libertà dalle convenzioni del mainstrem, la soggiacente priorità di non assecondare niente e nessuno se non la propria creatività. “Endkadenz Vol.2” ha il sapore della fine di un’epoca, di chiusura di un percorso iniziato con “Requiem” del 2007. Rispetto alla sua altra metà è il fratello scorbutico, a cui non interessa presentarsi con i lustrini. Più esclusivo, se lo fissi negli occhi lui distoglie lo sguardo e si mette di traverso. Durante tutto l’ascolto ti muovi e cerchi di raggiungerlo, senza riuscire mai. È il suo limite ed il suo fascino al tempo stesso.
L’inizio affidato a “Cannibale” ripropone quelle atmosfere da candelabro acceso su una desolata landa desertica, come quelle riscontrabili in alcuni episodi di “Lullabies to Paralyze” dei Queens of the Stone Age, già largamente citati in questo percorso stoner-fuzz intrapreso dai Verdena. La successiva “Dymo” esplora situazioni musicali nuove, è intensa e polverosa, con una sezione ritmica jazz di grande spessore e una melodia decadente, impreziosita dalla voce super effettata di Alberto Ferrari. Bellissima “Un Blu Sincero”, avvolgente e imprendibile, piena di cambi di ritmo e atmosfere.
È chiara l’intenzione del gruppo di esplorare e osare ancora di più che nel volume precedente, allontanadosi sempre più dal mainstream, con suite spiazzanti e orientaleggianti come “Identikit”, farcita di suoni e strumenti variegati, per poi tornare al noise asciutto e stoner dell’accoppiata “Fuoco Amico I/II”. “Nera Visione” è una ballata nostalgica accompagnata dal pianoforte, la strumentale “Natale con Ozzy” evocativa e disturbante, ti culla nell’oblio fino alla successiva “Lady Hollywood”, che mantiene atmosfere e ritmo unendo la linea vocale di Ferrari, qui distorta e robotica. Si torna a salire di giri con “Caleido” per poi chiudere con una bellissima ballata che alleggerisce i toni proposti da entrambi i volumi di Endkadenz: “Waltz Del Bounty”.
“Endkadenz Vol.2” è un album molto complesso e affascinante, di non semplice lettura e che non può reggersi sulle proprie gambe. Il gruppo si è affrettato a dichiarare che è il tassello finale di un percorso iniziato con “Requiem”, e si suppone quindi che le eventuali nuove puntate discografiche vireranno su altri lidi. L’impressione è che sarebbe stato meglio fargli fare quello che volevano fare, un fantastico doppio album pieno di un mondo dove il fan dei Verdena poteva vivere per anni e anni. Il messaggio musicale in questo modo è stato spezzato e qualcosa è andato inevitabilmente perduto. Siamo comunque sui livelli più alti creativi che l’Italia può offrire, e si spera che il gruppo bergamasco vada avanti a creare e mettere in difficoltà chi ascolta e chi li vuole giudicare, ma mai chi li ama.